Se decidi di parlare di differenze sessuali, fa prima un respiro profondo e preparati: ti toccheranno polemiche, accuse disessismo e chi più ne ha e più ne metta. É una regola ferrea del politicamente corretto. Ma evidentemente lo storico Alessandro Barbero la ignora, altrimenti la scorsa settimana non si sarebbe spinto ad interrogarsi, sulle colonne de La Stampa, sulla possibilità che «ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi». «É possibile che in media», si è inoltre chiesto l’accademico e divulgatore, «le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi?».

Per aver toccato il tema, peraltro con una scelta terminologica rischiosa, nelle scorse ore Barbero è stato da più parti accusato d’essere un maschilista, un feroce alfiere del patriarcato. C’è persino chi si augura gli sia tolta la cattedra. Ora, pur senza volere difendere lo storico torinese, è ancora possibile interrogarsi e discutere delle «differenze strutturali» tra i sessi in ordine, per esempio, a competitività ed aggressività? Secondo chi scrive sì. Per un motivo semplice: queste «differenze» non solo esistono, ma non risultano riconducibili a meri fattori ambientali o culturali; ne ho scritto nel mio Cavalieri e Principesse, libro che, uscito ormai quattro anni fa, non è superato. La conferma mi arriva da più specialisti intervenuti nel dibattito;  mi limito a segnalarne un paio.

Anzitutto Marco Del Giudice, docente di psicologia evoluzionistica e metodi quantitativi, che da otto anni insegna negli Usa, il quale sul sito della Fondazione Hume ha firmato un lungo intervento che, per così dire, riabilita le vituperate parole di Barbero. «Nel linguaggio della psicologia della personalità, “spavalderia e sicurezza di sé” indicano tratti come assertivitàdominanzaautostima e propensione al rischio», premette lo studioso, per poi continuare aggiungendo che «insieme all’aggressività fisica e verbale (la cosiddetta “aggressività relazionale” fa eccezione), tutti questi tratti sono più elevati nei maschi, soprattutto a partire dalla media fanciullezza (il periodo dai 6 agli 11 anni circa, in cui avvengono importanti cambiamenti ormonali) e proseguendo con la pubertà».

Continua ancora Del Giudice evidenziando la possibilità di una base biologica di tali differenze: «Queste differenze di genere non sono particolarmente grandi, nel senso che, dal punto di vista statistico, c’è una larga sovrapposizione tra i punteggi di maschi e femmine. Ma sono molto robuste, e vanno nella stessa direzione in culture molto diverse tra loro, comprese le popolazioni di cacciatori-raccoglitori. Contrariamente a quello che ci si aspetterebbe sulla base dei modelli di socializzazione (che attribuiscono lo sviluppo della personalità ad aspettative sociali, stereotipi e discriminazione), queste differenze non diminuiscono nei Paesi con livelli più alti di parità di genere (che tendono anche ad essere più ricchi ed economicamente avanzati)».

Non solo tali differenze non diminuiscono nei Paesi con più alta parità di genere ma, segnala l’esperto, «nella maggior parte dei casi i dati mostrano l’effetto opposto: al diminuire delle disparità di genere a livello socio-culturale, le differenze di personalità diventano più marcate, come se in presenza di una società più aperta e individualista (e probabilmente una maggiore libertà data al benessere economico) le persone tendessero a esprimere in modo più netto le loro predisposizioni biologiche. Questo è un dato importante, anche perché risulta molto difficile da spiegare con un modello di socializzazione». «Purtroppo», conclude «la nostra cultura intellettuale ha un’enorme difficoltà a fare i conti con le differenze, e le risposte a Barbero ne sono una dimostrazione tra le tante». Del Giudice non è il solo a pensarla così, confermando l’esistenza di robuste differenze tra i sessi nella personalità

Anche Emiliano Lambiase che, per chi non lo conoscesse, è uno stimato psicologo e studioso – per i volumi scritti e per la costanza con cui esamina la letteratura scientifica, direi che è fra i massimi esperti italiani sulle differenze sessuali – mi conferma tre evidenze politicamente scorrette che la ricerca più avanzata ha riscontrato. La prima è che  «il concetto di sé delle donne sembra essere più fondato sulle relazioni sociali, quello degli uomini sull’assertività e l’indipendenza»; la seconda che «i bambini da piccoli fanno giochi più burrascosi e le ragazze più sociali»; la terza che «i ragazzi competono e litigano in modo più diretto, aggredendo verbalmente e fisicamente l’altro. Le ragazze tengono a litigare in modo più indiretto e apparentemente socialmente accettabile, minando la reputazione dell’altro».

Ricapitolando, abbiamo su «aggressività, spavalderia e sicurezza di sé» differenze tra maschi e femmine che si manifestano sin dai primi anni di vita, quando cioè si è stati meno esposti agli stereotipi di genere e agli influssi esterni, se vogliamo, patriarcali. Non solo: queste differenze ritornano in culture anche molto differenti tra loro per storia, economia, credenze e addirittura – come segnalato da Del Giudice – ne i Paesi considerati sono avanzati ed egualitari, sorpresa, tali differenze «diventano più marcate». Lo storico torinese può insomma starci sulle scatole, ma pare proprio che sul tema delle differenze tra uomini e donne si sia espresso con maggiore precisione dei suoi critici, più affezionati alla società che vorrebbero che ai riscontri che antropologia, psicologia e a sociologia ci mettono a disposizione. Classica visione da ideologi: se i fatti contraddicono il mio schema, tanto peggio per i fatti.

Giuliano Guzzo

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