Tra le tante immagini che ci porteremo dentro di questa epidemia – accanto alle foto dei mezzi militari convertiti a carri funebri e a piazza San Pietro deserta com’era venerdì, quando il Papa ha eccezionalmente impartito la benedizione eucaristica Urbi et Orbi  -, ci sarà senza dubbio una foto del bergamasco don Cirillo Longo, 95 anni, uno dei tanti preti uccisi dal coronavirus. Sì, perché don Longo, da buon veterano della fede – con 78 di professione religiosa e 67 di sacerdozio alle spalle – poche ore prima di andarsene, il 19 marzo scorso, si è fatto immortalare disteso a letto in una posa semplicemente straordinaria: con le braccia alzate ed esultanti, in segno di vittoria. Ora, a vedute umane un simile gesto può solo far pensare ad un chiaro sintomo di follia.

Eppure sappiamo che don Longo è rimasto davvero lucido fino all’ultimo, tanto ancora che due giorni prima di morire, quando cioè la sua strada – se non altro per ragioni di età – era segnata, pare abbia detto al telefono a chi lo stava salutando: «Ci vedremo di là, in Paradiso… pregate il Rosario… salutatemi tutti». La foto che lo ritrae esultante, quindi, non è frutto di una messinscena, ma ritrae una gioia vera, che fa risuonare le parole di San Paolo: «Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1 Cor 15). Grazie quindi, don Cirillo, perché in questo modo, anche a chi non ti conosceva, hai saputo dare la lezione più importante per un cristiano: quella della Speranza vera, che sa che nessun dolore è vano e che dopotutto la stessa morte, come scrisse una volta un grande convertito, lo scrittore André Frossard, non è che un battito di ciglia.

Giuliano Guzzo

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