Si fa un gran parlare, in questi giorni, di biotestamento. Ed è comprensibile, essendo appena stata approvata la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento. Solo che non è sempre stato così, anzi. Per anni l’argomento, pur ciclicamente emerso sui grandi media – per lo più in occasione delle vicende di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e dj Fabo – non è interessato, diciamolo, quasi a nessuno. Fra i pochi che se ne sono occupati, al di fuori del circuito accademico intendo, credo che possa essere incluso il sottoscritto: scrissi il mio primo articolo di bioetica, su una rivista che ora neppure esiste più, proprio sul biotestamento e i suoi rischi. Dieci anni fa.
Da allora ho partecipato, anche come relatore, a diversi dibattiti ed è il ricordo di uno di questi che, ora, vorrei condividere. Si trattava di una serata di approfondimento – sul biotestamento, appunto – che vedeva tre relatori: un medico, che doveva esporre la sua esperienza pluridecennale nelle corsie d’ospedale, una persona favorevole alle DAT e il sottoscritto, che invece era (ed è) del tutto contrario. Ebbene, rammento come il dibattito si sviluppò pur con incolmabili divergenze tra me e la relatrice pro biotestamento, in modo in fondo pacifico, cosa non scontata in questi casi. Ricordo pure gli argomenti che, in quella come in altre occasioni, cercai di esporre.
No, non mi riferisco all’idea secondo cui la vita è di Dio e quindi solo Lui può toglierla. Non alludo neppure a qualche astrazione filosofica ma solo, molto banalmente, alle trappole che le DAT comportano: la cristallizzazione di volontà terapeutiche su un futuro e una condizione del tutto sconosciuti; la possibilità assai elevata che le volontà terapeutiche di ognuno di noi (spesso senza che ce ne rendiamo del tutto conto) mutino; il rischio che si diano disposizioni senza minimamente conoscere gli scenari clinici sui quali ci si esprime; l’altra probabilità che il fiduciario, pur in buona fede, interpreti male le volontà del testatore che l’ha nominato, e così via.
Portai anche con me, quella sera, un modulo di biotestamento: un misero foglietto A4 con due vaghissime caselle su cui decidere, barrano, il proprio destino. Alla vista della banalità di un testamento biologico, ricordo che la mia controparte iniziò a scaldarsi: aveva parlato per mezz’ora delle DAT senza però avere il coraggio – chissà conme mai – di esibirne un esempio. Un classico, da parte dei cantori dell’autodeterminazione assoluta. Forse perché, vedendo che cosa in pratica sono le DAT, la gente capirebbe che è più serio il modulo di consenso informato dell’igenista dentale, rispetto a quello con cui si decide della propria morte?
Chissà. Fatto sta che, a fine dibattito, avvenne un fatto rimastomi impresso. Il medico, che durante la serata aveva correttamente evitato di esporsi pro o contro il biotestamento, mi avvicinò e, a tu per tu, mi disse: «La ringrazio, perché ha parlato bene. Sul biotestamento, le cose stanno proprio come dice lei. Per noi medici conta avere un rapporto libero col paziente, assisterlo. Le DAT non servono». La sala, quando il dottore mi fece questa confidenza, era ormai mezza vuota. Nessuno sentì, ma per me fu una vittoria. Il pubblico, infatti, non era tutto dalla mia parte, anzi. Chi però conosceva meglio di tutti il “fine vita”, sì. E quello, a me, fu più che sufficiente.
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«Un’opera di cui ho apprezzato molto l’ironia» (S.E. Mons. Luigi Negri)
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Nella mia vita di medico Pediatra ho accompagnato alla morte ahimè tanti bambini e ragazzini di ogni età. Come essere umano ho assistito agli attimi finali della vita di parenti e amici oltre che di perfetti estranei, persino del mio ex Parroco, cui volevo un gran bene.
La morte è prima di tutto un grande mistero. Non dal punto di vista biologico ma del rapporto della persona che muore con il momento della propria morte.
Come si può ridurre tutto questo mistero ad una X su un quadratino, per di più “vergata” in un momento molto lontano da questo mistero, dall’incontro dell’essere umano con l’ultimo giorno della sua vita?!
Senza contare le implicazioni per un medico che questa grande truffa delle DAT reppresenta.
Prima di tutto perchè un medico è tale perchè deve cercare di salvare le vite delle persone (senza accanirsi con inutili interventi, certo, ma facendo tutto il possibile per curare fin dove possibile e poi per accompagnare con dignità la persona all’ultimo istante): come gli si può chiedere di incrociare le braccia di fronte ad una persona che chiede di non essere curata?
Pensate ad un medico che intervenga sul luogo di un incidente e dopo una veloce ricognizione della scena debba decidere chi tra i coinvolti rianimare per primo, magari salvandolo: cosa deve fare? mettersi a frugare nelle tasche di ciascuno per vedere se hanno la famosa X nel quadratino giusto? o telefonare ai parenti o al medico curante? lasciando nel frattempo morire chi poteva essere salvato? o magari rischiare di rianimare chi aveva dato indicazioni di non essere rianimato e non fare in tempo a rianimare chi invece avrebbe voluto essere rianimato? Dopo cosa facciamo? gli facciamo causa tutti? Sia chi voleva essere rianimato (o meglio i suoi parenti, visto che questo non sarà stato rianimato) ed è morto che chi non avrebbe voluto essere rianimato ed invece sopravvive grazie all’intervento del medico?!?!
Ho voluto indicare solamente una banale (ma mica poi tanto) implicazione tecnica ma quante di più se ne potrebbero indicare anche lasciando stare quelle di tipo morale.
La nostra società, checchè ne dicano taluni, ha fatto un altro passo verso la propria rovina (dopo i tanti già fatti e che hanno comportato la distruzione della famiglia, la soppressione della vita nascente, la rinuncia alla propria identità di uomini e donne, …).
Che tristezza per chi, come me, ha ancora, sperabilmente molti anni da vivere e soprattutto dei figli che ancora più a lungo vivranno in questo caos.
Grazie mille per la Sua testimonianza, Dottore.
Insomma, che la “DAT” sia una legge infausta per il credente e che lo costringa ad un severo confronto con la propria coscienza e’ piu’ che palese ma, che si ritenga che il medico chiamato ad intervenire sul luogo di un grave sinistro debba in primis ricercare le volonta’ dei feriti e non prestare soccorso del caso, e’ pura fantascienza; forse converrebbe studiare bene il testo della legge e, ahime’, adeguarsi come conviene…
Saluti.
Il problema che pone Stefano Bruni è però reale. E’ probabile che anche con la nuova legge un medico che interviene sul luogo di un incidente debba comunque prestare soccorso (anche con una rianimazione) infischiandosene delle DAT, perché tali azioni sarebbero comunque incluse nella sua deontologia professionale. Il problema è che ciò è contraddittorio con il “principio” informatore della legge e delle DAT, ossia l’autodeterminazione della volontà: se io non voglio essere rianimato, e lo dispongo anticipatamente, allora non può esserci deontologia medica che tenga, altrimenti le DAT diventano un castello di carte che va all’aria.
Credo che le contraddizioni non tarderanno a manifestarsi, con sentenze della magistratura orientate ad allargare le maglie dell’autodeterminazione.
«…il Duce scrive che lo Stato è un assoluto,ma don Franco asserisce che se lo Stato è un assoluto,non è però l’Assoluto,giacché più assoluti non sono assoluti.Similmente quando il Duce asserisce che lo Stato è creatore di diritto,la proposizione si può passare.É vero infatti che lo Stato crea tutto il diritto positivo(per esempio,tutte le leggi fiscali,tutte le leggi scolastiche,tutte le leggi stradali ecc.ecc.),non però il diritto naturale o fondamentale,che è inviolabile dallo Stato e che lo Stato,colle sue creazioni di diritto positivo,ha soltanto la facoltà di determinare nelle modalità.»
Zibaldone pag 155.Romano Amerio
Anche a dover morire e’ diventato un problema. Senza cardini di riferiento deve essere cosi’: si sbanda fino all’ultimo istante di vita. Al Giudizio di Dion invece non ci sono sbandamenti o titubaneze: chi ha operato il Bene a Vita Eterna e chi ha operto il Male a Dannazione Eterna. Cordiali saluti, Paul
Come alcune persone che frequentano questo sito conoscono, ho vissuto per diversi anni nel Regno Unito. Tale Paese e’ molto piu’ secolarizzato dell’Italia ma non hanno mai fatto passare la legge “exit with dignity”, nonostante sia stata proposta piu’ volte in Parlamento e supportata da persone importanti. La ragione? “la presente legge e’ li per una precisa ragione – proteggere i piu’ deboli”.
Infatti gli esperti britannici – tra cui l’associazione nazionale di medici del settore – sono dell’avviso che con una legge sull’eutanasia si creera’ una pressione psicologica sulle persone malate piu’ deboli, che saranno spinte a “togliersi di mezzo” per “non dare fastidi” agli altri membri della famiglia. Questa e’ la sinistra di oggi – non protegge i piu’ deboli, anzi.
Di fatto e’ proprio cosi’. Ma l’intelligentia che governa e’ questa…
Invece di proteggere le persone sofferenti piu’ deboli psicologicamente, la sinistra di oggi li mette nelle condizioni di pensare di “togliere il disturbo”. Cosa aveva detto un famoso scrittore circa 30 anni fa, alla caduta del Muro di Berlino? “Il partito comunista si travestira’ da un partito radicale di massa” e, se non sbaglio, “ma li riconosco, sempre comunisti sono”. Sempre la stessa natura malvagia di fondo, mascherata da progresso.
Ovviamente non poteva mancare la battutina “boilerplate” che, in soldoni, i credenti sono delle pecore che hanno bisogno di guide mentre “loro” sono gli intelligenti ed i sapienti che credono nel ragionamento. Ognuno crede alle favole che preferisce.
Non si confonda.Non e di sinistra.Ma trattasi di neoliberismo.
Si’, non ha tutti i torti, caro Giuseppe.
A questo proposito, ricordo una cosa. Un comico imitatore di E. Luttwak una volta gli fece dire “Esistono solo due posizioni politiche lecite oggi. Destra e sinistra, che sono la stessa cosa. Altre non sono ammesse”.
“7. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.”
Questo è il testo dell’articolo 1, paragrafo 7, della legge sul biotestamento. Dice che nei casi urgenti e di emergenza si rispetta la volontà del paziente … OVE le condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla. Mi pare significhi che se il paziente, vigile, si oppone coscientemente ad interventi medici questi non si praticano, ma se l’urgenza impone un intervento medico immediato su paziente non cosciente l’intervento viene comunque eseguito senza perdere tempo a leggere eventuali DAT. Dunque, dottor Bruni, eviterei gli inutili allarmismi di chi paventa scenari in cui l’attività di emergenza si blocca. Anche perché chi è vittima di un incidente che lo rende momentaneamente non cosciente credo desideri innanzitutto che i medici tentino comunque di rianimarlo. Il problema nasce quando i tentativi di rianimazione e l’attesa di un risveglio, dopo un anno, probabilisticamente non prospettano più la ragionevole speranza di ripresa. Anche la Casa dei Risvegli De Nigris ospita traumatizzati per un anno; poi lascia il loro posto ad altri perché per i primi le speranze di risveglio scemano. Vorrei poi far presente a Giuliano Guzzo, che sostiene che una persona non può sapere ora cosa potrà pensare poi se si trovasse in eventuale stato vegetativo o comunque non cosciente, che questo possono saperlo tanto meno i medici. Dunque chi più della persona stessa può, se vuole, decidere a cosa rinunciare in questo eventuale stato? Perchè fino ad ora sono stati i medici o i giudici a decidere. Non è più ammissibile che una persona venga tenuta per anni, per decenni in stato vegetativo o comunque non cosciente con interventi artificiali esterni (di alimentazione, idratazione e respirazione) contro la propria volontà. Ciascuno deve avere il diritto ad accettare la propria condizione naturale fino in fondo: e se tale condizione non consente più di alimentarsi, idratarsi e respirare da soli e quindi porta alla morte … che la morte possa essere l’esito naturale della vita senza che interventi esterni artificiali trattengano in vita la persona contro il suo volere.
Sor Giuliano perché non affermare chiaramente la propria visione religiosa? Perché rincorrere gli atei sul loro piano? Cosa fatta capo a…..da oggi chi crede in Dio Padre si affida a lui accettando anche la sofferenza come San Giovanni Paolo II. Per questo rifiuta le DAT, per guardare in alto e affidarsi a Lui, non a se stessi soltanto.
@ Massimo Marangoni.
Commento magistrale! Scevro da quell’ipocrisia becera e mielosa che connota di solito, ahimè, il punto di vista cattolico.
Paragonare, come qualcuno ha fatto, un qualsiasi intervento obbligatorio, giustificato dal buon senso e dalla deontologia medica, a seguito di un incidente all’eventuale imposizione, spesso non voluta e contraria alla volontà del soggetto, volta a garantire una sopravvivenza per anni, grazie soltanto all’apporto di tecnologie artificiali, sempre più raffinate, che nulla hanno di naturale e di divino è semplicemente vergognoso oltre che sadico.
Il povero Dj Fabo, uomo di quarant’anni, completamente paralizzato e cieco da tre anni avrebbe potuto vivere decenni in quelle condizioni grazie alle macchine ma contro la sua volontà.
Credere in un Dio e nell’aldilà non è né automatico, né obbligatorio. Non si comprende quindi perché i principi e i dogmi di una qualsiasi religione debbano calpestare il libero arbitrio perseguito dalla volontà dell’individuo, cui quel sentimento non appartiene.
La posizione della Chiesa e di quanti, atei o credenti che siano, quella posizione appoggiano, riscontra alla base una sostanziale svalutazione dell’uomo incapace, a parer loro, di pervenire da sé alla verità e quindi bisognoso di un indottrinamento, di una guida, o, come diceva Kant di “tutori”. Questa è la differenza tra il metodo socratico che, attraverso il dialogo, cerca la verità e il metodo catechetico proprio di chi, assolutamente persuaso di possederla quella verità, – vien da ridere – ritiene che il suo compito sia solo quello di trasmetterla con metodi più o meno intolleranti a seconda delle epoche storiche.
Oggi tutto ciò è intollerabile e tuttavia parte del mondo cattolico pare non accorgersene o non volerlo intendere. La diretta conseguenza è un sempre maggior e diffuso disinteresse nei confronti di buona parte di quell’insegnamento.
Non si comprende quindi perché i principi e i dogmi di una qualsiasi religione debbano calpestare il libero arbitrio perseguito dalla volontà dell’individuo, cui quel sentimento non appartiene.
“D’Alema di’ qualcosa di sinistra”… io diro’ qualcosa di “cattolico”, di universale:
Si nasce e si muore. La vita e’ un dono di Dio ed in questo satana non ha alcun potere di intervento; ma colui che ha in dispregio le creature di Dio, confidando sulla debolezza umana, intende far credere che se la vita e’ un dono non puo’ essere una imposizione, e che quindi sia lecito disporne pienamente secondo la nostra volonta’; ma cosi’ la vita diventa altro, un bene senza alcun vincolo e non piu’ il tabernacolo sacro custode dell’anima ed inviolabile, indisponibile. Non riconoscendo l’appartenenza a Dio, mancando il vero senso della vita, ecco che tutto diventa lecito: ci si puo’ disfare del “regalo” della vita in quanto soltanto “nostro”: ad esempio, scegliendo l’eutanasia e rigettando la Croce; che e’ poi quello che desiderano i sostenitori della “bella morte” e pure il demonio.
Roberto, si sta discutendo di DAT e di biotestamento, non di eutanasia o di suicidio assistito. Restiamo su questo argomento senza confondere le carte. Ma chi lo ha detto che, per considerare la vita come dono l’uomo deve accettare ogni condizione di vita sostenuta artificialmente dall’esterno? E chi l’ha detto che abbracciare la propria condizione di vita (impossibilitata a nutrirsi, idratarsi e respirare) sia disporre della propria vita secondo le proprie volontà? Ma c’è un limite nell’intervenire dentro una persona dall’esterno oppure chiunque deve accettare ogni intervento esterno su se stesso? E’ ora di finirla di tirare in ballo Dio e il demonio su questioni che riguardano la vita del singolo e la sua libertà, la inviolabilità del suo corpo: in primo luogo perchè Dio e il demonio potrebbero anche non esistere; in secondo luogo perchè se Dio esiste Lui stesso per primo ha rispettato la libertà umana. Cerchiamo di fare lo stesso, se ci crediamo.
Egregio Mario, devo ammettere che leggere il suo intervento mi ha lasciato stranito: leggere da parte laica una difesa della ricerca della verità, di una verità valida per tutti e non di tante “verità”, dopo che per anni dalla medesima parte si era detto che la verità non esiste ma esistono “verità” personali e relative, che la verità in politica è portatrice di intolleranza e nemica del pluralismo, ecc. non può che farmi piacere.
Dopodiché però mi rendo conto che questo è solo una copertura per dar valore ad una polemica verso il cattolicesimo: eh sì, perché se si vuole mettere al primo posto la “volontà del soggetto” e “il libero arbitrio perseguito dalla volontà dell’individuo” allora quelle sulla ricerca della verità sono solo parole. Il libero arbitrio, la volontà, l’autodeterminazione assunti come principio impongono, per logica coerenza, che non si possa parlare di verità: ognuno ha la sua “verità”, ognuno la può vivere come gli pare e nessuno può “imporgliene” un’altra. Anche la ricerca della verità alla fin fine è ben poca cosa: si riduce solo ad un paradossale monologo a più voci.
Ammettere una ricerca della verità con metodo socratico vuol dire riconoscere che esiste una verità che già esiste, che va trovata, e che non è creazione del soggetto: una volta trovata la volontà non può che piegarsi ad essa e non più libera di autodeterminarsi. E’ il capovolgimento della posizione laica, la quale nel caso specifico si dimostra già assai claudicante, poiché, dopo aver affermato il principio di autodeterminazione, facendo spallucce finge di non vedere le logiche implicazioni ben mostrate dal dott. Bruni. Mi sembra, quello di chiudere gli occhi davanti ad una semplice deduzione, un atteggiamento ben più dogmatico di quello rimproverato ai cattolici.
I quali non hanno bisogno di tirare in ballo la fede per essere contrari all’eutanasia. E’ sufficiente notare (socraticamente!) la contraddizione nella tesi dell’avversario: pretendere come diritto un’azione, quella eutanasica, che, sopprimendo la vita, sopprime la possibilità di esercizio del diritto stesso. Un cane che si mangia la coda.
Essere socratici è bella cosa ed è alla portata di tutti, credenti e no: basta saper mettere in discussione i propri dogmatismi, anche quando si ammantano di parole come “rispetto della libertà” o “autodeterminazione”.
Articolo 1, comma 7: “Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le
sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.”
Nessun inutile allarmismo né mielosità cattolica.
Se il paziente vittima di un incidente è cosciente e la moglie che viaggia al suo fianco, ferita ma cosciente, dice al medico che in vita suo marito aveva espresso la determinazione di non essere rianimato? Cosa faccio?
Articolo 4, comma 1: “1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di
seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni
con il medico e con le strutture sanitarie.”
Quesito per il medico sul luogo dell’incidente nel caso sopra descritto: il paziente incosciente aveva davvero dichiarato in vita che non voleva essere rianimato in caso di grave incidente? La moglie che dice di essere il “fiduciario” del marito incosciente lo è davvero? Rianimando quella persona contro il suggerimento della moglie sto compiendo un reato (già questo mi sembra una cosa assurda, per un medico, semplicemente fuori da ogni logica…)? Oppure se non lo rianimo e poi la moglie, passato lo shock, ritratta o pur non ritrattando si viene a scoprire, magari da parte della sorella del defunto, che in realtà il defunto aveva scelto la sorella e non la moglie come “fiduciario” e che, guarda caso, alla sorella aveva detto di voler essere rianimato, il medico incappa nel reato di omissione di soccorso?
Facile dire che quanto espongo sia provocatorio, falsamente allarmistico o cristianamente mieloso. Credo invece si tratti di casi realistici che la legge (a cui non interessa affatto il bene reale delle persone) semplicemente ha deciso di non rispondere.
Da medico, non da cristiano, sono scandalizzato che gli ordini dei medici non abbiano chiesto di fare luce sulle contraddizioni ed i rischi, reali, che la legge determina.
Da persona, non da cristiano, sono disgustato dall’ipocrisia di questa legge.
Insomma, in caso di intervento con ferito incosciente, si presta celermente il soccorso del caso, senza se e senza ma; e’ del tutto irrilevante il parere della moglie anche se dovesse essere la “fiduciaria” del marito, in quanto dovrebbe dimostrare il quanto con carte alla mano e nemmeno basterebbe, poiche’ il medico a cui compete la valutazione della gravita’ delle condizioni in cui versa l’infortunato potrebbe ritenere, in piena coscienza, che il ferito possa essere recuperato e salvato.
Dottor Bruni, lei scrive “Se il paziente vittima di un incidente è COSCIENTE e la moglie che viaggia al suo fianco, ferita ma cosciente, dice al medico che in vita suo marito aveva espresso la determinazione di non essere rianimato? Cosa faccio?” Mi verrebbe da risponderle che se il paziente vittima è cosciente non ha bisogno di essere rianimato , … no? Comunque, se anche fosse non cosciente l’articolo 1 recita: “… ove le sue condizioni cliniche e le CIRCOSTANZE consentano di recepirla. Credo che per certificare la presenza eventuale di DAT e per individuare con certezza il fiduciario della persona non cosciente traumatizzata le linee guida della legge prevederanno degli strumenti che permetteranno ai medici d’urgenza di operare con coscienza tranquilla e senza rischio di errorI e, soprattutto, senza perdita di tempo prezioso. Non può certo bastare la parola di una sedicente moglie coinvolta col marito non cosciente nell’incidente ad impedire le terapie d’urgenza per cercare di salvare la vita al paziente, che fino ad un attimo prima dell’incidente non aveva alcuna intenzione di togliersela. E aggiungo che non può bastare nemmeno la parola di quella stessa persona cosciente che A VOCE rifiuti un intervento salvavita su se stesso a far si che un medico d’urgenza si debba astenere dall’eseguirlo: quella persona potrebbe infatti non essere momentaneamene nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, magari in seguito ad un colpo in testa ricevuto nell’incidente o ad uno stato di ebbrezza. Se dovessi scrivere io le linee guida escluderei senza indugio le DAT e i fiduciari dall’ambito della medicina d’urgenza. Farei entrare in gioco le DAT ed i fiduciari solo una volta stabilizzato il paziente, per esaminarli a bocce ferme. Sono d’accordo con lei che sarebbe assurdo un caso grottesco come quello che ha descritto: ma la prima assurdità è che esso discende da un’assurdità ancor più grande: il fatto che una persona metta per iscritto che se un giorno qualunque, in cui avrà progetti da realizzare e voglia di vivere, verrà coinvolta in un incidente, perderà conoscenza e sarà a rischio della vita, non vorrà permettere a nessuno di tentare di salvargliela. Questa è l’assurdità più grande, se mi permette. Credo invece che una persona sottoscriva liberamente le DAT perchè non accetta l’eventualità di passare anni o decenni in stato vegetativo, tenuto in vita artificialmente dall’esterno senza ragionevole speranza di ripresa o risveglio. Comunque ogni legge è migliorabile: forse se noi cattolici, invece di fare le barricate, avessimo dialogato costruttivamente con tutti a questo punto la legge sarebbe migliore. Ma l’alternativa era che la legge non ci sarebbe stata, e che chi non accettava lo stato vegetativo a tempo indeterminato lo doveva comunque vivere per decisione di un medico o di un giudice, come è stato fin’ora.
Gentilissimo, la ringrazio per avere identificato un errore nel mio testo. Non nel ragionamento, che continuo a ritenere corretto (anche se il mio problema di medico, il problema per la mia coscienza di medico, non è dare a me stesso una risposta al quesito che pongo con gli esempi che ho fatto e alle problematiche, reali, checchè ne scriva qualcuno in questa chiacchierata: io so bene cosa farei in certe situazioni perchè in certe situazioni ci sono stato e mi sono sempre lasciato guidare dalla mia coscienza: semplicemente, a chi non si pone problemi di coscienza segnalo che la norma crea delle questioni di difficile risoluzione e che daranno da mangiare alla magistratura). L’errore è di ortografia perchè evidentemente (credo che fosse chiaro a tutti coloro che hanno voluto ragionare sul punto che ponevo, anche senza bisogno di spiegazioni) intendevo parlare di una vittima IN-cosciente e del suo fiduciario cosciente.
La presenza del fiduciario cosciente sul luogo dell’incidente perchè non dovrebbe valere come elemento per il riconoscimento delle volontà (DAT) del paziente incosciente sul luogo di un incidente quando è ammesso in un ospedale nelle stesse condizioni di incoscienza del paziente e di coscienza del fiduciario? Oppure quanto esprime il fiduciario non ha valore in qualche circostanza speciale? Allora perchè la legge non lo indica?
Tutto ciò predetto, quelli che ho espresso sopra, sono casi concreti sul quale non avrei le stesse certezze ostentate dal Signor Roberto circa l’interpretazione di parenti e magistrati, soprattutto conoscendo l’orientamento di certa parte della magistratura su temi delicati come questo.
Come detto per me il problema è più serio rispetto ai casi specifici citati. Il problema è la nulla considerazione del valore della vita che questa, come altre norme, esprime: semplicemente un trampolino di lancio per una prossima legge sull’eutanasia.
Dottor Bruni, avevo intuito che quel “cosciente” stava in realtà per “incosciente”. Ma se anche una persona che ha appena avuto un incidente ed e’ COSCIENTE si trova davanti ad un medico, non gli vieterà alcun intervento perchè ciò che gli preme di più in quel momento è continuare a vivere; alimentazione, idratazione, intubazione per la respirazione d’urgenza sono tutti atti che si devono eseguire con la ragionevolissima prospettiva di salvare la vita del paziente e riportarla, col tempo, ad uno standard normale. Questo lo desidera anche il paziente, ci mancherebbe! Nessuno vieterebbe questi interventi su se stesso in caso di intervento d’urgenza in seguito a trauma. Il problema, come ho cercato di spiegare, nasce dopo un anno passato in stato vegetativo, non nella medicina d’urgenza. Visto che ormai la medicina riesce a tenere vive persone in stato vegetativo per decine di anni (pensiamo ad Eluana Englaro) credo occorra uno strumento per fare in modo che chi non intende avvalersi di questa “tenuta in vita artificiale e a tempo indeterminato” possa rinunciarvi. Posso chiederle quale strumento Lei suggerirebbe per garantire questa opportunità di rinuncia alle persone che se non si volessero avvalere della suddetta “tenuta in vita”? Teniamo conto che si tratta di persone che, ormai, non possono più comunicare.
Che nessuno possa sapere quali siano e come possano essere gli sviluppi di una eventuale chiamata in giudizio e’ pacifico; la giurisprudenza (complesso delle sentenze emesse dalla magistratura ndr) insegna ma, nell’esempio riportato, al medico conviene adoperarsi ed operare per il meglio, prestando tutte le cure richieste del caso anche se le condizioni del ferito siano disperate con complicazioni estremamente invalidanti.
Age quod agis: per le DAT, discuteranno le parti interessate al momento opportuno, che non e’ certo quello del luogo del sinistro.
Con la cautela dovuta per le notize date dai media…
“Il biotestamento non prevede l’obiezione di coscienza. I medici che sceglieranno di andare in questa direzione saranno perseguibili per aver violato la legge. Il ministro Lorenzin deve garantirne l’applicazione”. Così Filomena Gallo,segretario dell’Associazione Coscioni,replica al ministro della Salute, che aveva dichiarato “di voler contemperare la necessità di applicare le nuove disposizioni con le altrettanto fondate esigenze di assicurare agli operatori sanitari il rispetto delle loro posizioni di coscienza”.
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-8473b861-59ce-4899-b9aa-dbd3e2c97e81.html
Credo sia utile avere sotto mano il testo della legge.
Ecco il testo della legge sul Biotestamento, approvato in aprile dalla Camera e oggi, 14 dicembre 2017, dal Senato in via definitiva.
Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento
Art. 1.
(Consenso informato)
1. La presente legge, nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.
2. È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo.
3. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
4. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
5. Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l’accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
6. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.
7. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.
8. Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura.
9. Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.
10. La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative.
11. È fatta salva l’applicazione delle norme speciali che disciplinano l’acquisizione del consenso informato per determinati atti o trattamenti sanitari.
Art. 2.
(Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita)
1. Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.
2. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.
3. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
Art. 3.
(Minori e incapaci)
1. La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà.
2. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità.
3. Il consenso informato della persona interdetta ai sensi dell’articolo 414 del codice civile è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l’interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità.
4. Il consenso informato della persona inabilitata è espresso dalla medesima persona inabilitata. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.
5. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l’amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all’articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.
Art. 4.
(Disposizioni anticipate di trattamento)
1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
2. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che è allegato alle DAT. Al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che è comunicato al disponente.
3. L’incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.
4. Nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile.
5. Fermo restando quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 1, il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, si procede ai sensi del comma 5 dell’articolo 3.
6. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 7. Sono esenti dall’obbligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni.
7. Le regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.
8. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della salute, le regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare della possibilità di redigere le DAT in base alla presente legge, anche attraverso i rispettivi siti internet.
Art. 5.
(Pianificazione condivisa delle cure)
1. Nella relazione tra paziente e medico di cui all’articolo 1, comma 2, rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l’équipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità.
2. Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative.
3. Il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico ai sensi del comma 2 e i propri intendimenti per il futuro, compresa l’eventuale indicazione di un fiduciario.
4. Il consenso del paziente e l’eventuale indicazione di un fiduciario, di cui al comma 3, sono espressi in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso video-registrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare, e sono inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico.
5. Per quanto riguarda gli aspetti non espressamente disciplinati dal presente articolo si applicano le disposizioni dell’articolo 4.
Art. 6.
(Norma transitoria)
1. Ai documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o presso un notaio prima della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni della medesima legge.
Art. 7.
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione delle disposizioni della presente legge nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 8.
(Relazione alle Camere)
1. Il Ministro della salute trasmette alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, a decorrere dall’anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, una relazione sull’applicazione della legge stessa. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di febbraio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministero della salute.
Grazie Massimo. Ora, sempre ammesso che la notizia di cui sopra sia precisa, alla fine della fiera ha ragione Filomena Gallo od il Ministro Lorenzin?
Max, effettivamente nella legge non si parla di obiezione di coscienza. Ma mi chiedo e ti chiedo su cosa dovrebbe eventualmente vertere l’obiezione di coscienza dei medici, ai quali da questa legge non è richiesto alcun intervento ATTIVO sul paziente, ma solo l’ASTINENZA da interventi di idratazione, alimentazione e respirazione. Perchè altrimenti bisognerebbe riconoscere che i medici hanno DIRITTO ad alimentare, idratare e far respirare un paziente che non voglia accettare questi interventi su se stesso se si trovasse in stato permanente di non coscienza. Nel caso dell’aborto l’obiezione di coscienza è più che giustificata, perchè al medico si chiede di interrompere attivamente la vita di un bambino, ma qui?
Non e’ che i medici abbiano diritto: i medici hanno il dovere di salvare e mantenere la vita ad una persona. Cosa che fanno in milioni di casi in tutto il mondo.
Fermare il nutrimento di base per una persona significa praticamente farla cessare di vivere. Alcune persone sostengono che anche il semplice somministrare acqua e nutrimento sia un trattamento clinico/terapeutico, per me – e per tanti altri – invece non lo e’.
Non vorrei mai ritrovarmi nella condizione di un medico che non voglia cessare il nutrimento ad un proprio paziente ma che si trovi costretto a farlo, e nel farlo dare la morte al proprio paziente.
@Marangoni: Nessun fraintendimento o tentativo di ingenerare confusione, l’equazione da stigmatizzare e’: “se la vita e’ un dono di Dio non puo’ essere una imposizione di Dio”; che e’ quanto sostengono coloro che ritengono che si possa intervenire in ogni circostanza nella vita di un individuo: con le DAT, oppure accompagnando un individuo estremamente sofferente in qualche clinica svizzera per la pratica del suicidio assistito. Il cattolico ritiene che la vita essendo un dono di Dio, checche’ se ne pensi, sia pertanto un bene indisponibile e che vada preservata sino all’ultimo anelito e in qualunque condizione pur invalidante che sia; in sostanza si ritiene che si debba fare la propria parte sino in fondo, accettando ogni cura sino al limite della condizione umana mortale, accettando “sorella morte” solo quando questa diventi ineluttabile e non prima. E’ dunque moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli quando si prende atto di non potere contrastare questo limite umano. Dio potrebbe non esistere? Dio e’ un «proprium», un qualcosa della stessa natura umana. Lo sostiene Cartesio, ritenendo che l’idea di Dio sia una presenza assoluta e originaria: “si nasce con una relazione col divino”. Anche il prof. Zichichi sostiene che La scienza non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla.
Mi piacerebbe poter discutere di questi argomenti senza ricorrere a principi di fede, perchè se lo facciamo rischiamo la Babele delle fedi visto che ciascuno, anche l’ateo, ha una sua fede. Cosa diciamo ad una persona che non crede che la sua vita gli sia indisponibile, che non crede di averla ricevuta da Dio, che non crede che su di essa, se si trovasse in condizione persistente di non comunicazione col mondo, le decisioni le debbano prendere i medici o i parenti?
A quella persona, si potrebbe consigliare la lettura del libro-diario di una ragazza che si sottoponeva a dialisi peritoneale quattro volte al giorno ed a cui non era rimasto nemmeno piu’ un solo lembo di pelle, per cui non era possibile trasportarla senza causarle atroci sofferenze. Quando si rese necessaria la succlavia per altre complicazioni, i famigliari, mossi a pieta’, le chiesero:” vuoi sottoporti anche a questo? Non hai sofferto gia’ abbastanza?” Ma lei ribatte’: “io devo fare la mia parte sino in fondo”… e chi la conobbe, sa che dialogava con l’Onnipotente…
Resta il fatto Roberto, che parlando di questo specifico caso, se la ragazza avesse rinunciato all’ennesimo trattamento, non avrebbe commesso nessuna colpa, né verso se stessa, né verso i famigliari, né verso l’Onnipotente.
Concordo pienamente! In rete, si trovano svariate testimonianze come queste.
Appunto, Roberto. Si potrebbe consigliare qualcosa. Ma un consiglio lascia libera la persona di seguirlo o meno; altrimenti si chiama imposizione. Le leggi invece non consigliano: impongono. Per cui torno a chiederti come vogliamo trattare una persona che non crede che la sua vita gli sia indisponibile, che non crede di averla ricevuta da Dio e via dicendo. Mi pare un atteggiamento piuttosto paternalistico, per usare un eufemismo, quello di chi vuole sottoporre il comportamento degli altri alle proprie convinzioni morali. Gesù non era affatto paternalista …
Si nasce per volonta’ altrui, anche se non lo si vorrebbe e questo fatto non e’ una convinzione morale. Lei e nato per volonta’ dei suoi genitori che a loro volta sono nati per la volonta’ di altri. In origine l’uomo (inteso come maschio e femmina), e’ nato per volonta’ di Dio per cui noi gli apparteniamo e, sul suo esempio, dobbiamo fare la nostra parte sino in fondo e prendere atto che la vita sia inviolabile ed un bene indisponibile.
Se poi si ritiene che si nasca dall’oscurita’ e si proceda verso il nulla, allora tutto e’ lecito, anche ogni deriva che con le DAT non mancheranno sicuramente.
Saluti.
Max, la versione moderna del giuramento di Ippocrate dice, fra l’altro:
“rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto”. Questo reciproco rispetto significa che l’atto medico è l’incontro fra due libertà: quella del medico di curare e quella del paziente di lasciarsi curare. Se una di queste due libertà manca, l’atto medico non può svolgersi. Il dovere di cercare di salvare la vita al paziente deve passare attraverso la disponibilità del paziente ad accettare di farsi salvare la vita. Quando il paziente non può più comunicare e si trova in uno stato vitale artificiale che in precedenza ha dichiarato di non accettare, viene a mancare la libertà del paziente. Astenersi dal fare una cosa per rispetto alla libertà di un altro che non l’accetta non è affatto equivalente a dare attivamente la morte. Cerchiamo di non considerare paternalisticamente il paziente come un oggetto da rianimare.
Roberto, io sono credente come te. Io credo che la mia vita me l’abbia data il Creatore, affidandola ai miei genitori. E con la vita il Creatore mi ha dato anche la libertà. Proprio in nome della libertà che innanzitutto Dio ha concesso all’uomo (e per primo ha rispettato fin dai tempi del peccato originale, non accetto che le mie convinzioni personali debbano per legge essere imposte a chi non le ha, a chi crede che la propria vita sia innanzitutto sua per “volere” del caso, perchè a Dio non crede.
Invece tu, in nome delle tue convinzioni, stai togliendo la libertà di rifiutare un intervento esterno ad una persona che non vuole accettare una condizione di vita artificiale e innaturale a tempo indeterminato. Se un giorno qualcun altro, in nome delle sue convinzioni, toglierà a te la possibilità di rifiutare un intervento esterno … non ti lamentare.
Non ci comprendiamo proprio: evidentemente non crediamo nello stesso Dio.
Saluti.
🖑🖐
Roberto, e tu in quale Dio credi? Cos’è la libertà personale per il Dio in cui credi?
Fare solo la sua volonta`: che non e’ certo quella di cercare scorciatoie…
Sei molto bravo con le parole ma perdonami, ma hai glissato su un punto fondamentale. Per me e per tante altre persone, dare del nutrimento ad una persona non e’ una terapia medica.
Poi tu continui a parlare di intervento esterno forzato sul paziente, in condizioni terribili e non recuperabili. Per quello che so, si tratta di pochi casi limite. Il mio terribile sospetto e’ che tale legge sara’ – come e’ successo nei Paesi dove e’ stata introdotta una legislazione di questo tipo – forzata per permettere anche a condizioni di diverso tipo di essere “trattate”. E magari a rimetterci saranno le persone psicologicamente piu’ deboli.
Nel Regno Unito, un paese molto piu’ secolarizzato del nostro, ci si e’ opposti ripetutamente e decisamente a proposte di legge simili, l’ultima era “Exit with dignity”. La ragione e’ stata ripetuta dai medici stessi: “the law is in place to pretect the weakest”.
Infine, come dicevo prima, forzare una persona, un medico, ad avere il tuo pensiero, questo si’ e’ sbagliato. L’obiezione di coscienza e’ un diritto per tutti, deve essere prevista per casi molto delicati e difficili come questo e non solo per chi prende decisioni che ci piacciono.
Ma poiche’ chi ha gioito dell’approvazione di questa legge in realta’ ha anche in mente di combattere la religione, ecco che si spiegano le dichiarazioni di Filomena Gallo. Poi magari qualche cattolico ben intenzionato ma ingenuo l’aiuta anche.
Max, che nutrire una persona con un sondino naso gastrico sia o non sia una terapia medica è una questione secondaria, sulla quale ci si arrampica per non discutere su quella primaria; la questione primaria è che per nutrirlo si entra dentro di lui e, nel contempo, gli si vuole negare la possibilità di rifiutare questa pratica. Quando quell’istrione provocatore e strumentalizzatore di Pannella faceva gli scioperi della fame e della sete per questo o quel motivo nessuno si permetteva di dire che occorreva dargli da mangiare forzatamente, anche se le sue condizioni si aggravavano. Nemmeno il Presidente della Repubblica, nemmeno il suo medico. Mi chiedo e ti chiedo perchè invece se uno dichiara che non vuole essere nutrito se un giorno si dovesse trovare in stato vegetativo persistente non si dovrebbe rispettare la sua volontà. Ci sono circa 3000 persone in stato vegetativo persistente, come puoi leggere nel link che ho inserito nella risposta a Francesca. Non sono affatto poche. Vorresti spiegare in che modo verrebbe forzato il pensiero di un medico se gli si chiede di astenersi dal nutrire una persona che non vuole essere nutrita? Lui può pensare tutto quello che vuole; quello che non deve fare è agire su uno che non vuole ricevere le sue azioni. Se non accetti questo vuol dire che indirettamente introduci un DIRITTO che non esiste: quello del medico ad entrare nel corpo di un paziente che non vuole. Il medico ha certamente un diritto. quello di agire (quando ha il permesso di agire, perchè questa condizione è fondamentale) in scienza e coscienza. Ma se non ha il permesso di agire … si deve astenere dall’agire. Non è complicato. Filomena Gallo non so chi sia e non ho certo chiesto a lei cosa scrivere qui. Sono anni che scrivo queste cose, da quando sono pur andato ad Udine con amici a portare una bottiglietta d’acqua davanti all’ospedale dove Eluana Englaro veniva lasciata morire senza idratazione per abbandono terapeutico. Sono ancora convinto che quell’episodio sia stato un omicidio di Stato perchè non si può prendere per attendibile la dichiarazione solo verbale (non scritta nè, probabilmente, meditata) di una ragazza che dice che non vorrebbe vivere come un vegetale. Ma quello stesso episodio mi ha richiamato a dover dare una risposta ad Eluana, l’unica che non abbiamo potuto sentir parlare. Se le fosse stato possibile scrivere delle DAT quando era cosciente (cosa di cui molti cattolici non vogliono nemmeno sentir parlare) avremmo sentito anche la sua voce. E allora avremmo dovuto rispettarla, perchè il rifiuto di qualcosa è un atto di libertà che deve essere possibile a tutti, anche se non possono più parlare.
Marco Pannella, nei suoi digiuni debilitanti era pienamente cosciente e non e’ corretto dire che nessuno si permettesse di contrastarlo nei suoi intenti; forse questo fu parzialmente vero agli albori di queste inconsuete pratiche di protesta quando soltanto i compagni a lui vicini intervenivano ad un certo punto ma, negli ultimi debilitanti digiuni, vuoi ormai l’eta` avanzata, persino il Papa, mosso a compassione, riverso’ il suo amore su di lui che, visibilmente toccato e commosso, desistette, salvo poi riprendere successivamente quel modus operandi evidentemente ad egli “caro”. Con questo voglio dire che se si vuole fare dell’autolesionismo e dello scempio con la propria vita sempre e’ possibile ma, se si e’ circondati da gente conscia della sacralita’ della vita, consapevole che essa sia degna di essere vissuta sino all’ultimo estremo respiro, che si attiva riversando amore e com-passione anche laddove tanti, ristretti in una miope visione immanentistica consiglierebbero altre strade, un soggetto, pur in condizioni miserevoli puo’ ricavare la consapevolezza che la sua vita abbia comunque un significato. Penso ad esempio al calciatore Stefano Borgonovo che amato riversava a sua volta tutto il suo amore verso la famiglia. Visse il suo calvario sino al limite consentito e dopo la sua ascesa al cielo, la famiglia capitalizzo’ quel bagaglio di amore e serenita’ profuso in tutti quegli anni di amorevoli sacrifici: sul volto dei famigliari era impresso quel sentimento proprio di chi ama integralmente, facendo propria la croce altrui. Tu, caro Marangoni, citando Marco Pannella per significare che ogni individuo abbia il sacrosanto diritto di disporre pienamente della propria vita senza vedersi preclusa alcuna via, anche quella di disfarsene per qualsiasi ragione: perche’ il “sistema” o il mondo non ci piace , o perche` la sofferenza morale o fisica e’ l’unica prospettiva in avanti, hai dimostrato involontariamente il contrario dei tuoi propositi: Pannella, determinato a spingersi sino in fondo nei suoi intenti perche` schifato da un sistema da egli ritenuto vessatorio e prevaricatore, e’ stato “salvato” anche e soprattutto dalla solidarieta’ e dall’ amore di soggetti che non condividevano la sua sofferenza o “insofferenza” ma che ritenevano che la sua vita non avesse comunque prezzo. Cosi’ succede per i “tremila” che vivono in condizioni che gli “indifferenti” considerano indegnita’ di vita…
Roberto, ti invito a riportare correttamente quel che scrivo. Non ho scritto affatto che “nessuno si permettesse di contrastarlo nei suoi intenti”. C’è chi ha tentato di dissuaderlo, ed è proprio quello che desiderava lui, a mio parere: l’essere corteggiato e supplicato. Io ho scritto che “nessuno si permetteva di dire che occorreva dargli da mangiare forzatamente, anche se le sue condizioni si aggravavano.” Comprendi la differenza? Guarda che chi fa lo sciopero della fame e della sete sul serio e non per “istrioneria” lo fa una sola volta nella vita; poi non ha più il tempo per rifarlo una seconda volta. Pannella ne ha fatti decine e decine … Io non considero affatto i 3000 pazienti in stato vegetativo indegni di vivere; io vorrei solo che venissero trattati come persone, che venisse loro riconosciuta la possibilità di dire di no, se vogliono. E’ proprio chi non riconosce loro questa possibilità che li tratta come cose
Ma le cose quando sono inservibili si gettano…
Si coglie la differenza?
No, non si coglie. Perchè innanzitutto una persona viene trattata come cosa, negandole anche l’unico atto che può compiere, cioè il rifiuto dell’alimentazione. Poi, essendo comunque una persona e non una cosa, ovviamente non la si getta ma la si trattiene in vita alimentandola. Questo è ciò che vorresti fare tu.
Sono a conoscenza di un caso pietoso che rientra nei “3000”. Una donna, madre di due figli e’ in stato vegetativo dal 2.003. A detta dei medici, il suo stato e’ irreversibile perche’ l’abuso di droghe a cui era adusa, gli ha bruciato il cervello; da qualche anno e’ custodita in casa dei genitori in una camera attrezzata allo scopo, curata amorevolmente da coloro che le hanno dato la vita ed ora custodiscono quel tempio in cui l’anima ancora dimora, (parole dei genitori, nda). Domanda: si puo’ dunque considerare che tale persona sia trattata come una cosa?
Siamo sempre lì, Roberto. Siamo sempre a decidere per gli altri che la loro vita di persone in condizione di cose deve essere vissuta per forza perchè è la loro vita. Siamo sempre a impedire a ciascuno di poter rifiutare un intrervento su se stesso in nome della nostra morale. Io sono certo che i genitori della donna che citi custodiscano la loro figlia come meglio nessuno potrebbe fare. Ma, se davvero riconosciamo a quella donna la dignità di persona, vogliamo riconoscerle anche la possibilità di esprimersi quando ancora lo poteva fare? Perchè se la saltiamo a piè pari questa dignità continuiamo a nasconderci dietro la cura che le assicurano i suoi genitori o, in seconda battuta, lo Stato e a considerarla un oggetto delle cure altrui; una cosa, appunto. La protagonista della vicenda, appunto la donna in stato vegetativo, non la consideriamo per nulla come persona.
E si, discutiamo di “aria fritta”: l’avevo detto che non ci comprendiamo proprio.
Vorrei significare che le persone in condizioni giudicate “irrecuperabili” rimangono tali e la loro condizione non permette di qualificarle come “non persone”; ne faccia memento. Cito un caso o meglio una testimonianza diretta ascoltata in un servizio RAI qualche anno addietro: una giovane, ritenuta in coma irreversibile, veniva trattata con sufficienza dal personale paramedico, che, nelle normali operazioni di routine quale il cambio del catetere, praticava atti di vero sadismo gratuito come l’infilare uno spillone nella viva carne immota, (per sperimentare se il soggetto avesse reazioni ad un dolore intenso), non preoccupandosi affatto se il soggetto potesse avere una qualsiasi sensibilita’. Ebbene, quando questa persona si risveglio’ improvvisamente con stupore dei medici medesimi, riporto’ con dovizia di particolari gli orrori e le angherie patite e aggiunse che poteva ascoltare tutti i discorsi fatti al suo “capezzale”…
Chissa’ che ulteriore “coccolone” si sarebbe presa se qualcuno, considerandola una “cosa”, avesse voluto liquidarla arbitrariamente…
Faccio memento, Roberto, faccio memento. Lo facevo anche prima che me lo ricordassi tu il memento. Ed infatti io considero PERSONE le persone in stato vegetativo persistente. Se le considerassi COSE non discuterei qui e non sosterrei l’opportunità delle DAT per cose in stato vegetativo persistente. Non avrebbe alcun senso. Cerca di considerarle persone anche tu, Roberto; persone con loro desideri e loro principi personali, con loro morale e loro capacità di decidere per se stesse. E considera che per quella persona che hai ascoltato alla radio dopo che si è risvegliata dallo stato vegetativo persistente ce ne sono altre 299 che non si risvegliano affatto.
Mi fa piacere che almeno siamo d’accordo sul caso Englaro, che non c’entra nulla con il testamento biologico ed e’ stato un omicidio di Stato.
Ma continuo a pensare che dare cibo ed acqua ad una persona non sia una terapia medica. Ne’ credo che sia una questione stucchevole. Si tratta invece di una cosa basilare della nostra esistenza. A volte bisogna mettere dei tubicini? lo si fa in vari casi e nessuno parla di invasione del corpo del paziente allora. E’ soltanto una tecnica per nutrire una persona. E **forzare** dei medici a pensarla diversamente e’ una violenza.
Se un paziente vuole proprio morire, od una persona vuole fare scioper della fame (per quanto Pannella & co. per me erano piu’ cose mediatiche che altro) non chieda ad un “medico” di non fare nulla quando lo vede morire. L’unica cosa che un medico puo’ fare e’ evitare trattamenti dolorosi che prolunghino l’esistenza di poco.
E comunque, rimane inevasa la questione che ponevo prima: la pressione psicologica su chi e’ piu’ debole per “togliersi di mezzo”, fosse anche se e’ rimasto in condizioni vegetative, piu’ o meno permanenti. Se anche tutti gli altri argomenti fallissero, solo questo basterebbe per reputare la DAT una legge sbagliata.
Come gia’ hanno fatto presente Stefano ed altri autori piu’ sopra, le cose non sono bianche e nere. Nella realta’, i cari netti sono rari. Il principio ideale di rispettare la volonta’ delle persone, che tanto si cita e si ripete, deve essere calato nella realta’, che puo’ essere diversa da come ce la saremmo aspettati. E qui si apre la porta ad abusi di ogni tipo. Abusi che, nel caso specifico, significano terminare una vita umana.
Si vuole controllare con attenzione che cio’ non accada, con dei precisi paletti? Anche l’aborto, si diceva in UK quando la legge fu introdotta, avrebbe dovuto essere solo per casi specifici e particolari. Oggi basta dire che un bambino ti farebbe venire il mal di testa per poter abortire.
L’unica via per uscirne e’ la pratica della prudenza, come hanno fatto i Britannici respingendo piu’ volte la Exit with Dignity.
Max, riprendo le tue parole.
“Mi fa piacere che almeno siamo d’accordo sul caso Englaro, che non c’entra nulla con il testamento biologico ed e’ stato un omicidio di Stato.
Ma continuo a pensare che dare cibo ed acqua ad una persona non sia una terapia medica. Ne’ credo che sia una questione stucchevole. Si tratta invece di una cosa basilare della nostra esistenza. A volte bisogna mettere dei tubicini? lo si fa in vari casi e nessuno parla di invasione del corpo del paziente allora. E’ soltanto una tecnica per nutrire una persona. E **forzare** dei medici a pensarla diversamente e’ una violenza.
Se un paziente vuole proprio morire, od una persona vuole fare scioper della fame (per quanto Pannella & co. per me erano piu’ cose mediatiche che altro) non chieda ad un “medico” di non fare nulla quando lo vede morire. L’unica cosa che un medico puo’ fare e’ evitare trattamenti dolorosi che prolunghino l’esistenza di poco.”
Dunque come guidichi il fatto che Welby abbia chiesto ed ottenuto di farsi staccare il respiratore? Un omicidio? Con le DAT non si forzano i medici a pensarla diversamente; possono continuare a pensare come vogliono: si “forzano” a non AGIRE contro il volere di un paziente. C’è una bella differenza. Altrimenti dovremmo affermare il principio che un medico ha il diritto di entrare nel corpo del paziente che non vuole, sempre e comunque se lo decide lui per il bene del paziente. Non mi pare che questo diritto sia scritto da qualche parte. Mi pare invece che sia scritto da qualche parte che la libertà della persona umana è inviolabile, e di conseguenza anche il suo corpo. Non si può intendere l’obiezione di coscienza a livello di azione, ma di astinenza dall’azione. Se no i medici antiabortisti avrebbero il dovere morale di interrompere attivamente ogni IVG compiuta dai loro colleghi abortisti, perchè questo confligge col loro pensiero. Invece i medici antiabortisti, giustamente, hanno il diritto di astenersi dal praticare aborti e di continuare a pensare che siano omicidi. Ma non possono far valere l’obiezione a livello attivo, altrimenti avremmo continui conflitti nelle corsie di ginecologia. Riguardo alla pressione psicologica, il punto che hai definito “inevaso”, non la impedirà certo la mancanza di DAT. Anzi, mi permetto di dire che con le DAT un futuro paziente non cosciente può almeno tutelarsi dalle decisioni contrarie alla sua permanenza in vita eventualmente prese dai parenti. A noi parenti, poco più di due mesi fa, i medici avrebbero presto chiesto il permesso di alimentare mio padre con un sondino naso-gastrico perchè ormai le flebo non si potevano più fare. Poi mio padre è deceduto per una crisi renale prima che si arrivasse alla decisione, ma la decisione l’avremmo presa noi, non mio padre. Quindi le DAT sono, eventualmente, una garanzia per il paziente. Ma io le difendo a spada tratta solo per gli stati vegetativi persistenti.
Se una persona si vuole suicidare, ovviamente trovera’ un modo per farlo, ma non si puo’ chiedere ad un medico di non intervenire per continuarla (tranne che per solo un poco ed a prezzi molti alti in termini di dolore), meno che mai se il medico si limita solo a dare l’essenziale, cibo ed acqua, quindi non e’ nemmeno un medico ma un normale essere umano dato che cibo ed acqua non sono medicine ne’ trattamenti medici. Il paragone con l’obiettore di coscienza non vale, perche’ il il medico obiettore puo’ non praticare quello che una madre avrebbe deciso per la vita umana nel suo grembo, mentre un dottore che viene forzato ad applicare la DAT non avrebbe scelta. Almeno una parita’ di trattamento?
Si’, per me Welby si e’ voluto far uccidere ed ha voluto che la sua storia avesse un gran riscontro mediatico, come d’altra parte i radicali fanno da decenni a questa parte; cercano di usare il dolore ai proprio scopi. Cosa che ha attirato le critiche anche di chi di solito non scrive per l’Osservatore Romano.
Riguardo l’ultima questione, non se la prenda, ma lei mostra ingenuita’. Lei e’ davvero sicuro – si ricordi, parliamo di **vite umane** – che nessuno in pratica verra’ spinto a “togliersi di mezzo” grazie all’attuale DAT? Con centinaia di casi pratici che si porranno? Esca dalla torre d’avorio per favore. Si ricordi che la maggior parte dei medici che nella pratica, nella vita reale, si occupano di pazienti in condizioni terminali e’ contraria a leggi di eutanasia attiva e passiva. Ci sara’ pure una ragione, no?
Poi ovviamente nessuno puo’ essere “terminato” contro la sua volonta’; questa e’ l’invenzione dell’acqua calda, non e’ frutto della DAT; non e’ la DAT che ci tutelerebbe, come lei scrive.
Rispondo a Max. Max, applicare le DAT significa ASTENERSI dall’eseguire interventi esterni sul paziente, perché le DAT prevedono solo una serie di interventi che il paziente RIFIUTA, non interventi che il paziente PRETENDE DI RICEVERE. E’ chiara questa differenza? Dunque a un medico e’ chiesto semplicemente di non intervenire, e non di intervenire secondo i desideri del paziente. Poi vorrei farti osservare che chi rifiuta un trattamento esterno non si suicida ma accetta che la sua natura faccia il proprio corso. Se uno rifiuta un intervento vitale, ad esempio un trapianto di cuore, non si suicida ma preferisce accettare ciò che la sua propria natura prevede come esito della sua malattia. E mi pare che nessuno possa costringere un paziente a farsi trapiantare il cuore per non morire; o no? Lo stesso accade per una persona in stato vegetativo persistente, in cui non può comunicare né alimentarsi né cibarsi da sola. Per alimentare ed idratare artificialmente un paziente ci vuole un medico o un infermiere. Un semplice civile non può farlo: la semplice sostituzione di una flebo o di una sacca per l’alimentazione deve essere compiuta da personale sanitario, per cui è una terapia medica, non semplice accudimento del paziente. Le DAT ci tutelerebbero perché metteremmo nero su bianco ciò che accetteremmo e ciò che non accetteremmo in stato vegetativo. Senza DAT altri deciderebbero per noi. Può darsi che qualcuno ricorrerebbe alle DAT per non gravare sui familiari, e lo farei anch’io se mi dovessi trovare in stato vegetativo persistente; lo trovo un atto di amore verso i familiari, e comunque la scelta può essere condivisa con i familiari stessi e non presa da soli. L’alternativa sono decenni passati in stato vegetativo fino alla morte, come sarebbe avvenuto per Eluana Englaro. Poi il fatto che uno in quella condizione non ci volesse stare diventerebbe del tutto secondario, tanto non si lamenterebbe mica … Un tempo i militari davano il colpo di grazia ai compagni d’armi che venivano feriti senza prospettiva di guarigione: questo era un patto fra commilitoni che tutti accettavano per ridurre le sofferenze e per non gravare sui commilitoni. Era concepito come un atto di responsabilità reciproca non come una barbarie.
Scrive Massimo Marangoni: «Mi piacerebbe poter discutere di questi argomenti senza ricorrere a principi di fede …».
E ancora: «Proprio in nome della libertà che innanzitutto Dio ha concesso all’uomo e per primo ha rispettato fin dai tempi del peccato originale, non accetto che le mie convinzioni personali debbano per legge essere imposte a chi non le ha, a chi crede che la propria vita sia innanzitutto sua per “volere” del caso, perché a Dio non crede».
Piacerebbe a molti, è vero! Credo però sia impossibile riuscirci, quando chi interviene, è convinto di possedere la verità assoluta.
Per nostra fortuna il tempo in cui “Berta filava”, quando la Chiesa cattolica faceva il bello e il cattivo tempo, imponendo i propri dogmi, appartiene ormai al passato e i tanti personaggi alla “Roberto”, convinti di dover ancora oggi, non si sa bene in ossequio a quale privilegio, insegnare o peggio imporre agli altri come vivere e come considerare la propria esistenza, sono ormai divenuti inoffensivi.
Rispettare chi possiede una visione diversa dalla propria vuol dire accettare l’idea che chi sta di fronte abbia un gradiente di verità se non superiore almeno uguale al proprio. Non è una certezza, è però un atteggiamento psicologico di grande civiltà e onestà intellettuale.
Un conto sono i credenti che ammettono che la loro fede può anche essere messa in questione e mai disgiunta dal dubbio e un conto sono i militanti della fede, chi non consente di mettere in dubbio nulla. Con costoro non si deve discutere, perché si è immediatamente squalificati nella condizione dialogica. Con chi crede di possedere la verità assoluta, il dialogo oltre che inutile è impossibile.
Mah!…Un teologo tra i piu’ grandi del ‘900 asseriva che i credenti avrebbero fatto bene a tenersi alla larga dagli atei, anche da quelli ammirabili, dunque figuriamoci dai mediocri: questione di punti di vista.
Il cristiano non impone nulla ma crede che Gesu’ Cristo si sia incarnato per tutti gli uomini e non solo per taluni, per cui, con forza, propugna le proprie idee alla luce della parola data. Fu cosi’ per i primi cristiani che affrontarono il martirio pur di non rinnegare valori deputati irrinunciabili e mettere in discussione la propria fede ed e’ cosi’ anche ai nostri giorni dove, in certe parti del mondo, il cristiano e’ spesso ucciso per la sua testimonianza di vita vissuta sull’imitazione di Cristo.
Mario, non sono d’accordo con quello che scrivi. Rispettare chi possiede una visione diversa dalla mia, per me non vuol dire affatto accettare l’idea che chi mi sta di fronte abbia un gradiente di verità se non superiore almeno uguale al mio, per usare le tue stesse parole. Se no la verità sarebbe una cosa indifferente: se io pensassi che un altro possiede la verità come o più di me, mi converrebbe aderire al suo pensiero direttamente, così sarei vicino come o più di prima alla verità. No, il rispetto non è affatto credere che l’altro sia nella verità come o più di me. Il rispetto è lasciare che egli viva secondo la sua visione della verità, almeno per ciò che riguarda la sua vita personale (se entrano in causa anche terze persone le cose cambiano) anche se io continuo a preferire la mia verità che continuo a giudicare più adeguata della sua, più vera della sua. Non credi?
Massimo, non sei obbligato a essere d’accordo con ciò che scrivo. Nessuno lo è, ci mancherebbe.
Se però vuoi riferirti alle mie parole, devi farlo senza omettere nulla, altrimenti stravolgi il senso del mio pensiero.
«…Accettare l’idea che chi sta di fronte abbia un gradiente di verità se non superiore almeno uguale al proprio. Non è una certezza, è però un atteggiamento psicologico di grande civiltà e onestà intellettuale».
Senza quel necessario atteggiamento psicologico di accettazione e di rispetto, che non vuol dire per nulla accettare che chi ci sta di fronte possiede la verità, il dialogo verrebbe meno e ognuno resterebbe della propria idea. Come del resto accade, quando chi parla, giudica o argomenta lo fa in modo dogmatico, dando alle parole un carattere di validità assoluta.
Affermare che la vita è un dono di Dio e di conseguenza nessuno può disporne va benissimo per chi crede in Dio. Tuttavia c’è chi non crede e desidera decidere in piena libertà della propria vita e non di quella di un qualcun altro.
“Credere” non vuol dire “sapere”: c’è una bella differenza! E, infatti, in quella che è considerata la professione di fede più rilevante della religione cattolica, il Credo, si recita: «Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra…» e non «Io so che Dio, Padre onnipotente è Creatore del cielo e della terra…».
Mario, non era mia intenzione stravolgere il tuo pensiero. Ma ci tenevo a precisare che per me rispettare una persona non vuol dire affatto pensare che abbia un gradiente di verità uguale o superiore al mio. Questo invece era il messaggio che avevo tratto dalle tue parole.
Questa legge è il baco dal quale in qualche istante si librerà la nera farfalla dell’eutanasia e del suicidio assistito, perché il Male non si è mai accontentato dei compromessi.
Perfetto, Antonio: questa legge e’ prodromica all’eutanasia.
Massimo Marangoni scrive:
“Mi piacerebbe poter discutere di questi argomenti senza ricorrere a principi di fede, perchè se lo facciamo rischiamo la Babele delle fedi visto che ciascuno, anche l’ateo, ha una sua fede. Cosa diciamo ad una persona che non crede che la sua vita gli sia indisponibile, che non crede di averla ricevuta da Dio, che non crede che su di essa, se si trovasse in condizione persistente di non comunicazione col mondo, le decisioni le debbano prendere i medici o i parenti?”
Le si potrebbe dire che qualcuno – della sua famiglia o qualcuno dei suoi amici, e se non ha amici/famiglia: la società, cristiana italiana – lo vorrebbe vivo il più a lungo possibile perché la sua vita è preziosissima. Per tutti.
È un dono prezioso, insostituibile, per qualcuno della sua famiglia. È preziosa per un suo amico, per una sua amica, o anche per qualcuno che lui/lei non conosce ancora – magari è e sarà preziosa per quel medico che lo curerà nelle fasi ultime, magari per mesi.
E quindi – gli si dice: noi vorremmo che tu resti in questa vita, con noi, finché puoi, finché ce la fai. E se ce la fai lo puoi capire e vedere soltanto in quel momento. Non lo puoi decidere prima (anticipatamente) senza conoscere tutte le circostanze – e senza neanche sapere chi sarà accanto a te e a chi farai del male se vorrai andartene prima.
In quel momento, se temi di non farcela a sopportare la tua condizione: qui in Europa abbiamo tutti i mezzi, tutti i farmaci per lenire e quasi sempre eliminare del tutto il tuo dolore. La ricerca scientifica continua ogni giorno per questo. E noi vorremmo avere la benedizione della tua vita qui con noi …e ti preghiamo di concedercela… e ti preghiamo di perdonarci se mentre eri in piena salute ti abbiamo fatto pensare che la tua vita non valesse così tanto e che la tua compagnia ci fosse indifferente, e che i tuoi dolori nella malattia sarebbero stati solo un problema tuo, e che ti avremmo lasciato lì a fronteggiare dolore fisico e solitudine… nella disperazione senza senso. Perciò hai potuto pensare che la vita fosse soltanto un fatto tuo personale… ma non è così.
Tu sei unico/a ed insostituibile. Ogni istante della tua vita lo è. Anche (e soprattutto) il più disgraziato, il più terribile… o il più incosciente “vegetante”. Consentirà a noi di dimostrarti se abbiamo ancora un briciolo di dignità, se noi valiamo qualcosa o no. Non sarai tu a dover dimostrare che la tua vita abbia un senso. Saremo noi a doverti dimostrare di non essere dei vigliacchi. Se tu ci vorrai dare la benedizione della tua vita, anche inconsciente, noi cercheremo di esserne all’altezza. Ti seguiremo e ti cureremo. Se non ce la faremo la colpa sarà nostra.
Se ti deluderemo sarà la nostra umanità ad esserne macchiata. Non la tua.
Questa è solo una delle cose che si potrebbe dire a quella persona. (Più che “dire” , si sarà compreso che è un “fare” cioè attuare dei comportamenti fin da adesso… Anche se questa legge incivile è ormai partita… E non sappiamo quali saranno adesso gli sviluppi in Italia).
Un’altra cosa che si potrebbe dire la invio dopo linkando una trattazione più organica dell’argomento.
Massimo Marangoni scrive:
“Invece tu, in nome delle tue convinzioni, stai togliendo la libertà di rifiutare un intervento esterno ad una persona che non vuole accettare una condizione di vita artificiale e innaturale a tempo indeterminato.”
No. La Chiesa e i cattolici sono CONTRO l’accanimento terapeutico. La stessa Chiesa (vedi CEI) e gli stessi cattolici sono contrari alla legge recentemente approvata perché NON si riferisce all’accanimento ma a ben altro.
I cattolici sono contro l’accanimento. E sono contro l’eutanasia, e quindi contro qualsiasi percorso eutanasico, anche parziale.
Ciao.
Francesca, apprezzo la passione sincera, il rispetto e l’ammirazione per la vita umana con cui scrivi: “E noi vorremmo avere la benedizione della tua vita qui con noi …e ti preghiamo di concedercela… e ti preghiamo di perdonarci se mentre eri in piena salute ti abbiamo fatto pensare che la tua vita non valesse così tanto e che la tua compagnia ci fosse indifferente, e che i tuoi dolori nella malattia sarebbero stati solo un problema tuo, e che ti avremmo lasciato lì a fronteggiare dolore fisico e solitudine… nella disperazione senza senso. Perciò hai potuto pensare che la vita fosse soltanto un fatto tuo personale… ma non è così.”
Queste cose le puoi dire anche concedendo la possibilità delle DAT (nel caso di persona in stato vegetativo persistente da oltre un anni, condizione per la quale le giudico ormai doverose e necessarie); anzi, lasciando la possibilità alle persone di accettarle o rifiutarle, le tue parole assomiglierebbero, come stile, ancor di più a quelle di Gesù: “Volete andarvene anche voi?” Gli risposero: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Le sue parole avevano un’autorità ed una profondità per cui venivano accettate (di più, desiderate!) anche senza vincoli, senza obblighi, proprio perché avevano lo “stile” di rispettare la libertà di chi le ascoltava. Questo “stile” noi rischiamo di perderlo quando vietiamo o imponiamo ad altri comportamenti personali per rendere le loro vita in linea con le nostre convinzioni morali.
Poi vorrei riprendere queste altre tue parole: “Noi vorremmo che tu resti in questa vita, con noi, finché puoi, finché ce la fai. E se ce la fai lo puoi capire e vedere soltanto in quel momento. Non lo puoi decidere prima (anticipatamente) senza conoscere tutte le circostanze – e senza neanche sapere chi sarà accanto a te e a chi farai del male se vorrai andartene prima.
In quel momento, se temi di non farcela a sopportare la tua condizione: qui in Europa abbiamo tutti i mezzi, tutti i farmaci per lenire e quasi sempre eliminare del tutto il tuo dolore.”
Vorrei farti pensare al fatto che la sofferenza di chi si trova in stato vegetativo persistente potrebbe essere ben più morale che fisica. E temo non ci siano grandi mezzi per lenirla a chi persiste, grazie ai nostri interventi esterni, in una condizione innaturale (perché questo è il punto: una condizione per cui la natura farebbe il suo corso …). Dici che “se ce la fai lo puoi capire e vedere solo in quel momento”. Ma … se poi non ce la fa? Come lo manifesta, visto che non comunica? Chi più di lui dovrebbe poter decidere, quando è cosciente, se restarci (perché poi ci dovrebbe restare per forza a tempo indeterminato) o se abbracciare fino in fondo la sua condizione naturale non compatibile con la vita?
Poi parli di differenza fra accanimento terapeutico ed eutanasia. Non fai rientrare nell’accanimento terapeutico la somministrazione di alimentazione ed idratazione su persone in stato vegetativo persistente che non la vorrebbero … negando loro la possibilità di dichiararlo: se non lo dichiarano manca l’opposizione. Mi pare poco solido come principio: così facendo introduci implicitamente un “dovere” di ricevere alimentazione ed idratazione da parte di chi non la vorrebbe che non so bene dove poggi, se non nelle convinzioni morali di una parte della nostra società. Nello stesso tempo mi pare che tu faccia ricadere nell’eutanasia (o pseudo eutanasia) il non idratare o alimentare qualcuno che rifiuti questo trattamento. Ma secondo te il dottor Riccio, che sedò Welby e poi gli staccò il respiratore al quale non voleva più essere attaccato, gli praticò l’eutanasia? Eutanasia, a mio parere, è uccidere attivamente qualcuno: ma questo qualcuno ce l’ha o non ce l’ha il diritto di rifiutare interventi esterni su se stesso, anche vitali? O ha solo il dovere di accettarli? E quindi ti chiedo la domanda che ormai chiedo a tutti quelli con cui discuto di questo argomento: esiste un confine, un limite, fra “diritto/dovere” di un intervento esterno da parte di un medico su un paziente e “diritto” di rifiuto da parte del paziente di questo intervento? Questo è il punto da chiarire.
Ciao.
@Massimo Marangoni . Rispondo a tutte le tue domande con due commenti che posto più sotto per comodità. Anch’io sarei interessata ad alcune risposte…che credo possano chiudere l’argomento.
Facendo seguito al mio commento delle 7.13, fuso orario del blog 8.13, vorrei concludere con una riflessione proposta da altro sito cattolico.
Rispondo a Mario che ha commentato qua sopra.
Mario scrive:
“Piacerebbe a molti, è vero! Credo però sia impossibile riuscirci, quando chi interviene, è convinto di possedere la verità assoluta.
Per nostra fortuna il tempo in cui “Berta filava”, quando la Chiesa cattolica faceva il bello e il cattivo tempo, imponendo i propri dogmi, appartiene ormai al passato e i tanti personaggi alla “Roberto”, convinti di dover ancora oggi, non si sa bene in ossequio a quale privilegio, insegnare o peggio imporre agli altri come vivere e come considerare la propria esistenza, sono ormai divenuti inoffensivi”.
Eh già. Il bello e il cattivo tempo che faceva la Chiesa. Come quando i papi a suon di bolle (papali) condannavano la schiavitù, ma tale pratica si sviluppava benissimo ignorando tranquillamente Chiesa (per poi accusarla secoli dopo di averla supportata).
Potrei farti altri esempi ma mi sembri un po’ troppo ideologizzato ed indottrinato – sei già bell’e pronto ad imporre il tuo Credo con la scusa di liberare la gente dall’oscurantista Credo cattolico.
Ti invito a leggere, se vuoi, perché noi cattolici pensiamo che la legge da poco approvata sia un fallimento per: i comunisti, per i cattolici, per i liberali. Un fallimento per tutti.
Adesso confrontati col ragionamento. Non con la fede (né con la mia né con la tua).
Andrea Lonardo sul biotestamento:
http://www.gliscritti.it/blog/entry/4357
(Nota: le due foto nel suddetto articolo sono messe lì per criticare entrambi i modelli antropologici, non per fare propaganda elettorale. Lo scrivo perché un utente in altro blog mi ha detto che l’articolo propagandava il “cavaliere”).
È possibilissimo ragionare mantenendo fuori Fede e Politica. O anche no. Dipende dai punti di vista, e dipende dal perché si voglia dare un giudizio negativo (pregiudizio) sulla fede. O sulla politica.
In ogni caso l’articolo di Lonardo interroga la ragione.
Se ritieni che non lo faccia, Mario dimostrami il contrario.
Ciao.
Grazie Francesca x i tuoi brillanti interventi.
😉
Roberto, secondo ciò che scrivi la libertà personale per il tuo Dio è: “Fare solo la sua volonta`: che non e’ certo quella di cercare scorciatoie…”. E, per caso, il tuo Dio aggiunge anche: “Scrivi leggi per cui anche chi non crede in me debba fare la mia volontà per ciò che riguarda la sua vita”? Se è così stai attento: potrebbe essere un Dio piuttosto islamico.
Non diciamo eresie, per favore! Il diritto alla vita era gia’ sancito fin dai tempi dell’antichità pre-cristiana: ad esempio, nel diritto romano si considerava come un essere umano il concepito ancora non nato e, in quanto tale, era soggetto di diritti, potendo perfino essere destinatario di beni testamentari.
Ed ogni essere umano, fin dal suo concepimento e fino alla sua morte naturale, possedeva l’inviolabile diritto alla vita oltre al rispetto dovuto alla sua persona.
La tutela alla vita, dal concepimento alla morte naturale e’ dunque un “proprium” della civilta’ umana almeno da oltre 20 secoli. Questo principio giuridico introdotto dal diritto romano, si estese poi al diritto germanico e perfino nel codice civile del Giappone. In tempi non lontani, nel 1948 l ‘Assemblea Medica Internazionale, rivedendo il giuramento d’Ippocrate, fece promettere a tutti i medici di osservare il rispetto assoluto della vita umana dal momento stesso della concepimento alla morte naturale. Quindi la tutela della vita, rientra nei principi fondamentali di ogni democrazia prima ancora di essere un cardine del cristianesimo. Non serve la prescriva un qualsiasi Dio.
Ora che il relativismo morale ed il permissivismo libertario stanno rimodellando e rivedendo un principio che sembrava irrefutabile, quello al diritto alla vita sino al naturale compimento, ecco che si promulgano e approvano leggi prodromiche all’eutanasia: e’ solo questione di tempo e ci si arrivera’: il dado e` tratto, il rubicone e’ stato varcato.
Veramente il diritto alla vita si chiama “diritto” alla vita.
Non “obbligo” alla vita. Le parole hanno un peso.
Mentelibera65….meno male per te che non ci sta Berlicche…
A proposito di pesi e misure, la mia posizione circa questa tua osservazione e’ nel commento in calce:
Roberto su dicembre 20, 2017 alle 18:40
Nessuno mette in dubbio che la visione cattolica di questa legge sia coerente con il cattolicesimo. La questione è se la visione cattolica possa essere imposta a tutti.
Ed è su questo che, anche da cattolico, dissento.
Penso che solo una fede libera e responsabile e fondata su una vita concretamente poggiata sulla parola di Dio nei fatti quotidiani sia una fede vera. Tutto il resto è una brutta copia della fede. Chi ha paura che le sue idee non siano valide tenta di imporle con la forza. Chi invece si sente veramente portatore della verità non impone nulla, ma propone, certo che il Signore agisca nei cuori dove deve agire, ed affidando a Dio , e non a se stesso o allo Stato, il compito di convertire.
Propone in modo attivo, cioè dando testimonianza con i fatti della propria vita.
Il resto è fuffa, a cominciare dalle belle parole sui blogs.
Buona Epifania.
MenteLibera65: Francamente, non riesco a comprendere dove tu voglia andare a parare. Che significa avere una visione cattolica coerente col cattolicesimo? Questa legge, prodromica dell’eutanasia, oltretutto, e’ imposta ai cattolici e non viceversa. I cristiani, poi, non impongono nulla tanto e’ vero che, solitamente, risentono dei comportamenti vessatori e aggressivi altrui: pare che nel mondo attuale ci siano piu’ martiri che non al tempo di Caligola o Nerone…
La fede in Dio, un dono non barattabile con qualsiasi “valore mondano” e la certezza che pure la vita sia un dono divino, ci spingono ad urlare a tutti coloro che, dopo aver sperimentato e goduto della bellezza della vita, vorrebbero ora, perche’ malati o infermi, sbarazzarsene come se fosse una cosa inservibile. Questo, noi vogliamo significare e, senza prevaricare, testimoniare che l’amore di Dio passa attraverso anche l’accettazione della sofferenza e la tutela della vita sino all’ultimo anelito senza oltrepassare limiti creaturali.
Roberto, tu continui a confondere il diritto con il dovere. Per i non ancora nati va benissimo parlare di diritto alla vita. Ma qui parliamo di gente in stato vegetativo persistente che vorrebbe rinunciare ad alimentazione ed idratazione. Ma c’è qualcuno che non vuole concedere questa possibilità. E tu continui a parlare di diritto alla vita come se fosse un dovere. Ti ricordo che fra commilitoni, nel medioevo, c’era l’accordo che se qualcuno di loro veniva ferito in modo irreparabile ed aveva davanti una più o meno lenta agonia, dovevano essere gli stessi compagni d’armi a finirlo alla svelta per far cessare le sue sofferenze. E questa pratica era giudicata un atto di pietà, non un omicidio. Dunque il diritto alla vita è stato declinato in molti modi nei secoli; anche lo Stato del Vaticano aveva come estrema eventualità nel suo ordinamento, fino a poco tempo fa, la pena di morte. Oggi noi ancora rivolgiamo questa pietà ad un cane o un gatto in agonia, i nostri amici a 4 zampe. Io non sto certo sostenendo che dobbiamo applicare questo trattamento agli uomini in agonia, perchè se uno Stato deve agire nei confronti di un cittadino, questa azione deve essere per la sua vita, non per la sua morte. Ma l’astensione da un intervento per rispetto alla libertà del singolo non è un’azione, ma un confine da non valicare. Sto chiedendo un po’ a tutti per quale motivo uno non può rifiutare un intervento esterno sul suo corpo se si trovasse nella persistente (e ragionevolmente definitiva) impossibilità di comunicare in stato vegetativo persistente. Non riesco a trovare nessuno che me lo spieghi senza ricorrere ad argomenti tipo “la vita non ce la siamo data da soli e quindi non ce la possiamo togliere da soli” e via discorrendo, come se tutti dovessero improntare la propria vita a precetti morali di una certa parte. Questa è una logica paternalistica e perdente, perchè salta a piè pari la libertà concessa ad ogni soggetto, non solo dalla legge ma da Dio stesso, almeno per chi ci crede.
Nessuna confusione. Che ci vogliamo fare ? Abbiamo due prospettive diverse di considerare e affrontare certe tematiche. Io sono gia’ stato messo duramente alla prova circa il fine vita; ho subito lutti dolorosi: nella sfortuna, ho avuto la fortuna di trovare medici eccellenti che con perizia hanno accompagnato alcuni miei cari nelle vicissitudini piu’ dolorose, sempre con perizia esemplare e nel rispetto della vita sino all’ultimo anelito.
Saluti.
Di stati vegetativi non vuoi parlare. Va bene. Saluti.
Francesca, se uno dei due commenti con cui vorresti rispondermi voleva essere quello che hai inserito ancor prima della mia domanda (http://www.gliscritti.it/blog/entry/4357) ti faccio osservare che di stati vegetativi non parla affatto; che parla di principi ai tempi dei quali gli stati vegetativi non esistevano, e che, comunque, ben difficilmente una risposta di Tizio (Mario) risponde anche ad una domanda che ancora non è stata formulata a Caio (Francesca). Se invece stai per postare la tua risposta non tenere conto delle mie precedenti parole. La leggerò volentieri. Spero che sia puntuale, a tono e, soprattutto, tua. Discutere a forza di articoli e di link non mi interessa. Vorrei avere a che fare con persone, con argomentazioni personali, con coscienze, non con link.
@Massimo. No, io ti avevo inviato due commenti che rispondevano (molto) dettagliatamente alle tue domande ed obiezioni. E certamente erano successivi alle tue domande ed obiezioni!! Solo che adesso non li vedo. O sono ancora in moderazione… O sono andati persi perché prima li leggevo con la scritta “il tuo commento deve ancora venire moderato” e adesso non li vedo più. Siccome non avevo scritto niente di strano non credo che siano stati disapprovati. E quindi, non so che dire… Mi ci era voluto del tempo per scriverli, e adesso non ho tempo di ripeterli, mi spiace.
Mi ero posta il più possibile dal tuo punto di vista e avevo argomentato molto nel dettaglio.
Mi dispiace davvero tanto e spero anche che non ci siano stati problemi per qualcosa che avevo scritto (ma non credo) o di altro tipo… Vabbè il discorso qua si farebbe lungo e ha a che fare con degli altri “disturbi” che in questi giorni ho avuto sul mio blog.
Ciao.
Francesca, mi dispiace non averli potuti leggere. Se avrai voglia di riscriverli li leggerò volentieri.
@Massimo Marangoni.
La dimostrazione che è del tutto inutile, oltre che una perdita di tempo affrontare taluni temi con chi è solito argomentare e giudicare in modo dogmatico, apponendo l’aureola della validità assoluta al proprio punto di vista, l’hai appena sperimentata con chi non sa far altro che ripetere come un mantra che la vita è un dono di Dio e nessuno può disporne, punto!
E chi non crede nel Dio cristiano, vada pure a farsi … benedire, per non dire altro!
Per costoro non è sufficiente esser liberi di non usufruire di certe opportunità, quali il DAT o il divorzio per esempio. No, pretendono di imporre il loro punto di vista, impedendo, di fatto, agli altri la stessa libertà di scelta.
Non ci si rende nemmeno conto della contraddizione, quando si afferma che ogni essere umano, fin dal suo concepimento e fino alla sua morte naturale, possiede l’inviolabile diritto alla vita oltre al rispetto dovuto alla sua persona. Altrimenti si dovrebbe spiegare che cosa c’è di “naturale” nella ventilazione artificiale praticata attraverso la tracheotomia o nell’alimentazione parenterale attraverso la via venosa, procedure gravemente invasive e non prive di complicanze gravi, che necessitano entrambe del consenso informato da parte di quella persona, la cui volontà dovrebbe anche essere rispettata se per caso non fosse disponibile a subire o volesse interrompere quei trattamenti.
Ma che dovrebbe dire altrimenti un cristiano? Dovrebbe prendere con “beneficio d’inventario” l’esistenza del Creatore per poter discutere senza preconcetti di sorta con chi invece, a priori, nega manifestamente o velatamente l’esistenza di Dio ponendosi cosi`in una posizione ideologica che, negando il trascendente, non ammette e concepisce che anche l’amore puo’ passare dalla sofferenza? Il cristiano e’ per la tutela della vita sino all’ultimo anelito e crede che anche le situazioni ed i casi che appaiono piu’ assurdi e incomprensibili, tuttavia non siano privi di significato. Con questo non significa parteggiare per l’accanimento terapeutico e, a tal uopo, val la pena di recuperare il pronunciamento di Papa Francesco (disponibile anche in rete), che ben compendia l’agire e pensare cristiano.
Saluti.
👋🖐👅
Mario, io penso che qualcuno con argomenti non dogmatici ci sia. Basta trovarlo.
Sicuramente: basta andare nei blog anticattolici, che abbondano.
Bye, bye
Per la verità questo non mi pare affatto un blog anticattolico ed io la gente non dogmatica la sto cercando proprio qui, e non nei blog anticattolici che, se mai esistessero, per lo stesso fatto di essere “anti” qualcosa correrebbero proprio il rischio di essere il ricettacolo di gente dogmatica, come ad esempio il forum dell’UAAR. Comunque non li frequento: mi è bastato passare qualche settimana tempo fa a discutere con gente dell’UAAR. Piuttosto, se ti verrà voglia di affrontare il discorso sugli stati vegetativi in modo non dogmatico … io ci sono.
Tanto per rimanere in argomento: https://www.breviarium.eu/2018/01/06/la-francia-verso-leutanasia-ora-deve-morire-la-piccola-ines/
Grazie Bariom per il tuo contributo.
✌🙋
@Massimo Marangoni
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Facciamo una premessa e vediamo se siamo d’accordo? Utilizzando il solo metodo scientifico (e lasciando da parte il metodo filosofico, il ché è assurdo ma al momento facciamolo) non è possibile stabilire se Dio esiste o non esiste. Quindi, stabiliamo che: da parte di un non-credente, il prendere delle decisioni come se Dio non esistesse è arbitrario quanto lo è la fede del credente. Va bene?
Credo che concorderai che entrambe sono “convinzioni morali”, per usare una tua espressione. Quindi intanto stabiliamo che non si tratta di una convinzione morale di un gruppo contro quella di una società neutra/scientifica.
Si tratta invece due morali opposte. Morale contro morale.
Massimo scrive : “Queste cose le puoi dire anche concedendo la possibilità delle DAT (nel caso di persona in stato vegetativo persistente da oltre un anni, condizione per la quale le giudico ormai doverose e necessarie); ”
No, queste cose non le puoi più dire perché – come avevo già spiegato – si tratta più di farle che di dirle. Questa legge DICE e FA il contrario del discorso che facevo io all’ipotetico suicida, e la nostra società sta purtroppo dicendo altro da diversi decenni (secoli?).
Adesso l’ha pure messo come principio legislativo scritto e votato dalla maggioranza.
Prima di questa legge era ed è possibilissimo (e consigliato cristianamente) evitare l’accanimento terapeutico. Non servivano leggi che aggiungessero altre cose in merito.
La Chiesa stessa è contro ogni forma di accanimento.
È evidente che l’attuale “biotestamento” vuole fare dell’altro.
I casi “vegetativi” che tu citi come “doverosi” di regolamentazione sono davvero rari, oltre che non aggregabili in un’unica categoria.
Inoltre, se si osserva un po’ meglio ciò che avviene nella realtà, attualmente risulta “più facile” morire per un qualche errore sanitario (umanissimo) o per mancanza di cure adeguate alla propria patologia o per complicazioni della stessa.
È molto ma molto più difficile trovarsi nelle condizioni “vegetative” che tu citi.
(certo la propaganda fa apparire che gli ospedali abbondino di tali casi vegetali, o può essere pure che la mente laicista veda come vegetali tutte le persone che non sono più “utili” alla società consumistica/edonistica – e allora magari sì può essere che i vostri conteggi siano un po’ alti).
Dunque, di nuovo: questa legge intende fare ben altro che risolvere la situazione di alcuni (rari) casi pietosi.
Siamo tutti d’accordo che se ci trovassimo in Africa o in zone disagiate del mondo non si arriverebbe nemmeno a certi stati vegetativi dei pazienti. Là si muore per una banalissima infezione.
Il punto, qui in Italia, è che una persona (anche se raramente) può trovarsi in uno stato che persiste – e tale stato può essere mantenuto ad esempio semplicemente dal supporto di cibo e acqua.
Sì, sicuramente può esistere effettivamente (a volte) nei paesi civili occidentali un tale stato vegetativo a medio/lungo termine (più medio che lungo).
Ma se noi consideriamo cibo+acqua una “cura” allora non saremmo autorizzati neanche a soccorrere chi è vittima di gravi incidenti stradali ed è destinato fin dai primi istanti alla paralisi totale. Il fatto che noi diamo cibo/acqua a persone paralizzate ed incoscienti è una questione di civiltà. Il punto sta qua.
Ma adesso? Che cosa facciamo?
INIZIAMO a mettere un limite a questo? Un limite forse di “tempo”?
Ad esempio: un mese di tempo e poi comincia ad essere presumibilmente “auspicabile” lasciarti morire altrimenti andrò presumibilmente a ledere i tuoi diritti (che però sarebbero stati “attivati” se avevi il DAT firmato) ?
Secondo quale principio adesso andrà fatto questo nutrimento di cibo e acqua visto che si configurerà come “terapia”?
E chi devo nutrire?
Tutti eccetto quelli col foglietto DAT in tasca?
Oppure quelli che lavorano e pagano l’INPS? Tutti, anche quelli che non lavorano?
Oppure nessuno visto che la maggioranza parlamentare ha votato rappresentando (in teoria) la maggioranza del popolo italiano il quale preferisce morire piuttosto di rimanere così “vegetativo”?
Sembrerà che poc’anzi io abbia scritto boiate ma, guarda, non ci vorrà molto ad arrivare a tali punti assurdi – o almeno erano assurdi fino a poco tempo fa, perché avevamo raggiunto un certo livello di civiltà cristiana.
Adesso, quando un tutore (famiglia o parenti) giudicherà che una certa persona va lasciata morire lo farà tranquillamente. E saranno tutti i più deboli ed indifesi a farne le spese. Fra non molto chi si ammalerà abbastanza gravemente e non potrà lavorare almeno 8 ore al giorno sarà giudicato come vita inutile. Per non parlare di tutte le questioni di eredità di case, appartamenti e lasciti vari (solo chi ha esperienze professionali in questi ambiti può capire ciò che sto dicendo… e sa che la carità e l’onestà cristiana nelle questioni ereditarie è roba rara come la neve in agosto).
Segue…
@Massimo Marangoni
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Massimo scrive: “Questo “stile” noi rischiamo di perderlo quando vietiamo o imponiamo ad altri comportamenti personali per rendere le loro vita in linea con le nostre convinzioni morali”.
Ad esempio, mettiamo al mondo figli in linea con le nostre convinzioni morali. E sappiamo benissimo che molti individui (anche se non hanno malattie né fisiche né mentali depressive) affermano che non vorrebbero essere mai nati e che questa vita non ha alcun senso per loro. Tu diresti che anche a loro è stata imposta una convinzione morale. Non solo concependoli e facendoli nascere, ma anche fornendo cibo/acqua per mesi ed anni, cioè fin quando i neonati e gli infanti non sono diventati autonomi per procurarsi il cibo e non morire di fame.
Dimmi, perché tu non trovi indebita questa effettiva ingerenza che si fa sul neonato? Perché dai per scontato che quel bambino voglia vivere? Perché credi che quel bambino ami la vita? Solamente perché la ami tu e ti sei accordato con una donna (con le stesse convinzioni) e pretendete che il neonato la penserà come voi ?
Puoi rispondere a questa domanda?
La vita può essere considerata a priori “cosa buona” per un non-credente?
Per quanto ne so io: no. Ho in mente alcuni esempi di atei (in perfetta salute e non depressi) che la credono un’assurdità, uno scherzo della natura e una sorta di obbligo al quale sono stati chiamati dai loro genitori. Per loro vivere o suicidarsi è abbastanza equivalente. Finché trovano “qualche piacere” vivono ma trovano anche normale la scelta del suicidio.
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Massimo scrive: “Vorrei farti pensare al fatto che la sofferenza di chi si trova in stato vegetativo persistente potrebbe essere ben più morale che fisica. E temo non ci siano grandi mezzi per lenirla a chi persiste, grazie ai nostri interventi esterni, in una condizione innaturale (perché questo è il punto: una condizione per cui la natura farebbe il suo corso …). Dici che “se ce la fai lo puoi capire e vedere solo in quel momento”. Ma … se poi non ce la fa? Come lo manifesta, visto che non comunica? Chi più di lui dovrebbe poter decidere, quando è cosciente, se restarci (perché poi ci dovrebbe restare per forza a tempo indeterminato) o se abbracciare fino in fondo la sua condizione naturale non compatibile con la vita?”
Tutto questo lo puoi affermare a proposito di un neonato.
Inoltre ti faccio notare che non esiste un “tempo indeterminato” come tu hai scritto. Si dice in giro che non siamo immortali… Mi pare che ad una certa età si muore. Non mi sembra che superi i 100 anni…
Oltre al fatto che negli stati vegetativi al 99% una qualsiasi infezione o complicazione ti ammazza, puoi starne certo. Vorrei proprio sapere QUANTI di noi qui conoscono dei pazienti in stato vegetativo permanente. !!!
Certa propaganda ha davvero fatto credere a delle cose antiscientifiche che nella realtà non accadono mai, o quasi mai.
Certamente ci sono alcuni casi di persistenza in stato vegetativo, e anche quelli sono destinati a morire di sicuro secondo il corso naturale. Spesso una banale influenza porta alla morte. E non devi aspettare anni.
La natura farebbe il suo corso anche con un neonato sano lasciato senza cibo ed acqua.
Perché noi ci permettiamo di anticipare le sue decisioni di adulto e lo facciamo vivere?
In base a quale principio? Religioso ? Morale? Potresti rispondermi?
Presumere che un neonato sarà in futuro “moralmente” felice di vivere è anch’essa una presunzione morale – secondo i tuoi parametri di ragionamento.
Massimo scrive:
“Ma … se poi non ce la fa? Come lo manifesta, visto che non comunica? ”
E se DOPO aver compilato il modulo DAT o dopo aver dato disposizioni al parente la persona cambia idea e vuole restare viva?
Come lo manifesta visto che NON comunica?
È frequentissimo, lo sai, che una persona in piena salute dichiari che morirebbe piuttosto di vivere paralizzata. Poi invece magari accade e quella persona diventa un esempio di grande forza per tutti i familiari ed amici.
Allo stesso modo potrebbe accadere che una persona cambi idea mentre si trova in uno stato in cui non può comunicare con l’esterno – proprio come dici tu.
Cosa è più terribile?
Rischiare di uccidere qualcuno che vuole vivere?
Oppure rischiare di far vivere del tempo in più qualcuno che vorrebbe morire a causa di quella che tu chiami sofferenza “morale”?
Che poi, escludendo dolori fisici, mi spiegheresti IN CHE COSA CONSISTE per te questa sofferenza morale?
Credo che questo sia uno snodo cruciale del discorso.
Massimo scrive: “E quindi ti chiedo la domanda che ormai chiedo a tutti quelli con cui discuto di questo argomento: esiste un confine, un limite, fra “diritto/dovere” di un intervento esterno da parte di un medico su un paziente e “diritto” di rifiuto da parte del paziente di questo intervento? Questo è il punto da chiarire.”
Sì, esiste un confine. A parte il confine dell’accanimento terapeutico che già esiste nell’etica dei medici cattolici.
E sulla quale io penso che qualcuno si stupirebbe …perché si accorgerebbe che secondo tali princìpi bioetici si può morire abbastanza in fretta, diciamo così. Non nel senso di eutanasia ma nel senso appunto di “corso naturale” degli eventi. La Chiesa Cattolica è contraria alle cure inutili quanto dannose. Se si rispetta questo principio praticamente si ridurrebbero a zero certi casi di estremo accanimento.
Ma il punto qui è: se un fisico, in un modo o nell’altro (anche grazie alle cure), ha raggiunto una condizione “stabile” tu non puoi togliergli la vita arbitrariamente.
È esattamente come il neonato appena chiamato alla vita: ce l’hai messo tu, e adesso non lo puoi uccidere. (se segui i Comandamenti cristiani, e/o se segui le leggi civili).
Quello che al massimo puoi fare è non insistere a rianimare all’infinito con continui interventi d’emergenza un fisico ormai disfatto-esaurito.
Ecco, a parte questo confine (cattolico) del non-accanimento c’è anche un altro confine medico scientifico sicuramente. Un confine fisiologico oltre il quale non si può dare cibo ed acqua. In pratica quando acqua ed alimentazione non vengono più assimilate dal corpo umano, e anzi sono fisicamente più dannose che utili all’organismo. Lo stesso può valere per la respirazione e l’ossigeno: c’è un limite fisico in cui il sistema e gli organi deputati alla respirazione non funzionano più anche se tu immetti aria/ossigeno.
Di nuovo torniamo al neonato: se io gli do il biberon e il bambino lo assimila vuol dire che la vita… vuole vivere. È la vita (naturale) che detta legge.
Almeno fino al biotestamento italiano.
Dimmi dove sbaglio, se sbaglio secondo te.
P.s. certamente Welby era eutanasia. Non ho seguito il caso ma se è come tu hai scritto: è eutanasia.
(A dir la verità non ho mai seguito nel dettaglio nemmeno le vicende di questa legge italiana… Ho solo applicato un po’ di ragionamento a molte cose che leggo nelle discussioni, nelle quali trovo molti errori di logica… anche senza chiamare in causa la fede cattolica).
P.p.s. ci sarebbe poi tutto un capitolo da trattare sull’equilibrio tra esigenze dell’individuo ed esigenze della società.
Con la legge sul biotestamento può sembrare che si combatta per la libertà di autodeterminazione dell’individuo rispetto alla società. E invece si fa avanzare la pressione e la dittatura del gruppo dei forti sul singolo debole. Altro che libertà personale.
Ancora mi ricordo un episodio di oltre un anno fa: un’anziana signora che ascoltavo e che vedevo mentre mi trovavo io stessa in attesa per una mia emergenza chirurgica… e mi ha fatto dimenticare la mia condizione di quel momento perché vedevo la sua disperazione di fronte ad una sua parente (un po’ indifferente, fredda, sca**ata) che l’ “assisteva”… e l’anziana continuava a dirle che era una vecchia inutile e che dava solo problemi e che era meglio che si togliesse di mezzo e… io capivo che cercava conforto dalla deficiente accanto a lei … e il Signore mi scusi per il giudizio ma *zz0 quanto mi saliva la rabbia e quanto mi sentivo impotente in quel momento e… Guarda ancora me lo ricordo e ancora penso a che cosa avrei potuto fare.
E io credo che qui non si tratti di essere fedeli cattolici ma solo di essere (ancora) facenti parte del genere umano.
Vedi. Chi è in quelle condizioni e in una famiglia di quel tipo facilmente vorrà firmare DAT. Ma solo a causa della disperazione di dover vivere con certi cani (e cagne) accanto. Non perché vorrebbe davvero morire.
E sinceramente a me non va di avere leggi italiane che oltretutto incoraggiano i cani (travestiti da buoni samaritani).
…Qualcuno (raro) dovrà soffrire “moralmente” per questo? Sì, può essere.
Il mondo non è perfetto, ma questa che ti ho descritto io è la migliore società per lo sviluppo della libertà personale (alla quale mi sembra che tu sia sensibile).
Ciao.
P.s. ricordati di spiegarmi che cosa intendevi tu per “sofferenza morale” della persona alla quale non viene concesso il suicidio assistito.
… Anche coloro che vengono fermati mentre si stanno buttando da un ponte sicuramente, sul momento, soffrono di essere ancora vivi.
Prima parte
Francesca, utilizzando solo il metodo scientifico (ma anche utilizzandolo insieme al metodo filosofico) il prendere delle decisioni come se Dio non esistesse è arbitrario quanto la fede per il credente. Entrambe sono convinzioni morali, opposte. Siamo d’accordo. E allora? Ma mentre il non credente, con le DAT, non toglie nulla al credente, il credente, impedendo le DAT, toglie qualcosa al non credente, in nome del suo convincimento morale. Questo non è rispettoso della libertà umana.
Riguardo alle cose che potresti comunque dire anche in presenza di DAT, il tuo ruolo è quello di dirle, e di farle a chi le accetta. Lo stesso dovrebbe fare la legge. Altrimenti, se vuoi farle anche a chi non le accetta, ricadiamo nel caso precedente: manca il rispetto per la libertà umana.
Per la chiesa lo stato vegetativo non è uno stato in cui si possa parlare di accanimento terapeutico, perché l’alimentazione e l’idratazione la chiesa non le considera affatto terapie mediche ma normale accudimento. Il che è una disquisizione stucchevole. Il punto è che o il medico ha il diritto di entrare dentro il corpo di un altro essere umano che non vorrebbe oppure non ce l’hai. Secondo me non ce l’hai. Deve prima chiedere il permesso. Impedire ad una persona cosciente di scrivere che in certe condizioni innaturali vorrebbe rifiutare alimentazione ed idratazione è un abuso.
In Italia si parla di circa 3000 casi di stato vegetativo persistente (http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=49799). Ci sono persone che vi restano per decine di anni. Non mi pare che si possa parlare di casi “rari”. Dare acqua e alimentazione a persone traumatizzate, che presumibilmente resteranno tetraplegiche, è certamente un atto di civiltà; ma queste persone sono, appunto, persone. Piergiorgio Welby si era stufato di vivere attaccato al respiratore, aveva coscienza, poteva comunicare ed ha chiesto ed ottenuto di farsi spegnere il respiratore. E’ stato un omicidio, a tuo parere? Il dott. Riccio che lo ha sedato e poi gli ha spento il respiratore è un assassino? Io credo di no. Io credo che siamo al limite della libertà che deve essere concessa ad una persona: rifiutare un sostegno vitale esterno. Altrimenti l’inviolabilità della persona va a farsi benedire.
Mi chiedi fino a quando dobbiamo alimentare ed idratare una persona? Da quando dobbiamo interrompere queste pratiche su richiesta del paziente? Ti rispondo che dopo un anno di permanenza in stato vegetativo deve essere possibile interromperle su richiesta del paziente, perché non è più ragionevole attendersi un risveglio. Le altre prospettive che descrivi non le condivido. Forse se noi cattolici avessimo discusso e dialogato con i fautori della legge,senza impuntarci sul no secco a tutto, senza puntare sul muro contro muro, la legge stessa avrebbe riguardato solo i casi di cui ti ho parlato e le derive che descrivi sarebbero state escluse. Peraltro i tutori li sceglie, se li vuol scegliere, il diretto interessato. Quindi vogliamo permettere a qualcuno di fidarsi di qualcun altro? Gia la legge prevedeva comunque di sentire i parenti per autorizzare interventi sul paziente. Segue …
Seconda parte.
Rispondo volentieri a questa domanda. Un bambino è affidato ai genitori dalla natura. Non ho nessuna intenzione di stravolgere la saggezza della natura, con cui essa ha assicurato la vita a tutti gli esseri viventi da innumerevoli millenni. Non è affatto un’ingerenza nutrire un neonato, perché ha diritto alla vita, perché la vita ce l’ha davanti. Poi cresce, matura una morale e una cultura personale che non può non fare i conti con quella ricevuta ma non ne deve essere succube. A 18 anni, per convenzione, fa poi le sue scelte. C’è forse nella società italiana o mondiale un movimento di opinione che vuole eliminare il diritto a procreare per non rischiare di fare ingerenze sui neonati? O stai ragionando per assurdità? Se è così non mi interessa. Non scambierei un diritto per un’assurdità. Prova a suggerire agli atei tuoi amici, per cui la vita o la morte sono equivalenti, di citare in giudizio quei “criminali” dei loro genitori. Vedo cosa ti rispondono …
Riguardo alla impossibilità per un paziente di comunicare che in stato vegetativo soffre in modo inaccettabile, lo posso certamente dire per un paziente in stato vegetativo. Il tempo indeterminato è proprio il tempo che passa dal trauma che causa lo stato vegetativo alla morte, che può essere di decenni. Appunto, non è determinabile prima ma solo al decesso. E’ indeterminato. Dunque, perché dici che non esiste il tempo indeterminato?
Mi chiedi poi: “perché noi ci permettiamo di anticipare le sue decisioni di adulto e lo facciamo vivere? Perché gli diamo l’opportunità di vivere e di esprimersi. Se lo facessimo morire, oltre che essere un atto criminale, rischieremmo ugualmente di anticipare le sue decisioni, di invertire le sue decisioni di adulto, che magari, nonostante la nostra delirante logica vorrebbe vivere. Un bimbo non può decidere perché non ha gli strumenti. Ma basta guardarlo per rendersi conto che la sua volontà è quella di vivere: piange perché ha fame, non perché vuole morire. Cerchiamo di ragionare evitando le assurdità …
Mi chiedi anche come farebbe una persona che ha scritto le DAT a comunicare in stato vegetativo che, contrariamente a quando dichiarato, vuole vivere. Non potrebbe, ovviamente; ma le DAT sono un atto libero, non obbligatorio. Se uno ricorre alle DAT lo fa perché ci ha pensato un po’ su, perché conosce se stesso, forse, più di quanto lo conoscano i medici o lo Stato. Dunque non ti so dire cosa sia più terribile. Se morire nonostante si sia cambiato idea e ora si vorrebbe vivere o se vivere per forza in uno stato di sofferenza che potrebbe essere atroce: per fortuna non mi è mai capitato. Mi chiedi in che cosa consista questa sofferenza: nonostante io non l’abbia mai provata, posso immaginare come ci si deve sentire senza potersi muovere, senza poter comunicare. E’ la sofferenza di chi sa (se è ancora presente la coscienza, e questo non lo sappiamo) di essere una persona ma è condannato ad essere simile ad una cosa, se permetti a tempo indeterminato (cioè non misurabile). Questa è una condizione innaturale, non conosciuta, misteriosa e nuova. Credo che ciascuno debba affrontarla o prepararsi, eventualmente, ad affrontarla secondo i suoi propri canoni di giudizio, non secondo quelli degli altri. Non è una condizione naturale ma artificiale.
All’ultima mia domanda però, se permetti, hai risposto in modo evasivo. Non hai minimamente preso in considerazione il rifiuto del paziente di alimentazione ed idratazione. Parli del fatto che non lo si può uccidere, ma non del fatto che lo si deve alimentare per forza contro la sua volontà. Dunque il confine sembra che abbia una sola sponda: quella del medico che si deve spostare dove egli decide. Quella del paziente si deve adattare. Quella che tu chiami condizione “stabile” è una condizione INNATURALE. Non puoi paragonarla a quella naturalissima di un bambino. Sbagli perché il bambino ce l’ha dentro la voglia di vivere. Uno in stato vegetativo invece potrebbe non avercela affatto e considerare il lasciarsi andare alla propria condizione come una liberazione.
Nell’ultimo tuo PS parli di sofferenza morale delle persone alle quali non viene concesso il suicidio assistito. Io non ne ho parlato. Io ho parlato di sofferenza morale di chi permane in stato vegetativo. Se ti riferisci a quel tipo di sofferenza morale mi pare di averti già risposto: l’essere una persona in una condizione di cosa per un tempo indeterminato. Ovvio che è lui stesso a ritenersi in una condizione di cosa: ma mi pare ragionevole che di fronte ad una condizione innaturale sia la persona protagonista della situazione a decidere. La sofferenza di un aspirante suicida è una condizione naturale, probabilmente dovuta a problemi affrontabili o a depressione. E comunque ti invito a non mischiare le due cose come hai fatto con una persona in stato vegetativo ed un neonato.
Ciao
Massimo Marangoni:
“Il punto è che o il medico ha il diritto di entrare dentro il corpo di un altro essere umano che non vorrebbe oppure non ce l’hai. Secondo me non ce l’hai”.
Se non ce l’hai per portare un supporto naturale come cibo e acqua, allora significa che non ce l’hai nemmeno per decidere di formare un corpo nuovo e immetterlo in questo mondo (cioè per far nascere qualcuno).
Non ci sarà un movimento con un nome ufficiale di gente che cita in giudizio i genitori che non avevano il diritto di metterli al mondo, ma certamente c’è un movimento di pensiero che afferma di non aver chiesto di venire al mondo e che considera moralmente responsabili i genitori per questo abuso. Abuso morale: perché avresti deciso di far venire al mondo chi non poteva decidere.
Hai voglia a dirgli che prima dei 18 anni non possono valutare con una coscienza formata. Tu intanto li hai obbligati a stare al mondo fino a 18 anni. E molti di loro, dicono, non avrebbero scelto di nascere. (e non lo dicono per depressione).
Massimo dice:
“Impedire ad una persona cosciente di scrivere che in certe condizioni innaturali vorrebbe rifiutare alimentazione ed idratazione è un abuso”.
L’abuso (tuo e di altri) sta nel far credere alle persone che si possa conoscere in anticipo come ci si sentirà dopo alcuni eventi. Questo è il pensiero anti-vita per eccellenza.
L’abuso è TOGLIERE LA LIBERTÀ di poter pensare a sviluppi e progressi. Progressi personali, sociali, medici e scientifici.
E questo è perfino più importante per un ateo che per un credente – visto che l’ateo ritiene di avere solo la vita presente.
Questa è inversione del progresso della civiltà.
SE ad esempio una persona volesse rimanere in vita per attendere nuove terapie (molte volte accade che un farmaco sia nella fase finale di sperimentazione e si debba magari attendere 2-3 anni), e SE questa persona avesse ormai firmato le DAT e se non potesse più comunicare con l’esterno?
(Tu hai affermato che qualcuno in stato vegetativo non può comunicare di voler interrompere i sostegni vitali. Ma allo stesso modo non può comunicare neanche di voler restare vivo se avesse precedentemente firmato il modulo DAT).
Magari la persona aveva firmato con la convinzione che non ci fossero terapie per il suo caso… Ma poi queste terapie sono arrivate. Proprio mentre il paziente era paralizzato e non comunicante con l’esterno.
Oppure si annuncia che sta per nascere un nipotino e vorrebbe vederlo, e non gli dispiacerebbe soffrire un po’ per altri 9 mesi pur di avere questa gioia nella vita (vita atea).
Oppure sta per realizzarsi un progetto lavorativo che aveva iniziato quando stava bene, e non aveva previsto di trovarsi tetraplegico con un DAT pendente sulla testa, ma ora ce l’ha e ha cambiato idea, ma ormai ha firmato.
Oppure sta per uscire il film del suo regista preferito … e questa idea di poter vedere una nuova opera d’arte gli fa desiderare di rimanere in vita ancora un po’ (vita atea, quindi un film o un’opera d’arte potrebbero essere molto importanti da godere prima di chiudere con il mondo)… ma ormai ha firmato, e non aveva pensato che avrebbe desiderato così tanto vedere delle altre cose in questa vita… perché quando sei fermo in un letto tutte le priorità cambiano e le piccole cose possono essere importantissime (soprattutto per un ateo che altre speranze non ha).
Ecco, ti ho elencato dei fatti che potrebbero accadere ad un non-credente, proprio perché noi non siamo delle “cose” e questi cambiamenti possono accadere nella vita.
La vita è fatta così. Mi sembra tanto strano che lo si neghi.
Non è necessario avere prospettive dell’aldilà. No.
Questa legge nega proprio che una persona sia una persona cioè che possa CAMBIARE IDEA mentre si trova in una determinata situazione.
Questo accade agli esseri umani.
E questa legge introduce il concetto che in determinate situazioni noi non siamo più esseri umani.
Massimo dice:
“Ci sono persone che vi restano per decine di anni”.
Dopodiché alcuni si riprendono e/o si svegliano se stavano in coma. E sono la gioia di una madre, di un padre, di una moglie, di un marito, dei figli, di una famiglia.
Senza contare il fatto:
1) delle nuove terapie che danno nuove speranze a casi prima considerati disperati
2) tutti i dati scientifici che si possono raccogliere sul decorso di certe malattie. Se tutti cominciano a suicidarsi prima: ok risparmi sulle pensioni ma perdi anche molte opportunità di avanzamento della ricerca scientifica. Penso che una società atea dovrebbe pensare anche a questo, nella prospettiva di allungare l’unica vita a quelli che stanno in piedi e camminano, grazie a tutti i dati che può raccogliere da ogni condizione clinica.
3) alcuni stati vegetativi (o quasi) dimostrano il valore della vita per ciò che è.
Ed è valore di per sè.
Anche per gli atei.
Non c’è un’utilità funzionale come avviene per gli oggetti e per le cose.
È proprio con queste vite chiamate “vegetative” che noi diamo valore alla persona di per sè. Questo è il primo mattone della costruzione di una società veramente umana, veramente libera.
Una persona non è mai una cosa. A meno che tu non la tratti come tale.
Ed è questo che tu stai facendo.
Massimo dice:
“Dunque, perché dici che non esiste il tempo indeterminato?”
Perché entro gli 80 anni muori. E se sei in stato vegetativo generalmente muori MOLTO prima.
E se fai parte di uno di quei casi (rari, insisto) che vive – esempio estremissimo – dall’età di 20 anni fino ai 40 in condizione di paralisi è QUELLA la tua vita.
Solamente chi crede che la vita sia soltanto un certo modello fisso predefinito (nascita, scuola, lavoro, morte) può pensare a voler morire se non può vivere il modello imposto dalla società.
La vita può esprimersi in molti modi. E la Natura stessa ha sempre previsto dei paralizzati totali e dei disabili 100% dipendenti da altri, anche quando non c’era la moderna medicina.
Se tu passi il messaggio che “certa vita non è vita”, allora sì, certamente ci sarà chi vuole morire anticipatamente.
Questa non è “libertà”.
È solo che tu l’hai convinto che la vita può svolgersi SOLO con un modello omologato.
E allora quella persona soffrirà per il fatto che non lo potrà avere.
Massimo dice:
“Mi chiedi poi: “perché noi ci permettiamo di anticipare le sue decisioni di adulto e lo facciamo vivere?
Perché gli diamo l’opportunità di vivere e di esprimersi. ”
Appunto. Lo stesso noi cristiani facciamo con chi resta paralizzato. Noi abbiamo la visione più larga già in questa vita: quindi per noi ci si può esprimere in molti modi e desideriamo che tutti possano partecipare, credenti e non credenti… anche solo magari battendo un tasto al minuto su una “tastiera ottica” e scrivendoci un libro coi loro pensieri – come sta avvenendo in tanti di questi casi. Per noi sono benedizioni e danno contributi preziosi alla nostra società. Senza di loro la nostra vita è monca. Se li pensiamo “inutili” : gli inutili siamo proprio noi che non avremmo capito che cosa sia la vita.
Vita qui ora. Non dopo.
Massimo dice:
“Se lo facessimo morire, oltre che essere un atto criminale, rischieremmo ugualmente di anticipare le sue decisioni, di invertire le sue decisioni di adulto, che magari, nonostante la nostra delirante logica vorrebbe vivere. Un bimbo non può decidere perché non ha gli strumenti. Ma basta guardarlo per rendersi conto che la sua volontà è quella di vivere: piange perché ha fame, non perché vuole morire. Cerchiamo di ragionare evitando le assurdità …”
Bravo, evita le assurdità.
Un corpo paralizzato soffre di sofferenze atroci se non gli dai cibo e acqua.
Basta guardarlo per rendersi conto che la sua volontà è quella di vivere.
Proprio come hai detto del neonato.
Massimo dice: “Quella che tu chiami condizione “stabile” è una condizione INNATURALE. Non puoi paragonarla a quella naturalissima di un bambino. Sbagli perché il bambino ce l’ha dentro la voglia di vivere”.
Anche un corpo che assorbe naturalmente cibo ed acqua ce l’ha. Assorbire cibo e acqua è la cosa più naturale che ci sia.
Massimo dice:
“Se ti riferisci a quel tipo di sofferenza morale mi pare di averti già risposto: l’essere una persona in una condizione di cosa per un tempo indeterminato”.
Una persona non è MAI una “cosa”.
Non esiste una condizione di “cosa”.
È questa l’assurdità che tu fai passare quatto quatto.
Massimo dice:
“Ovvio che è lui stesso a ritenersi in una condizione di cosa: ma mi pare ragionevole che di fronte ad una condizione innaturale sia la persona protagonista della situazione a decidere”.
Una persona non può mai decidere che non è più una persona.
Come fai tu ad essere così illogico?
Per quanto una condizione sia stata permessa dalla scienza moderna e da super-cure: la persona è sempre persona.
Altrimenti anche un feto congelato e impiantato anni dopo sarà considerato una cosa. Lo stesso per certe fecondazioni in vitro ipertecnologiche.
Quei bambini sono forse “cose” perché sono stati ottenuti con metodi innaturali?
(peraltro sono metodi disapprovati dalla Chiesa, ma i bambini che nascono non sono mai “cose”).
Massimo dice: “E comunque ti invito a non mischiare le due cose come hai fatto con una persona in stato vegetativo ed un neonato”.
Le condizioni sono simili.
È normale fare i paralleli.
Che cosa rende una vita degna di essere vissuta?
Perché il neonato è “vita” mentre un paziente paralizzato dovrebbe diventare una “cosa”?
Tu non spieghi il perché una persona ad un certo punto diventerebbe una cosa.
Come fa? Il tuo discorso è illogico e antiscientifico.
E la fede non c’entra proprio niente. Qui basta la logica.
Ciao.
Brava, Francesca! 🎓👌
Grazie 😇
Purtroppo oggi siamo in piena “profezia Chesterton”:
“Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro.
Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”.
E’ già la seconda volta che inserisco la risposta a Francesca, che compare con la scritta che il commento deve ancora essere moderato. Poi scompare senza venir pubblicata. Non mi pare di aver scritto offese a nessuno. Potrei sapere per quale morivo la mia risposta non viene pubblicata?
Francesca, per favore, evita di paragonare il “diritto” del medico di entrare in un corpo di un paziente che non vuole accettare interventi esterni da parte di un medico e vorrebbe poterlo dichiarare con le DAT al diritto di procreare! Ti accorgi che non esiste un neonato al mondo che manifesti la voglia di morire o di non essere nato, nemmeno se soffre fin dal grembo materno? Poi prosegui con la tua “logica” che, per sostenere le tue precedenti affermazioni, si deve spingere ancor più oltre nel percorso verso l’assurdo, e che finisce per dover considerare ragionevole la posizione di chi vorrebbe impedire la procreazione mondiale perché non si sa se il bambino che nascerà vorrà vivere. Per favore, trovami un neonato, uno solo nel mondo, che non voglia vivere! Infatti scrivi. “Abuso morale: perché avresti deciso di far venire al mondo chi non poteva decidere.”. Se a 18 anni qualcuno arriva razionalmente a sostenere che i suoi genitori sono stati dei criminali a metterlo al mondo senza chiedergli il permesso, io gli rispondo che quando hanno deciso di metterlo al mondo lui non c’era e quindi non poteva esprimere pareri. E gli aggiungo che adesso che ha 18 anni è libero di togliersi la vita che non sopporta. Lo faccia con le sue forze e senza mettere di mezzo altra gente, perché se lo fa in modo pubblico qualcuno avrà diritto di fermarlo. Ma è una decisione sua: per decidere se la propria vita merita di essere vissuta bisogna innanzitutto esserci. Se non si esiste manca … il soggetto. Poi scrivi: “L’abuso è TOGLIERE LA LIBERTÀ di poter pensare a sviluppi e progressi.” Quindi uno, se vuole essere libero, deve AUTOMATICAMENTE pensare che comunque, dopo un anno di stato vegetativo, qualche progresso lo risveglierà. Se pensa invece di tenersi lui stesso aggiornato in merito alle possibilità di risveglio e di ritirare le DAT, eventualmente, se le probabilità di risveglio dovessero aumentare significativamente dallo 0,0…% attuali non è libero. Ma ti accorgi di quanta irragionevolezza devi sostenere per giustificare le tue posizioni man mano che ti rifiuti di ammettere che c’è invece qualcosa da rivedere? La libertà è essere come decidono gli altri? E’ una concezione un po’ sovietica per me …
Poi chiedi. “SE ad esempio una persona volesse rimanere in vita per attendere nuove terapie (molte volte accade che un farmaco sia nella fase finale di sperimentazione e si debba magari attendere 2-3 anni), e SE questa persona avesse ormai firmato le DAT e se non potesse più comunicare con l’esterno?” Mi pareva di averti già risposto negli altri post ma … poco male. Se uno non vuole firmare le DAT non le firma. Se invece è deciso a firmarle le firma, ed è consapevole che se muore dopo un secondo quelle restano. Se questo lo turba non le firma. Si chiama responsabilità personale. Se uno vuole sottoscrivere un testamento ma ha paura di pentirsene e di non fare in tempo a ritirarlo … non lo redige. E’ semplice, no? Ti ho già scritto che così come uno può pentirsi di aver sottoscritto le DAT (che comunque si possono ritirare in qualunque momento), qualcun altro può pentirsi di non averle sottoscritte. Nelle condizioni artificiali ed innaturali di stato vegetativo persistente non sappiamo come ci si trovi: se non chi lo potrebbe vivere in prima persona, chi altri dovrebbe decidere se restarci?
Poi, dopo aver elencato alcuni casi piuttosto curiosi, scrivi: “La vita è fatta così. Mi sembra tanto strano che lo si neghi. Non è necessario avere prospettive dell’aldilà. No.” Non ti accorgi che i casi che fai prevedono che chi è in stato vegetativo sia in contatto col mondo, possa tornare a vedere il nipotino o a lavorare perché si concretizza un progetto perseguito da anni, esca un film che potrebbe vedere, …??? E come fa uno in stato vegetativo persistente a fare questo? Sei cosciente di cosa significhi stato vegetativo persistente? Credo di no, se fai questi esempi. La legge non nega proprio nulla: lascia libere le persone di esprimere, o non esprimere, un’indicazione valida se si dovessero trovare in condizione di non comunicare più col mondo: perché in quel caso, se non l’esprimono, saranno le indicazioni di altri a valere. Cerchiamo di stare ai fatti, non di inventare cose che non esistono.
Ti prego, non continuare a sognare e a dipingere realtà virtuali: per una persona che si “riprende” dopo anni di stato vegetativo ce ne sono, attualmente, 300 che non si riprendono più. Ci siamo? 300 contro 1. E tu vorresti che tutti si conformassero al tuo pensiero e preferissero sperare di essere quell’1 su 300 che si “risveglia” e non prendere atto che con ogni probabilità saranno invece fra quei 299 che non si risvegliano. Ma perché non pensi all’ipotesi che ognuno possa decidere per se della propria vita? Perché vuoi essere tu a stabilire i criteri personali per tutti, come se nessuno fosse in grado di badare a se stesso? Questo tuo atteggiamento si chiama paternalismo. Se Cristo fosse stato paternalista solo un decimo di quanto sei tu avrei altri riferimenti.
Poi scrivi.”Dunque, perché dici che non esiste il tempo indeterminato?” Perché entro gli 80 anni muori. E se sei in stato vegetativo generalmente muori MOLTO prima.
E se fai parte di uno di quei casi (rari, insisto) che vive – esempio estremissimo – dall’età di 20 anni fino ai 40 in condizione di paralisi è QUELLA la tua vita. No, Francesca: non vivi in condizione di paralisi: vivi in condizione di STATO VEGETATIVO!!! Hai capito qual è la differenza? La differenza è che un paralizzato comprende, comunica e può esprimersi; uno in stato vegetativo invece no. Io non faccio decidere ad una che non ha ancora chiara la differenza fra le due condizioni che la mia vita dai 20 ai 40 anni deve essere quella.
La tua confusione fra persona paralizzata e persona in stato vegetativo prosegue poi anche nei concetti che esprimi successivamente, per cui non posso far altro che suggerirti di informarti meglio sulle differenze. Poi arrivi a dire che siccome un corpo assorbe acqua naturalmente è da paragonare ad un neonato che naturalmente vuole cibo. Ma salti un piccolo particolare: così stai considerando del paziente solo l’aspetto corporale. Sei tu che riduci la persona a corpo, a cosa. E non vuoi permettergli di esprimere la sua volontà. Fatti un profondo esame di coscienza, Francesca, e ricordati che il neonato è già una persona che comunica, così come il paziente in stato vegetativo è ancora una persona che non comunica più.
Scrivi. “Una persona non può mai decidere che non è più una persona.” Infatti non decide che non è più una persona: si rende conto che la sua vita di persona è inserita in una innaturale condizione di cosa” e a questo si ribella. Se fosse una cosa non si ribellerebbe, ma si ribella proprio perché è una persona. Ma tu vuoi togliergli la possibilità di ribellarsi e la degradi a “cosa”.
Successivamente fai l’esempio degli embrioni congelati: ovvio che non sono cose, ma noi le trattiamo da cose e li congeliamo. Se potessero esprimersi cosa direbbero? Penso che direbbero che non ci stanno a restare anni criocongelati in attesa che, forse, una minima percentuale di loro sia impiantato, direbbero che non è una condizione dignitosa. Tu cosa diresti al loro posto? Diresti che va bene così, che sei una persona e che la tua vita in quel momento è quella di stare a tempo indeterminato al fresco?
E veniamo alla tua considerazione finale: la condizione dello stato vegetativo e del neonato sarebbero simili: anche qui tu parli di paziente paralizzato, dimostrando di non capire la differenza con lo stato vegetativo o di non volerla capire, ma ti ho già risposto su questo; informati meglio. Ti ripeto che una persona non diventa MAI una cosa; ma viene a trovarsi in una condizione innaturale ed artificiale di cosa. E’ proprio questo gap che non è dignitoso; e non lo è perché quella persona non vuole rinunciare ad essere persona. Per lei è meglio morire da persona piuttosto che vivere da cosa. Per altre persone, nel corso dei secoli, è stato meglio morire da persone libere piuttosto che vivere da schiavi. Si sono ribellati all’oppressore; a volte hanno avuto la peggio, altre hanno vinto. Ma ora le ricordiamo e le ringraziamo perché col loro sacrificio ci hanno ricordato che la libertà è un valore barattabile con quello della vita. Tu invece, che forse non hai ancora apprezzato abbastanza il bene della libertà, preferisci vederla togliere a chi vorrebbe esercitarla per far tornare i tuoi conti morali.
Ciao.
Discussione divenuta ormai surreale oltre che stucchevole.
È davvero così difficile accettare che un individuo possa decidere in libertà e piena autonomia, senza coinvolgere nessun altro, come vivere e soprattutto che cosa fare della propria esistenza in vista della fine del percorso, senza scomodare il Padreterno, l’ipotetico valore salvifico della sofferenza, la donna in coma vegetativo irreversibile dal 2003 accudita amorevolmente dai genitori e chi più ne ha più ne metta?
Se già ieri un paziente aveva il diritto di rifiutare qualsiasi trattamento terapeutico pur sapendo che così facendo potesse favorire il decesso o di chiedere se ricoverato di essere dimesso, assumendone la piena responsabilità, allora davvero non si comprende il motivo per cui oggi c’è chi si scandalizza se lo stesso soggetto può indicare in anticipo la propria volontà nel caso malaugurato di non poterlo fare di persona un domani.
E poi, DAT o non DAT, credo che in una qualunque famiglia, tutti dovrebbero conoscere quali siano i desideri, gli intendimenti e le convinzioni di ogni membro e rispettarli, e se così non fosse sarebbe bene affrettarsi ad affrontare l’argomento, perché «… Mentre parliamo, se ne va il tempo geloso: strappa l’attimo, e non fidarti per nulla del domani».
La fede, per chi ce l’ha, è sempre una libera scelta, non il risultato dell’evidenza di un esperimento o di una deduzione sillogistica. Non può esserci costrizione nella fede. E non solo in materia religiosa. Il campo della libertà, infatti, è un campo laico per eccellenza, riguardando l’uomo e i suoi diritti, le sue scelte, le sue possibilità. Occorre che rimanga un dubbio, affinché l’adesione abbia un senso e un valore e sia il frutto di una libera coscienza. Altrimenti sarebbe l’atto meccanico della constatazione irrefutabile o quello supino dello stupore e del terrore.
Non vedo come la discussione possa essere diventata addirittura “stucchevole” quando, in un confronto dai toni piuttosto urbani, ognuno estrinseca i propri convincimenti circa una vicenda che, giocoforza, riguarda o riguardera’ tutti noi. Ognuno e’ attestato sulle proprie posizioni: io ritengo che il libero arbitrio e la liberta` possano in linea di massima coincidere ma, credendo fermamente in Dio, il Creatore di tutti gli uomi, ritengo che si debba rispettare la vita sino in fondo e accettare anche la sofferenza come corollario necessario, qualunque essa sia. Credo che nulla succeda per caso ma che tutto rientri nel progetto di Dio su di noi: anche l’indicibile sofferenza: un giorno ci sara” svelato il perche’.
Stucchevole poiché la discussione è divenuta ripetitiva, quindi noiosa e senza via d’uscita. Lo dice anche Lei che ognuno è attestato sulle proprie posizioni.
Lei ritiene, credendo fermamente in Dio, il Creatore di tutti gli uomini, che si debba rispettare la vita sino in fondo e accettare anche la sofferenza come corollario necessario, qualunque essa sia.
Va bene, l’ha già scritto e legittimamente fa benissimo a comportarsi di conseguenza, ad maiora!
Tuttavia c’è chi non concorda con questa visione e vorrebbe comportarsi altrettanto legittimamente di conseguenza. Tutto qui.
Qualcos’altro aggiungere?
Che altro aggiungere? Repetita iuvant…(sempre che alla fine si comprenda, pero`).
Saluti.
😆