Sì, no, forse. Non si è affatto capito quale effettivamente sia la posizione del Governo sulla possibilità di aumentare il bonus bebè, che per chi lo ignorasse è un assegno mensile di 80 euro che – per i primi tre anni di età – spetta per ciascun figlio nato o adottato alle famiglie a basso reddito: il Ministro Lorenzin aveva proposto di raddoppiarlo, facendolo così salire a 160 euro mensili, ma dalle ultime indiscrezioni pare che né il Presidente del Consiglio né il Ministro dell’Economia siano molto d’accordo. Ora, a parte il lato tragicomico che vede la proposta di un Ministro smentita o quasi da un altro Ministro dello stesso Governo del giro di poche ore, gli aspetti realmente drammatici della questione sono almeno due. Il primo consiste nell’inverno demografico che caratterizza il nostro Paese: lo scorso anno – segnala l’Istat – le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia; non solo: il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta – nonostante l’arrivo in Italia di molti immigrati – a 1,35 figli per donna.
Il secondo aspetto drammatico, però, è ancora più inquietante del primo. Se infatti da un lato sappiamo che l’Italia soffre un inverno demografico con pochi precedenti al mondo (solo la Germania sembra messa peggio di noi), dall’altro non esiste alcuna certezza che non raddoppiando, bensì neppure triplicando o quadruplicando il bonus bebè si migliorerebbe in modo significativo la situazione. Che cosa intendo dire? Intendo dire che ha ragione da vendere, il Ministro Lorenzin, quando denuncia «il quadro di un paese moribondo». Il punto però è che non è affatto detto che, con più aiuti, la situazione della natalità, in Italia, migliorerebbe. Primo perché, come detto, il bonus bebé va e continuerebbe ad andare solamente ad alcune categorie di famiglie, secondo perché il calo della natalità non risulta risolvibile con sussidi economici: fosse così – lo diciamo per le tante persone di buona volontà che si battono per il quoziente familiare – sarebbe quasi da festeggiare. Purtroppo però la situazione è molto più seria e neppure Paesi europei con un welfare invidiabile, finora, sono riusciti a superare l’inverno demografico.
Diviene dunque difficile comprendere quali siano le ragioni per opporsi ad un provvedimento – il raddoppio del bonus bebé – che, se pur risulterebbe quasi di certo inefficace ad invertire la tendenza demografica italiana, costituirebbe quanto meno un segnale, un modo per ricordare alle famiglie in difficoltà – ma anche al Paese – che la nascita di nuovi figli è un bene comune, qualcosa per cui valga la pena investire e scommettere. Invece, salvo sorprese, tutto pare destinato ad arenarsi. Il che significa solo una cosa: rimandare un appuntamento difficilissimo. Quale? Quello nel momento in cui un Governo responsabile prenderà atto del fatto che, senza figli, non solo non un Paese non ha futuro ma non ha neppure pensioni, imposte e alcunché per sostentarsi, ammettendo di essere in forte difficoltà nel cambiare le cose. Come si è poc’anzi detto, infatti, il fattore economico non spiega né l’inverno demografico (iniziato in Italia ben prima della crisi) né, tanto meno, come uscirne. La crisi della natalità, insomma, è un guaio serio, dinnanzi al quale non sembrano esistere ricette efficaci nel breve termine. Eppure da qualche parte occorrerà pur iniziare. Anche per questo ha senso chiedersi: chi ha paura del bonus bebè?
Certo, il bonus da solo non risolverà la situazione e tuttavia la proposta del ministro Lorenzin rappresenterebbe finalmente, se attuato, un primo passo concreto, ma dovrebbe essere assegnato al bambino, prescindendo dallo stato civile dei genitori.
Non ho mai creduto che una politica di aiuti adeguati all’infanzia sia del tutto inefficace nel favorire genitorialità e natalità. Un eccellente esempio proviene dalla Francia, che da anni è uno dei paesi europei con i livelli di natalità più alti. E naturalmente c’entrano eccome le efficaci politiche di aiuto alle donne e alle coppie, anche quelle non sposate. L’ultimo rilievo ufficiale dell’Ufficio Statistico dell’UE ha diffuso i dati riguardo alla fertilità e alla nascita di bambini negli stati europei per l’anno 2014. Il rapporto dice che il tasso di fertilità più alto d’Europa è quello della Francia, con 2,01 bambini nati per ogni donna. Sono diversi anni che la Francia si colloca ai vertici. Seguono Irlanda, Islanda, Svezia, Inghilterra, Norvegia, Belgio, Finlandia e Paesi Bassi, Danimarca, Lituania, Lettonia, Slovenia, Lussemburgo, Austria e Germania e infine l’Italia con 1,37 bambini nati per donna. Peggio di noi ci sono Spagna e Polonia 1,32 – Grecia 1,30 e Portogallo 1,23.
Oggi, nonostante la crisi, la Francia investe sulla famiglia il 3,5 per cento del PIL e il grosso degli aiuti economici per le famiglie arriva con il secondo bambino e cresce per ogni ulteriore figlio.
Il tasso di occupazione femminile tra le donne francesi tra i 15 ai 64 anni è superiore al 60 per cento. In Italia è di circa il 46 per cento. Tutto questo non nasce per caso ma grazie all’intero sistema paese. I bambini possono essere affidati agli asili da quando hanno due mesi: circa il 40 per cento dei bambini sotto i due anni è affidato a qualche servizio per l’infanzia, e circa il 92 per cento di quelli tra i 3 e i 6 frequenta la scuola materna. In generale, le mamma francesi sono incoraggiate a non lasciare il proprio lavoro o a interromperlo.
Il demografo Laurent Toulemon ritiene che il “segreto” del successo della Francia (come nei paesi scandinavi) è che ha aiutato con politiche di assistenza economica tutti i tipi di famiglia, indipendentemente dal fatto che i genitori fossero sposati o conviventi: «In questi paesi le regole che riguardano le famiglie sono molto più flessibili, con matrimoni tardivi, famiglie ricostituite, genitori single, e nascite fuori dal matrimonio e divorzi molto più frequenti dei paesi del Sud dell’Europa. Le persone si preoccupano meno del concetto di famiglia, come istituzione». La percentuale di bambini nati fuori dal matrimonio in Francia è di circa il 50 per cento.
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