Hanno fatto irruzione armati all’Holey Artisan Bakery di Dacca, locale frequentatissimo da occidentali, hanno separato i musulmani dagli altri ed hanno iniziato a sgozzare tutti gli altri, rei di non esserlo e di non saper recitare
in arabo – come prescrive il Corano – la dichiarazione di fede all’Islam: il commando di jihadisti non ha insomma avuto alcuna pietà uccidendo, fra gli altri, dieci nostri connazionali (e non nove, come scrivono i giornali: Simona Monte, 33 anni, una delle vittime, era incinta da settimane). Una strage che quindi non sconvolge solo il Bangladesh, non è neppure ascrivibile solo all’ISIS e non è neppure, a ben vedere, una novità assoluta: dal febbraio 2013 sono 40, infatti, le persone assassinate da vari gruppi islamici – 12 solo nelle ultime 14 settimane – ed è ancora viva la memoria di Ovidio Marandy, giovane cattolico trucidato dagli estremisti islamici nel distretto di Gaibandha, Bangladesh settentrionale.
Una strage, quella di Dacca, che non è quindi che l’ultimo, sanguinosissimo episodio d’una serie di violenze che dura da tempo e con una sola matrice: l’estremismo islamista. E odio, follia e terrore sono parole buone – davanti a stragi come questa – solo a distogliere l’attenzione dall’evidenza e non è un caso che siano ora le più pronunciate: quasi che delle responsabilità islamiche non si dovesse parlare e ci si dovesse limitare, all’insegna di un penoso rituale, a ricordare che esiste pure l’Islam «moderato» e che per un estremista ci sono mille bravissimi mussulmani. Ora, non so voi ma a me tutto questo inizia a stancare e fatico a non trovare sensate le parole di mons. Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente della Commissione episcopale Giustizia e pace, il quale è stato molto chiaro: «Ora tocca agli islamici del Paese: si devono alzare in piedi per salvare l’immagine e la faccia della propria religione». Chiaro? «Ora tocca agli islamici». Non basta dissociarsi a posteriori, non più.
Occorre cioè che l’Islam «moderato» ricordi la propria esistenza non solo – come avviene da anni – dissociandosi dopo l’ennesimo atto di terrorismo: occorre che lo faccia concretamente, da subito. Per esempio: per quale ragione non è mai successo che dei mussulmani abbiano denunciato alle autorità sospetti jihadisti? Possibile che il terrorismo islamista prosperi sempre nell’ombra, all’insaputa di tutti e tutto, senza che nessuno sappia? Strano: perché sono poi loro, i terroristi, com’è accaduto a Dacca, a separare i mussulmani dai cristiani: segno che qualcosa non torna. Ricordo che, dopo una strage – mi pare quella di Parigi – un nostro telegiornale intervistò dei mussulmani italiani per commentare l’accaduto e uno di questi, credo nel tentativo di dissociarsi, si dichiarò dispiaciuto perché quella «era stata una sciocchezza». Cosa? Una «sciocchezza»? Stiamo scherzando? Ora, può darsi che quel tale intervistato avesse una scarsa conoscenza dell’italiano, ma è chiaro come non basti che l’Islam «moderato» autocertifichi la propria esistenza.
Non più: troppo comodo. Occorre, che gli islamici – come dichiarato da mons. Gervas Rozario – si alzino in piedi e ci mettano la faccia. Attendiamo fiduciosi. Nel frattempo, c’è da augurarsi che anche l’Occidente, poiché la strage di Dacca è un chiaro messaggio a tutti noi, prenda delle contromisura abbandonando non già l’islamofobia bensì l’islamofilia; senza rispolverare odiosi pregiudizi, infatti, è opportuno che, in particolare l’Europa, cessi di odiare il proprio passato e le proprie radici smettendo di ritenere intrinsecamente buono tutto ciò che non appartiene al suo DNA, Islam in primis: il fatto che il sindaco di Londra sia mussulmano e che mussulmano sia un ministro francese – due esempi evocati da una entusiasta Lilli Gruber nel corso di una trasmissione, a dimostrazione, secondo lei, che l’integrazione è realtà – non significa proprio nulla. L’integrazione non è un fatto individuale, ma collettivo, fra culture.
Ed ho i miei dubbi, francamente, che un’Europa stritolata fra un laicismo sempre più spinto e un’esterofilia sempre più ridicola sappia fare integrazione: ho invece la sensazione che stiamo sempre più confondendo l’integrazione altrui con la nostra disintegrazione, non solo perché non abbiamo valori ma perché pensiamo di averli solo nella libertà di scelta, di vestirci come ci pare e piace, di farci l’aperitivo in santa pace. A questo, addolora dirlo, ci stiamo riducendo: a guardiani del Nulla, allo smidollamento elevato a principio, senza niente che valga la pena difendere al di là del proprio ombelico. Difficile allora stupirsi di quanto ha rilevato un test choc effettuato mesi fa nella nostra scuola e che ha rivelato che, se domani arrivasse l’ISIS, 23 studenti su 25 ci convertirebbero: e verosimilmente, magari, reciterebbero pure i versetti del Corano che i nostri connazionali non hanno saputo: ci rendiamo conto del livelli a cui ci stiamo abbassando? Riflettiamoci un po’ sopra, almeno. Dacca non è poi così lontana.
Totalmente d’accordo.
Una cultura, una società può “integrare” a sé un’altra realtà o componente sociale se tale cultura , se tale società possiede una caratteristica essenziale. Quella di esistere. Cosa integri, cosa dialoghi, se tu non esisti più? L’Europa ha terminato di esistere nel momento in cui ha deciso l’apostasia, ha volutamente abbandonato e disconosciuto le proprie radici cristiane.
Ammesso e non concesso che la cultura islamica, pure quella cosiddetta “moderata” abbia nel suo DNA la volontà, l’orientamento a integrarsi con altro che non sia “islamico”, come potrebbe oggi, o come potrebbe volere un’integrazione con chi è nulla? Per quale misterioso motivo dovrebbe sentirsi attratta da una cultura priva di valori umani e di fondamenta? La verità è che l’integrazione sta già avvenendo. E’ quella che l’islam sta facendo con noi.
L’ha ribloggato su Organone ha commentato:
…
“L’integrazione non è un fatto individuale, ma collettivo, fra culture.”
Sono ben d’accordo.
Io invece non sono d’accordo: fino a pochi decenni fa i mussulmani si integravano eccome visto che venivano individualmente ed erano pochi! Non va sottovalutato l’aspetto QUANTITA’ nel lasso di un breve periodo di tempo.
Dico sempre che se tornassero dal sudamerica in massa e in poco tempo tutti i discendenti cattolici degli italiani ci sarebbero comunque gravissimi problemi. Ovvio che è più facile poi andar d’accordo con culture più simili, ma ripeto: l’aspetto quantità/tempistica è quello che secondo me ci ha principalmente fottuti
Sono più che d’accordo con le parole di mons. Gervas Rozario. Le ha scritte anche Mentana: «Una sola cosa è più inspiegabile delle scelte dei kamikaze islamisti: la mancata sollevazione di massa contro le loro nefandezze da parte delle comunità musulmane nel mondo. In ogni civiltà si creano gli anticorpi contro le degenerazioni ideologiche o culturali o sociali. Invece il terrorismo jihadista strage dopo strage sta schiacciando l’Islam moderato, che esiste ma è senza voce, per timore di ritrovarsi la bestia in casa. Il risultato è quello peggiore, e rischia di tagliare il mondo in due aprendo terminate praterie ai tagliagole di Al Baghdadi».
Una richiesta che dovrebbe essere rivolta in via ufficiale a tutti i rappresentanti delle comunità musulmane in Italia, che non dovrebbero limitarsi a chiedere dove impiantare moschee. L’eventuale mancata presa di posizione pubblica sarebbe la prova di una complicità mascherata ma reale.
L’integrazione vera è forse l’eccezione riservata a pochi ed è perfino ingiusto a mio parere pretendere che chi giunge cancelli le proprie origini e tradizioni. Ciò che invece rappresenta un errore carico di gravi conseguenze è il non pretendere il rispetto delle leggi e delle tradizioni dei paesi ospitanti. Che cosa c’entrino ad esempio i tribunali della sharia con le tradizioni del Regno Unito, non è per nulla chiaro.
Non c’è nulla di cui stupirsi se 23 studenti su 25 sarebbero disposti a convertirsi nel caso fossero minacciati dall’Isis. Più che stupirsi bisognerebbe prendere atto che oggi la maggioranza dei giovani è indifferente alle questioni religiose. Non si tratta quindi di conversione, ma di salvare la pelle barando. Soltanto chi vive la fede in modo autentico può rifiutare la conversione anche a costo della vita, ma allora si parla di martirio e si tratta di una cosa seria.
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