Sfoghi da social. Solo così si può spiegare l’indignazione social di tanti utenti che in queste ore, informati del voto del Senato – che ha arenato il ddl Zan, decretandone la morte politica -, si sono precipitati ad inveire contro quella che sarebbe «una vergogna». Sanno, costoro, che a sollevare pesanti perplessità sull’iniziativa legislativa in questione erano anzitutto stati fior di giuristi, da Cesare Mirabelli a Mauro Ronco, da Michele Ainis a Giovanni Fiandaca, da Giovanni Maria Flick a Tullio Padovani?

Sanno, costoro, che pure molte personalità gay – sia pure con accenti e sfumature diverse – erano perplesse verso il ddl Zan, da Platinette ad Aurelio Mancuso, già presidente nazionale Arcigay, dal giornalista Fabrizio Sclavi al politico Nino Spirlì? E che perfino a scrittrici trans, come Nevia Calzolari, o modelle trans, come Efe Bal, non condividevano la norma «di civiltà»? Ancora, sanno che pure svariate femministe, capeggiate dalla battagliera Marina Terragni, non si auguravano che la legge approvata alla Camera il 20 novembre scorso proseguisse il suo iter?

Sanno che l’Oscad, indicato come prezioso dallo stesso ddl Zan (all’articolo 10), ha come Osservatorio del Viminale contro le discriminazioni certificato – pur raccogliendo anche segnalazioni da privati e non verificate – che non c’è nessuna emergenza omofobia in Italia? Hanno letto bene gli articoli del ddl? Sanno che, pur di portare avanti la legge «di civiltà», si sono strumentalizzati i disabili, categoria originariamente manco nominata (e tutt’ora non nominata in più articoli del ddl) ma poi inserita al fotofinish per blindare il testo? E se non sanno, se legittimamente ignorano, scusate, ma perché strillano? Sfoghi da social.

Giuliano Guzzo

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