Premessa: la famiglia, in Italia, non solo non è sostenuta, ma è fiscalmente vampirizzata. E’ per la verità cosa arcinota, ma è bene ribadirlo subito affinché nessuno pensi che chi scrive prenda sottogamba un problema tanto importante e così ostinatamente ignorato dalla politica. Detto questo, però, da sociologo non posso non dissentire da quanti – e sono molti, oramai, anche ai vertici dell’associazionismo cattolico – sono convinti che introducendo il quoziente familiare e con un welfare migliore, rispetto al calo dei matrimoni e della natalità – due problemi l’uno legato all’altro -, parecchio se non tutto, nel panorama odierno, migliorerebbe. Il mio dissenso da questo tipo di considerazioni è motivato da più elementi.
Il primo, molto banalmente, è quello che si può senza esitazione definire un dato di realtà: gli aiuti economici non bastano. Un esempio lampante è quello francese: lì il quoziente familiare esiste già dal remoto 1945 e la natalità sfiora appena il tasso di sostituzione (1,97 figli per donna, nel 2013), risultato senza dubbio migliore di quello italiano ma comunque non certo sufficiente a far parlare di una primavera demografica e probabilmente – ma non si può dire con certezza, dato che non disponiamo di dati sulla fertilità per origine degli abitanti – dovuto al contributo di cittadini stranieri o comunque di origine non strettamente francese. Ad ogni modo il caso della Francia non è isolato.
Si pensi, per esempio, alla Germania, la locomotiva economica d’Europa: il Paese elargisce aiuti sostanziosi alle famiglie, gli stipendi in media sono più alti, hanno una disoccupazione inferiore alla nostra ed altre circostanze favorevoli che però non schiodano i tedeschi da un tasso di fertilità cimiteriale pari, udite udite, ad appena 1,3. Oppure si prenda la brillante Finlandia dove dal 1938 alle donne in attesa di partorire arriva un “pacco neonatale” contenente davvero di tutto (vestitini, copertina, un completino pesante, cuffiette, calzini, un set di lenzuola, uno per l’igiene del bambino completo di spazzolino da denti e forbicine per le unghie, materasso e bavaglino) e che, spesso, è pure la prima culla dei figli.
Eppure, nonostante tutto questo, anche laggiù, in Finlandia, la denatalità non solo esiste come problema, ma peggiora: si è difatti passati dalle 10,8 nascite ogni 1.000 abitanti del 2001 alle 10,45 del 2006 fino alle 10,36 del 2012. Un ulteriore elemento che porta a sconsigliare di leggere la crisi della famiglia in termini economici – per quanto questi abbiano un loro peso – è l’esperienza Italiana, che evidenzia molto chiaramente il ruolo anzitutto della componente culturale della crisi della famiglia. Un esempio è il divorzio, confermato com’è noto con il referendum del 1974: pochi anni dopo i matrimoni lasciarono sul terreno un quinto, le nascite addirittura un quarto della loro consistenza.
Una ulteriore perplessità di fondo nel collegamento fra crisi della famiglia – intesa come calo dei matrimoni e della natalità – e crisi economica e mancanza di attenzioni economiche sorge in me dal fatto che, così ragionando, si considera l’essere umano puramente in un’ottica materialista, mentre invece la persona umana è qualcosa il cui splendore – e i cui bisogni – vanno molto oltre. Da questo punto di vista, altri elementi ci vengono dal fatto che, come evidenziato i dati Istat 2005, nelle Isole e al Sud i giovani si sposano prima di aver compiuto 29 anni mentre invece al Centro e soprattutto al Nord, dove mediamente le condizioni economiche sono migliori, dopo i 30; se fossero economia e precariato a fare la differenza, i numeri avrebbero dovuto essere opposti.
A contrastare il peso dell’elemento economico sulla natalità ci sono invece gli alti tassi di fertilità di persone appartenenti a determinate fedi religiose. Si pensi a quanti si riconoscono nella religione islamica: vivono, in Occidente, la nostra stessa condizione di crisi economica eppure si prevede che i musulmani si riprodurranno a velocità doppia rispetto al resto della popolazione e nel 2030 rappresenteranno il 26,4% della popolazione del pianeta; oppure, guardando agli Stati Uniti, si pensi alla comunità Amish, considerata la religione in massima espansione in tutta l’America: costoro crescono a ritmo vertiginoso non grazie alle conversioni, ma semplicemente perché le famiglie hanno molti figli che rimangono all’interno della comunità.
Questo cosa significa? Che la politica italiana può continuare – come fa ormai bellamente da decenni – ad ignorare la famiglia? Che il quoziente familiare non conta nulla? Che è sbagliato incoraggiare la natalità? Tutto il contrario: la “cellula fondamentale della società” va sostenuta! Se però pensiamo di contrastare economicamente una crisi anzitutto antropologica e che ha nel successo culturale di istituti quali il divorzio e l’aborto, entrati saldamente nella mentalità comune, un punto di grande forza, combattiamo contro i mulini a vento. Non perché, lo ripeto, sia giusto che il fisco continui a bastonare la famiglia, ma perché la famiglia – proprio perché è fondamentale per la società dell’Italia come dell’Europa – ha diritto a molto di più di semplici, per quanto sostanziosi, contributi economici.
giulianoguzzo.com
L’ha ribloggato su paolabelletti.
Pingback: La crisi della famiglia è antropologica, non economica | Giuliano Guzzo | Duc in altum
Pingback: La crisi della famiglia è antropologica, non economica! I dati di Germania, Francia, Finlandia, Europa intera che hanno tassi demografici come se non peggiori dei nostri, pur avendo un sistema fiscale più favorevole, lo dicono chiaramente! | Leonida &am
A questo punto pero’ sono curioso di sapere come stanno dettagliatamente le cose in altri paesi come l’Olanda, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia.
E aggiungerei pure: l’ossessione per la “laurea”, e l’impatto dovuto a un sistema d’istruzione che continua a prorogare nel tempo la ricerca del lavoro, col conseguente rinvio del del rito di passaggio allo stato adulto.
La crisi della famiglia in Italia e in Europa, é senza ombra di dubbio, ed a priori, di natura antropologica. Nel terribile quinquennio bellico 1939-1945, periodo in cui morte, distruzione, violenza di ogni tipo e miseria erano dilaganti, nascevano ogni anno almeno il doppio dei bambini che nascono oggi, nonostante viviamo in tempi di pace e di relativo benessere. Ma attenzione, i dati demografici storici ci dicono che in quel periodo, le nascite erano comunque in eccedenza rispetto ai decessi, mentre oggi succede l’esatto contrario.
Non sono un sociologo, ma nella mia ignoranza mi é parso di vedere che dopo il 1945, anno in cui la guerra finì, nelle società europee prese avvio un processo di involuzione antropologica, che si manifestò in maniera più evidente col Sessantotto e i movimenti femministi degli anni settanta, che hanno influenzato negativamente le generazioni dei giovani di allora e di quelle successive, un regresso etico-morale che ha portato alla distruzione della famiglia, coi risultati che vediamo oggi, in cui prevalgono anarco-individualismo e materialismo.
Ma a mio avviso, un ruolo determinante, se non fondamentale, in questo processo involutivo delle nostre società, lo hanno giocato i mass media, a cominciare dalla televisione, che con i suoi contenuti ha plagiato mentalmente le persone – specie le più giovani – inculcando loro gli anti-valori di cui la nostra società é gravemente contaminata.
Tutto questo sta determinando la scomparsa di noi europei come gruppo razziale, di noi cristiani come gruppo religioso, della nostra civiltà di matrice greco-romana. Che tristezza.
…e ci dicevano, gli scienziati, che sul pianeta siamo diventati troppi. Si, ma non troppi di noi europei, bensì troppi degli altri, e troppi non-cristiani. La questione “razziale” non la considero, potremmo anche, nei secoli, avere tutti quanti lineamenti similmente asiatici e la cosa di per sé non è un problema, purché siano mantenuti i valori culturali, sociali, morali ecc dell’etica cristiana sia per quanto riguarda l’uomo che per quanto riguarda il Creato. E purché siano mantenuti i capisaldi dottrinali della nostra fede cristiana. È il cristianesimo che dobbiamo ringraziare se abbiamo goduto per un po’ di quella pace che ha permesso un certo tipo di progresso. Ma ora l’attacco al cristianesimo e la secolarizzazione, la nuova religione umanitaria con le sue pretese di diritto agli individui sta distruggendo tutto dell’uomo a partire dal concepimento del figlio che quando non avviene è spesso interrotto. Non per problemi economici ma per il mancato riconoscimento delle persone nei valori e negli schemi matrimoniali e genitoriali proposti dalla tradizione e dalla morale cristiana, ma quella che pure gran parte delle persone sedicenti “non credenti” un tempo condivideva ampiamente.
Pingback: Non è più famiglia | mondidascoprire
Pingback: La crisi della famiglia è antropologica, non economica | Buseca ن!
Bell’articolo, interessante e largamente condivisibile. Quello che mi suona strano e’ l’insistere su un “tasso di sostituzione” poco realistico: la vita media sta avvicinandosi alle quattro generazioni, e se ogni generazione si raddoppiasse, arriveremo ad avere molto, molto, moltissimo di più di quanto basterebbe per “sostituire” la popolazione. Credo dobbiamo tutti riflettere sull’opportunita’ di accontentarci di meno figli, che deriva dalle limitazioni allo sviluppo che almeno noi cristiani dovremmo riconoscere.