Era prevedibile ma non per questo è meno sconfortante, a poche ore dalla morte di Diego Armando Maradona, assistere a chi elenca tutte le pecche e spesso le malefatte di un uomo che sì, è stato quel che è stato. Pensavo avessimo familiarizzato con quel «genio e sregolatezza» che spiega come mai si possa consumare droga, essere violenti avendo pure pessime frequentazioni e, al contempo, una divinità del calcio. Invece siamo ancora qui, alla zelante conta delle ombre ed incapaci di scorgere fino in fondo le luci, anche quando sono magiche come le giocate repentine e strabilianti del Pibe de Oro. Che peccato. Non solamente per Maradona, eh: per tutto.

Se difatti siamo dell’avviso di espungere da cuori e menti ogni figura segnata da fragilità e imperfezioni, significa che intendiamo rinunciare all’opera di quell’insopportabile e prepotente di Michelangelo Buonarroti, agli scatti di Marco Pantani, alla musica di John Lennon e dei Beatles, ai film di Federico Fellini – che assunse Lsd -, alle tele dell’omicida Caravaggio, alle pagine di quel violento di Charles Dickens, ai versi di Neruda, che mai si prese cura della figlioletta affetta da idrocefalia, e a tanto, tanto altro ancora. Beh, rinunciateci voi. Io mi faccio bastare la spiazzante consapevolezza che si possa essere giganti e nani, signori delle cime e frequentatore di abissi. E a te, Diego, auguro di riposare in pace. Tappandoti bene le orecchie.

Giuliano Guzzo