Mi hanno iscritto ad un corso di sopravvivenza a mia insaputa. È diverso da quello frequentato dalle generazioni passate sotto la guerra, perché ora non ci sono bombardamenti né carestia, spari né feriti: però ci sono i combattenti – i medici e il personale sanitario – e pure le vittime, purtroppo numerose ogni giorno. L’elenco viene aggiornato alla sera, poco prima di cena, quasi a ricordare che non si tratta di un’esercitazione, ma di una guerra vera e propria. Al pari di tutti gli altri, sono stato iscritto al corso dal Covid-19, questo maledetto di cui pochi mesi fa nessuno sapeva nulla e il cui nome, oggi, ronza invece nella testa continuamente, come un insetto penetrato nelle fessure della mente e deciso a restarci.

Non ho idea di come finirà quest’esperienza, ma una cosa l’ho già scoperta, o meglio, riscoperta: l’essenziale. Per essenziale intendo ciò di cui ho reale bisogno – riposare, alimentarmi, trovare il buonumore nel sole al mattino – e quello che mi manca. A lungo, temo in buona compagnia, ho individuato nella «felicità» quel che mi mancava, proiettando lontano esigenze vicine, scolpite nell’anima. Con il risultato che, se prima quasi lo ignoravo pur avendolo sotto al naso, ora so bene cosa mi manca. Mi mancano i miei genitori, mio fratello, mio nonno, gli amici, sparsi a loro volta qua e là, i colleghi. E mi manca la Messa. E salire su un lentissimo treno regionale, entrare in una libreria e uscirne carico di testi da leggere chissà quando, andare al cinema.

Mi mancano perfino gli schiamazzi sotto casa, la coda alle poste, quei piccoli e irritanti disagi senza i quali la quotidianità non è la stessa. Insomma, mi mancano un sacco di cose che costano poco ma, direbbe Oscar Wilde, valgono molto. Ma sono sicuro che, se sono arrivate a mancare a tutti, queste cose torneranno. Perché, come dicevo all’inizio, credo questa non sia una gara ad eliminazione, ma un corso di sopravvivenza, un collettivo ripasso sull’ordinario, una lezione di vita impastata con la malattia e la morte. A dispetto dello slogan «andrà tutto bene», penso sarà durissima. Usciremo da questa guerra stanchi, esausti, stremati. Ma ne usciremo arricchiti da una certezza: non c’è lusso che valga gli abbracci che ci sono mancati.

Giuliano Guzzo