Il susseguirsi di fatti e notizie purtroppo allarmanti sta continuando, in questi giorni, ad attirare l’attenzione sul problema della violenza di coppia e, in particolare, sull’amore malato e possessivo. L’argomento è estremamente delicato e, insieme, troppo importante per non essere affrontato con serietà. Una serietà che impone, per quanto possibile, un approfondimento ragionato, non cioè emotivamente ma antropologicamente ispirato e finalizzato a comprendere le cause di quanto sta accadendo al di là di tesi false, per quanto diffuse. E dato che vi sono essenzialmente due modi per arrivare alla verità delle cose – direttamente oppure per gradi, iniziando con lo smascherare le menzogne –, direi che è utile, per meglio comprendere le dinamiche della violenza di coppia, partire proprio dalle false tesi che circolano al riguardo.
La prima è che quella secondo cui la violenza contro le donne, in particolare nel nostro Paese, sarebbe in buona sostanza frutto di una cultura patriarcale e ancora troppo poco egualitaria. Più precisamente, sarebbero gli uomini italiani ad essere sempre più violenti perché spiazzati dal cambiamento culturale in corso e impreparati – per non dire spaventati – dal nuovo ruolo della donna, non più angelo del focolare ma finalmente libera di scegliere e protagonista di un riscatto sociale. Ancorché molto diffuso e condiviso, questo pensiero è sociologicamente falso come dimostra il caso dei Paesi nord europei – certamente non cattolici, molto secolarizzati e poco patriarcali – nei quali violenza e “femminicidio” sono diffusi non allo stesso modo, bensì di più che altrove. Qualche numero e qualche dato aiuteranno, spero, a capire.
Si consideri la Svezia, autentico paradiso della “parità di genere” tanto da divenire, nel 1994, il primo Paese in assoluto con metà Parlamento composta da donne; ebbene in Svezia le violenze sessuali, dal 1975 al 2014, con cresciute in modo agghiacciante: + 1.472%. Anche considerando Danimarca e Finlandia è più elevato che altrove – dicono i dati – il rischio che una donna rimanga vittima di violenze, fisiche o verbali. Questa scomoda verità viene criticata da alcuni i quali ribattono che le donne del nord Europa sembrano subire più violenza solo perché la denunciano di più: obiezione intelligente, ma non fondata. Lo dimostrano sia i dati sulle donne uccise (non bassi) sia un nuovo studio, che ha messo in luce come la percentuale di donne che denuncia violenze in Danimarca, Finlandia e Svezia sia inferiore alla media europea (cfr. Social Science & Medicine, 2016).
La cultura patriarcale e la tradizione cattolica possono dunque lasciare il banco degli imputati, essendo inadeguati a spiegare la diffusione della violenza di coppia. E debbono lasciar il banco degli imputati pure famiglia e matrimonio. Un seconda tesi da smascherare, infatti, è quella individua la famiglia come il posto più pericoloso per una donna, che da sposata finirebbe nelle mani del marito violento senza via di scampo. Falso: i tassi di violenza domestica nelle convivenze – anche se è politicamente scorretto dirlo, dopo decenni di demonizzazione della vita matrimoniale – sono più elevati di quelli nei matrimoni (cfr. BMC Public Health, 2011; Intimate Violence in Families, 1997). Non solo: come conferma anche l’Istat, le donne coniugate sono, fra tutte, le meno esposte al rischio di subire violenza (6,5%), superate solo dalle vedove (4,0%), forse perché in genere queste sono più avanti con gli anni e con meno vita sociale.
La terza tesi da smascherare – assolti la cultura tradizionale e cattolica, così come la famiglia, dall’accusa d’incentivare la violenza contro le donne – è quella secondo cui l’uomo che maltratta o arriva ad uccidere la donna è quello possessivo. La tesi, in questo caso, è errata perché parziale; ed è parziale sia perché addossa al solo maschio la responsabilità dalla violenza di coppia sia perché è ovvio che chi arriva a maltrattare il partner è perché lo considera come oggetto anziché come soggetto. Il punto, semmai, è un altro: cosa porta un uomo lasciato ad uccidere l’ex? Un punto di vista molto convincente, al riguardo, è quello dello psichiatra Vittorino Andreoli, che alla domanda su quale sia l’uomo che uccide la donna che gli si rifiuta o la compagna che lo lascia, anziché riscaldare la minestra della cultura patriarcale ha affermato: «L’uomo pulsionale senza freni inibitori».
Scusate, ma «l’uomo pulsionale senza freni inibitori» – più che con l’icona caricaturale del capofamiglia religioso, conservatore e manesco – non combacia col modello di cui la pubblicità e i mass-media cantano con insistenza le lodi? «L’uomo pulsionale senza freni inibitori» non è forse quello che più segue l’istinto, che più coglie l’attimo e che antepone sistematicamente il “cuore” al cervello? Il vero problema, insomma, non sarà quello dell’antropologia edonistica, che credendo di liberare l’uomo da vincoli religiosi e morali sta finendo con de-umanizzarlo, rendendolo appunto «pulsionale senza freni inibitori»? Sono domande scomodissime se non altro perché, anziché chiamare in causa una non meglio precisata cultura del passato – di cui dovremmo sbarazzarci, secondo alcuni – mette nel mirino quella attuale e dominante; e c’è da giurare che, proprio per questo, molti le eviteranno.
Eppure è davvero difficile levarsi dalla testa che sia proprio il modello «pulsionale senza freni inibitori» – e quindi potenzialmente fuori controllo – il vero mostro, quello che alza le mani e talvolta uccide perché non conosce anzi odia ritenendola moraleggiante il concetto del limite, perché tiranneggiato dal suo Ego, perché posseduto dall’idea di meritarsi tutto senza doversi sudare nulla. Saremo in grado, prima d’iniziare come società, come comunità e come cittadini un nuovo percorso educativo, di raccontarci questa verità? Riusciremo ad ammettere cioè che il futuro che stiamo costruendo, così come lo stiamo costruendo, è esso stesso parte del problema, oppure continueremo – optando per la scelta più semplice – ad attribuire ogni responsabilità del disordine del nostro tempo alla cultura di coloro che ci hanno preceduto? Penso che molto, se non tutto, dipenda dalle nostre risposte a queste domande.
Condivido molto le tue conclusioni. E’ questo modo di vedere oggi la vita, questo non voler assumersi responsabilità, questo vivere pensando che tutto sia un diritto, anche il possesso fine a se stesso, di una donna, a far sì che l’uomo diventi mostro. E’ una società sbagliata, che attraverso anche linguaggi sguaiati, di violenza anche verbale ha fatto credere a molti, diciamo forse anche un po’ malati già in origine, che tutto può essere governato con la prevaricazione, con l’offesa e il non rispetto altrui dovuto a tutti gli esseri umani, non solo le donne. E’ orribile ogni femminicidio , così come ogni violenza ed omicidio. Buona giornata. Isabella
Giuliano, scusami ma credo che anche l’analisi che riporta alla sola perdita di “freni inibitori” in una società certamente ormai “sfrenata” o “senza freni”, rischi di rimanere in superficie e proporre una eventuale soluzione che dovrebbe essere quale?
Ri-educhiamo(ci) ad avere maggiori freni inibitori?
Il cuore del problema a mio giudizio sta… nel cuore dell’Uomo.
Non è forse il caso di dire che per un Uomo (maschio o femmina che sia) che sempre più si crede Dio, sempre più crede TUTTO gli sia dovuto e che come dio, a lui tutti debbano rendere “onore e gloria”? L’affronto di chi ti smentisce, che ti “toglie” qualcosa, un bene, ma anche un affetto – magari per propria scelta – diviene fatto inaccettabile, insostenibile.
Colui o colei (in questi casi) che si permette di fare ciò, diviene tuo nemico e se si permette di sottrarsi al tuo “potere”, al tuo possesso, beh meglio che muoia…
O vogliamo anche dire che un Uomo (maschio o femmina che sia) che ha spostato il suo “axis mundi” su un altro Essere o addirittura cosa, oggetto, sicurezza, al cadere, alla possibilità che questo “centro di gravità permanente” scompaia, si distrugga, perde completamene la ragione, si sente irrimediabilmente perduto e reagisca con una furia distruttrice, tanto da rivolgerla poi – non di rado – verso se stesso.
In questa visione possiamo anche inserire coloro (e di questi tempi non sono pochi) che perdono i loro averi e decidono di togliersi la vita o non di rado – tremenda eventualità – sterminano l’intera propria famiglia…
Si potrebbe dire anche altro su questo specifico tema (https://costanzamiriano.com/2015/12/23/la-vita-non-vale-forse-piu-di-110-mila-euro/)
Sicuri le due cose siano assolutamente non paragonabili.
Certo poi non tutti (grazie a Dio) reagiscono alla stessa maniera…l’immediata domanda: “ma perché per lo più sono i maschi a reagire con inaudita violenza, a uccidere?”, ha tante possibili risposte che potrebbero essere indagate. Sociologiche, antropologiche e anche spirituali, ma dobbiamo scendere un po’ più in profondità per chiederci: cosa dà senso al vivere dell’Uomo, cosa gli dà Vita?
Perché se ad un Uomo (maschio o femmina che sia) togli i senso del vivere, la ragione della propria vita (vero o presunto e distorto che sia), lo uccidi e se l’Uomo sente, avverte che la sua “vita” è in pericolo, reagisce e la sua reazione a livello primordiale direi quasi “animale”, è quella difendersi, talvolta sino alle estreme conseguenze.
A lungo poi si potrebbe discutere sull’azione del Maligno, mentitore e omicida da sempre… ma anche questa è “casistica” che ormai non rientra più in argomenti che possono essere presi in considerazione (già il mettere la questione in relazione al rapporto Uomo-Dio pare improponibile…).
Tutto ciò ben inteso non per togliere le singole pesanti responsabilità di ognuno, perché l’Uomo ha sempre una possibilità di scelta… e sceglie!
Sicuramente sì, se l’Uomo fa della sua ragione di vita i suoi soldi, il suo lavoro, sua moglie o anche i suoi figli, invece che fare di Dio l’unica ragione di vita, e poi in qualche modo perde quest’unica ragione … si può dar di matto!
Dio invece non Lo perdiamo mai se Lo accogliamo..
Dobbiamo ricordarcelo costantemente!!
La prima e seconda tesi sono interessanti e credo condivisibili. Ed ha fatto bene a ribadirle. Sulla terza ho pero’ qualche dubbio.
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Questi episodi, in gran parte, mostrano una verità negata dal biologismo utilitarista che riduce tutto a codice genetico: l’uomo è naturalmente e gelosamente monogamo, perché vede nell’approccio sessuale la realizzazione di quell’aspirazione insopprimibile a essere totalmente e eternamente desiderato, amato e perdonato.
Filosofia, religione arte e letteratura, hanno in passato sempre parlato di questo. Oggi meno; in una società utilitarista, esistono solo diritti, e quando due diritti entrano in conflitto la soluzione “biologica” non può che essere una soluzione drammaticamente violenta.