I Mondiali in Qatar hanno recentemente registrato la protesta della nazionale tedesca contro il no della Fifa alle fasce da capitano “one love”. Sfortunatamente per la Germania, il gesto dei suoi calciatori non ha portato grande fortuna, dato che hanno poi perso contro il Giappone, nazionale ricordata da tanti più che altro per Holly e Benji. Ma al di là di questo, c’è un dato curioso in questi Mondiali di calcio, e cioè il fatto che si parli delle discriminazioni che avvengano in Qatar senza, però, attenzione mai nominare come se la passano da quella parte i cristiani che, peraltro, essendo il 13% della popolazione sono sì una esigua minoranza, ma non proprio inesistente.

Compensa questa omissione l’ultimo report della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), “Perseguitati più che mai. Rapporto sui cristiani oppressi per la loro fede 2020-2022”, che a proposito dei cristiani in Qatar non traccia un quadro molto roseo. Ma lasciamo direttamente la parola al rapporto: «Nonostante alcuni miglioramenti, come la rimozione di taluni riferimenti anticristiani nei libri di testo scolastici, si è registrato un forte aumento delle segnalazioni di atti di intolleranza» (p.11). Le «chiese sono “spesso pesantemente monitorate dal governo”, mentre per i cristiani indigeni “la vita è molto più difficile”. Secondo un rapporto, “se viene scoperta la sua fede, un convertito rischia di subire pressioni estreme da parte della famiglia e della comunità musulmana”» (p.96).

«Il Qatar non riconosce ufficialmente la conversione dall’Islam, il che per i convertiti comporta la perdita dello status sociale e difficoltà legali relative alle proprietà e alla patria potestà dei figli. Otto comunità cristiane hanno ricevuto la registrazione statale: cattolici di rito latino, maroniti, greco-ortodossi, siro-ortodossi, copti ortodossi, anglicani, protestanti evangelici e appartenenti alla Chiesa Cristiana Interdenominazionale (un gruppo ombrello che rappresenta diverse denominazioni minori). Solo alle comunità registrate viene concesso il diritto ad avere luoghi di culto. Gli altri dovrebbero essere liberi di praticare la loro fede “in privato”; in realtà, secondo quanto riferito, temono di essere arrestati» (p.96).

Ancora: «In un Paese in cui l’Islam è definito religione di Stato dalla Costituzione, la legge vieta severamente il proselitismo rivolto ai musulmani. La legge “criminalizza il proselitismo a nome di un’organizzazione, società o fondazione di qualsiasi religione diversa dall’Islam, pena una condanna fino a 10 anni di reclusione”. La normativa vieta inoltre alle congregazioni di pubblicizzare servizi religiosi – e nel complesso religioso di Mesaymeer sono proibiti croci, statue e qualsiasi altro simbolo cristiano “visibile al pubblico” […]  Gli influencer dei social media hanno inoltre pubblicato messaggi in cui invitavano le persone a non fare gli auguri di Natale ai non musulmani» (p.97).

Ora, senza pretendere che in un simile sforzo di denuncia si impegni la nazionale tedesca, che ha già dato, sarebbe bello che qualcuno di autorevole, magari un politico, rilasciasse una dichiarazione, una parola, almeno tweet o un sms sulle gravi discriminazioni che nel Paese a maggioranza mussulmana vivono i cristiani. Accadrà? Purtroppo, meglio non farsi illusioni (Foto: Pexels.com)

Giuliano Guzzo

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