In modo più o meno spontaneo, si sono ormai formati due schieramenti rappresentativi di due differenti – e direi opposti – modi d’interpretare l’uscita dall’emergenza sanitaria: quello di chi non intende curarsi di scenari futuri e considera ogni giorno trascorso ancora a casa una ingiusta detenzione e quello di chi, con preoccupante disinvoltura, profetizza non mesi ma vari anni di quarantene alternate, tracciamenti, eccetera. A costo di deludere qualcuno, non posso non smarcarmi da entrambi tali punti di vista, nei quali scorgo elementi di irrazionalità. Passo subito a dire perché.

Iniziando con le tesi chi annuncia una interminabile stagione epidemica, sono costretto – privo di competenze mediche – ad una considerazione elementare: pochi mesi fa, nessuno avrebbe immaginato la pandemia che ha sconvolto il mondo. Nessuno. Il che è comprensibile, dato che gli scienziati non sono veggenti. Ma allora, per la stessa identica ragione, come si può sbilanciarsi ad immaginare cosa saranno non i prossimi anni ma i prossimi sei mesi? L’Oms ci ha messo settimane a fornire un giudizio sull’utilità delle mascherine, vari studiosi si sono contraddetti a vicenda su quasi tutto. Forse un po’ di cautela gioverebbe, no?

Attenzione, non sto insinuando che i virologi non vadano più ascoltati: vanno ascoltati eccome. Solo, seguiamone le indicazioni evitando di pretendere da loro previsioni che non possono darci, dato che neppure dieci premi Nobel per la medicina assieme hanno la sfera di cristallo. Disponiamo di modelli, ipotesi, previsioni più o meno affidabili che confermano che questa l’uscita dalla pandemia non sarà breve e che la «seconda ondata» di contagi, purtroppo, è ben più che un’ipotesi. Ma la certezza – peraltro angosciante – che il Covid-19 ci farà compagnia per anni non l’ha nessuno. E chi se ne fa interprete, per quanto autorevole, parla di quel che non può sapere.

Detto questo, intendo con analoga decisione smarcarmi da quanti lamentano il lockdown come una misura folle e ingiusto. Ricordo che l’Imperial College di Londra ha stimato in migliaia di vite umane quelle risparmiate, anche in Italia, dalle misure restrittive, e studiosi dell’Università di Oxford che hanno voluto rendere omogenee le misure in risposta a Covid-19 nei vari Paesi per poterle misurare e comparare hanno messo in luce come dove le restrizioni sono più basse la curva dei morti tenda a non ridursi. Questo significa che il lockdown sia una benedizione che deve essere protratta all’infinito? Certo che no. Nessuno, tra l’altro, l’ha mai detto.

Certo, e mio avvio a concludere, che la riapertura deve esserci. Ma dovrà essere estremamente cauta, senza più penuria di guanti e mascherine. A tal proposito, desidero condividere un piccolo aneddoto: ieri mattina sono uscito a comprare il giornale e, nella coda fuori all’edicola (dove si entra uno alla volta), c’era un signore di una certa età del tutto privo di mascherine e guanti. Era l’unico senza dispositivi di protezione e l’aria allegra suggeriva che non lo ritenesse un problema. «Libero» lui e schiavi gli altri? Qualcuno lo penserà. Ma, per quel che vale, dissento. Perché sono sicuro che chi si se ne frega già ora delle regole, se domani si ammalerà, sarà curato dagli stessi ospedali che chi si è attenuto alle precauzioni ha evitato di sovraccaricare.

Giuliano Guzzo