Secondo una ricerca pubblicata alcune settimane fa sulla rivista Science Translational Medicine [1], presto potrebbe essere possibile sottoporre i bambini non ancora nati ad un test prenatale su circa 3.500 malattie genetiche. Il dottor Jay Shendure, del team responsabile dello studio, ha posto l’accento sul fatto che questo nuovo test – a differenza di altri – sarà «non invasivo» [2]. E di questo, naturalmente, non possiamo che rallegrarci. Il punto però è un altro: siamo sicuri che questa innovativa forma di test non favorirà gli aborti eugenetici?
Il dubbio viene dal fatto che, allo stato, la sola malattia genetica regolarmente monitorata è la sindrome di Down. E i risultati si vedono: in Inghilterra e Galles nel 1990 le diagnosi prenatali di sindrome di Down erano state 1.075, mentre nel 2008 hanno toccato quota 1.843 (+70%). Crescita considerevole alla quale, stranamente, non è però corrisposto un aumento delle nascite, che invece sono addirittura calate di 1 punto percentuale, passando da 752 a 743.
Merito, si fa per dire, del fatto che la percentuale delle coppie che ricorrono all’aborto dopo aver appreso di attendere un figlio Down, in Inghilterra, è pari al 92% [3]. Problema solo inglese? Nient’affatto: nella civile Danimarca hanno fatto dell’eliminazione prenatale dei bambini affetti dalla sindrome di Down addirittura un programma nazionale, impegnandosi a diventare «entro il 2030 […] uno Stato “Down Syndrome free”» [4].
Ora, pur senza dubitare delle buone intenzioni del dottor Shendure e dei suoi colleghi, la domanda che sorge spontanea dinnanzi al trattamento speciale che già viene riservato ai bambini non ancora nati colpevoli solo di essere Down, è la seguente: ma se per nascere un bambino dovrà “superare” 3.500 esami, quanti ce la faranno a sfuggire agli aborti eugenetici? «Uno su mille ce la fa», recitava una nota canzone. Che in questo caso, purtroppo, sa di sfrenato ottimismo.
[1] Cfr. Kitzman J.O. – Snyder M.W. – Ventura M. – Lewis A.P. -Qiu R. – Simmons L.E. -Gammill H.S. – C. E. Rubens – D. A. Santillan – J. C. Murray -H. K. Tabor – M. J. Bamshad – E. E. Eichler J. Shendure (2012) Noninvasive Whole-Genome Sequencing of a Human Fetus. «Science Translational Medicine»; 4: 137ra76; [2] http://www.telegraph.co.uk/health/healthnews/9315265/Unborn-babies-could-be-tested-for-3500-genetic-faults.html#; [3] Baklinski T.M. UK Down Syndrome Pregnancies Rise Sharply – 92% End In Abortion. http://www.lifesitenews.com/news/archive/ldn/2009/nov/09110905; [4] http://www.tempi.it/entro-il-2030-danimarca-non-ci-sar-pi-nessun-bambino-affetto-da-sindrome-di-down.
Conclusione suggestiva ma che trovo inappropriata, e passibile di trasmettere un messaggio emotivo fuorviante.
Mettere insieme l’idea di un test che valuti 3500 malattie genetiche e l’uno su mille di morandiana memoria finisce per far pensare che pochi ne scamperebbero, ma non perché esiste il concreto rischio di optare per l’aborto invece che per la cura se possibile, perché la statistica sarebbe sfavorevole.
Per fortuna, però, ogni patologia ha la sua probabilità differente, e molte sono io credo, in quel carnet, quelle rare.
Detto questo, il rischio forte di una deriva eugenetica esiste, e fai bene a sollevarlo.
Putroppo non si può scinderlo dalle opportunità positive che la diagnostica prenatale offre, che sono ad esempio una precoce consapevolezza, la possibilità di prepararsi adeguatamente alla notizia anche per accogliere bene il nascituro, la presa in carico immediata di una situazione talvolta complessa oltre che pesante.
Per alcune patologie, anche rare, esiste già oppure si profila all’orizzonte persino una possibilità di cura in utero, cura che diverebbe altrimenti impossibile dopo la nascita – penso alle malattie mitocondriali, per le quali si sta studiando il trapianto della sola funzionalità lesa ‘ab ovo’, è proprio il caso di dire.
La bellezza ed il terrore della possibilità scientifica di conoscere in anticipo determinate condizioni del nascituro sta tutta qui: nel fatto che determinante risulta essere non la tecnica, ma l’ambiente e la nostra disposizione a ricevere e reagire alle avversità, nel caso migliore nel nostro essere più orientati verso un voler sapere per potersi adattare, sapendosi in grado, oppure un voler attendere quel che verrà con lo stesso spirito, ma con modalità diverse.