No, neppure le app salveranno il mondo. Non dalla pandemia, almeno. Anche sorvolando su ogni non sorvolabile considerazione di tipo etico e costituzionale sulla libertà individuale, non si può infatti non considerare quanto illustrato dal biologo Enrico Bucci, intervistato oggi su Repubblica – testata non tacciabile di complottismo -, e cioè che al momento il 66% degli italiani possiede uno smartphone ma, per essere utile, Immuni – la app di tracciamento avente il placet governativo – dovrà essere utilizzata da almeno il 70% della popolazione.

Bucci spiega di aver chiesto ai programmatori di Immuni se avessero calcolato tale quota, necessaria per render utile loro invenzione: hanno risposto di no. E come non lo sapevano loro, pare non lo sappiano neppure gli esperti convocati ai tavoli governativi. Il che è abbastanza grave, esattamente com’è grave il fatto che si riponga in queste app eccessiva fiducia dato che persino a Singapore – Paese inizialmente applaudito come tecnologicamente virtuoso nella lotta al Covid-19 – solo il 18% dei cittadini ha scaricato le app di tracciamento e appena la metà di questi li ha attivati.

La stessa Corea del Sud – la cui prima politica vincente è stata un’altra: quella dei tamponi – non si è fermata alle app, monitorando anche l’utilizzo delle carte di credito, usando le telecamere di videosorveglianza, insomma andando molto più in là di quanto tanti pensino. Senza dimenticare che parliamo di un Paese che ha per decenni convissuto con un vicino di casa, la Corea del Nord, estremamente pericoloso, cosa che ha generato nella popolazione (già reduce dalla Mers e dalla Sars) una disciplina che altri, semplicemente, non possono avere. Dicendo questo, si badi, non si vuole demonizzare Immuni, ma solo evitare illusioni.

Giuliano Guzzo