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In questi giorni, di fronte ai ripetuti casi di stupro di gruppo ai danni di ragazze o addirittura ragazzine, il Ministro della famiglia, Eugenia Roccella, ha posto pubblicamente il problema dell’accesso precoce a una pornografia che peraltro è sempre più violenta e degradante. Non perché ci sia ogni volta necessariamente un nesso di causa-effetto – ha spiegato il Ministro – ma perché il tema esiste e dobbiamo porcelo, dobbiamo discuterne come stanno facendo in molti Paesi del mondo.

Per queste parole, Roccella è stata subito attaccata da Il Fatto Quotidiano e su La Stampa la scrittrice Melissa Panarello – nota anche con lo pseudonimo di Melissa P. – è intervenuta spiegando che «il problema non è la pornografia e l’uso che ne fanno i ragazzi e le ragazze, ma non spiegargli che quello che vedono è semplice e puro spettacolo, confezionato apposta per eccitare». Ora, non per difendere il ministro Roccella – che non ne ha bisogno – e non per criticare Panarello, ma in effetti una connessione tra pornografia e violenza sulle donne c’è davvero.

Lo dimostrano molteplici elementi. Possiamo per esempio iniziare riprendendo la testimonianza – assai eloquente – di una donna il cui partner faceva frequente uso di pornografia: «Non sono una persona né il suo partner, ma solo un oggetto sessuale. Quando abbiamo rapporti sessuali, lui non li ha davvero con me, non mi ama. Sembra che stia pensando a qualcos’altro o a qualcun altro, probabilmente ad attrici porno. Lui mi usa come un corpo caldo» (Journal of Sex and Marital Therapy, 2002). Sono parole che non abbisognano, direi, di commento alcuno.

Ciò nonostante, vale la pena – a suffragio di quanto riportato – segnalare le risultanze di uno studio su oltre 300 persone di età compresa tra i 17 e i 54 anni dal quale da una parte è emerso come più si è giovani quando si inizia a fare uso di materiale pornografico maggiore sarà il consumo in età adulta e, dall’altra, come chi aveva iniziato a guardare pellicole a luci rosse da ragazzino avesse sviluppato, nel tempo, atteggiamenti più maschilisti e irrispettosi della dignità della donna. Tale ricerca, intitolata Age and Experience of First Exposure to Pornography: Relations to Masculine Norms, non è la prima nel suo genere. Ci sono decenni di letteratura in tal senso.

In una ricerca condotta da Mosher (1970), nel corso della quale furono mostrati a degli universitari di entrambi i sessi due pellicole hard curate dall’Istituto di Ricerca Sessuale di Amburgo, si rilevò come l’esposizione ai film possa favorire il cambiamento, in termini permissivi, delle opinioni sulle condotte sessuali, specie per ciò che riguarda i rapporti pre-matrimoniali. Baran (1976), servendosi di un campione di 202 studenti americani, ha invece riscontrato una grave correlazione tra l’esposizione cinematografica a scene erotiche e l’insoddisfazione, nella vita quotidiana, della propria vita sessuale; il che suffraga l’idea che la pornografia, anziché stimolare la vita sessuale dei suoi fruitori, la banalizzi fino a mortificarla.

Decisamente allarmanti anche le conclusioni riportate da Goldstein e Kant nel loro Pornography and Sexual Deviance (1978). Costoro, infatti, constatarono come «i gruppi dei delinquenti sessuali, particolarmente gli stupratori, sono stati esposti nella preadolescenza a materiale erotico più esplicito». Una tendenza duratura, dato che questi soggetti «registrano una maggior frequenza di esposizione a foto o a libri che descrivono rapporti sessuali». Altri autori, denunciando carenza di evidenze scientifiche, hanno espresso riserve circa l’esistenza di un nesso causale tra pornografia e reati di tipo sessuale, anche se, di contro, non mancano storie paradigmatiche che chiariscono la pericolosità del consumo di materiale a luci rosse.

Ted Bundy, uno dei più prolifici serial killer americani, in un’intervista rilasciata ad uno psicologo poco prima di essere giustiziato disse: «Il mio percorso è cominciato all’età di 12 anni quando sono venuto a contatto per la prima volta con dei testi pornografici. Il tipo peggiore di pornografia esistente è quella che incita alla violenza sessuale. L’unione del sesso e violenza porta a un comportamento terribile da definire». Sarà un caso, ma anche il pluriomicida Cesare Battisti sembra coltivare interesse per l’hard, tanto che nel 1998, sul settimanale Amica, è apparso un suo racconto erotico che sarebbe eufemistico definire di dubbio gusto. 

Giunto a questo punto, il lettore può sempre dubitare delle prove – benché numerose – che evidenziano un legame tra pornografia e cultura dello stupro. Anche il Guardian in un articolo in proposito ha fatto presente come gli esperti siano divisi sulla pericolosità del porno. Ma anche così fosse, viene da aggiungere, perché non privilegiare, nel dubbio, una linea prudenziale? Non è forse meglio, davanti ad un tema così delicato come quello del rispetto della donna, un approccio educativo serio ad uno permissivo e in definitiva menefreghista che rischia solo di peggiorare la situazione? Forse, anzi anche senza forse, vale la pena farci un pensiero (Foto: Pexels.com)

Giuliano Guzzo

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