Sono ore di vera e propria bufera mediatica per Lorenzo Gasperini, giovane consigliere della Lega in provincia di Livorno, a Cecina, che, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, ha affermato sui social che «la prima causa del femminicidio è l’aborto». Apriti cielo. Ora, senza nulla togliere alla delicatezza del tema dell’aborto, prima di sposare ogni posizione sulle parole di Gasperini – che conosco e stimo, ma che non ha fatto che riprendere una tesi nota in ambito pro life -, è il caso di chiedersi: realmente «l’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo»? La risposta, in breve, è affermativa.

In particolare, lo è nella misura in cui si prende in esame il fenomeno dell’aborto selettivo. A suggerirlo, curiosamente, non sono dei sovranisti provocatori ed ignoranti ma delle intellettuali, delle donne intervenute, nel corso degli anni anzi dei decenni, nella denuncia di quello che non solo è la «prima causa di femminicidio» ma, a ben vedere, è il solo vero femminicidio, se per femminicidio s’intende la deliberata soppressione di un essere umano in quanto appartenente al sesso femminile: l’aborto selettivo. La prima a parlarne, oltre 30 anni fu Mary Anne Warren nel suo Gendercide (Rowman & Allanheld, 1985).

Anche in Italia a rompere il silenzio su questo tema, guarda caso, è stata una donna, Anna Meldolesi, autrice di un testo eloquente già nel titolo – Mai nate (Mondadori, 2011) – , con cui si è proposta di raccontare la scomparsa, nel mondo, di 100 milioni di donne. Sì, avete letto bene: 100 milioni di donne mai nate – perché abortite – per il solo fatto d’essere femmine. Tecnicamente, il nome del fenomeno è «feticidio selettivo», come sottolineato da un’altra donna, la professoressa Assuntina Morresi. Ora, come mai simili denunce sono sovente ignorate? Bella domanda, se si pensa a quanto son fondate e tristemente attuali.

A provarlo, pure qui, non son giornalacci di destra, ma testate come il Washington Post – la più diffusa ed antica di Washington, già organo del Partito democratico -, che in un articolo dell’aprile 2018 intitolato «Too many men», spiegava come in Asia l’aborto selettivo abbia provocato disastri demografici tali per cui oggi, in Cina, ci sono 34 milioni di maschi in eccesso rispetto al numero di femmine; un’eccedenza che in India ammonta a 37 milioni di uomini. Nel complesso, parliamo quindi di 70 milioni di asiatici che, se la matematica non è un’opinione, non potranno mai formarsi una famiglia.

Esaminando più da vicino la realtà dei singoli territori per esempio dell’India, ci si imbatte in storie sconvolgenti. Nel mio piccolo, nel luglio 2019 raccontavo su uno dei giornali per cui scrivo come nel distretto indiano dell’Uttarkashi, 300.000 abitanti, nei tre mesi precedenti, in 132 villaggi, fossero nati 216 bambini. Di questi 216, nessuna era femmina. Il dato parve così clamoroso che persino la magistratura indiana decise di occuparsene e di vederci chiaro, dal momento che era fin troppo evidente, in quel caso, che di mezzo c’era quell’aborto selettivo di cui i media italiani fanno finta di ignorare l’esistenza. E da noi? Anche in Europa in problema esiste?

Purtroppo sì. Il Paese europeo dove esso sembra essere più diffuso è il piccolo ma ricchissimo Liechtenstein, ma del fenomeno si ha notizia pure in Italia. In particolare, pur non essendo semplice quantificare il fenomeno, pare infatti che il «feticidio selettivo» esista ed interessi in prevalenza le comunità asiatiche immigrate presso le quali il sex ratio – vale a dire il rapporto tra maschi e femmine alla nascita, che in condizioni normali è di 105 a 100 – risulta sballato; nelle comunità cinesi, infatti, pare sia pari a 119 maschi contro 100 femmine, mentre sembra arrivi persino a 137 a 100 nelle comunità indiane, replicando così gli equilibri distorti che appunto si registrano in Cina ed India.

Siamo tutti liberi, insomma, di credere che l’uscita di Lorenzo Gasperini in occasione del 25 novembre sia stata forte, provocatoria, inopportuna: tutto quello che si vuole. Ma di certo – ecco il punto – l’esponente leghista non ha detto una cosa inesatta. Anzi, ha detto proprio una cosa vera. E la polemica sorta attorno alla tesi del giovane politico toscano fa pensare che in realtà il «feticidio selettivo» così insistentemente denunciato in primo luogo da donne sia un tabù con il quale, prima o poi, ci si dovrà rassegnare a fare i conti. Non per dare ragione a Gasperini o ai pro life, ma perché scagliarsi contro il femminicidio dimenticandone il lato più vasto e vergognoso significa fermarsi alla punta dell’iceberg. Per miopia o, più probabilmente, per ipocrisia.

Giuliano Guzzo