
La stanchezza per una notte insonne, tra esultanze, urla e festeggiamenti, non ha minimamente scalfito la gioia per l’impresa della nostra nazionale, che a Wembley ha sconfitto i padroni di casa dell’Inghilterra scrivendo una pagina da brividi; per giunta, lo ha fatto quando tutto pareva ormai perduto. In effetti, gli Azzurri si sono trovati, calcisticamente parlando, nella peggior condizione possibile: ospiti sgraditi nel salotto altrui, sfavoriti, «senza divi», – senza Spinazzola, pure azzoppati – e, come se non bastasse, dopo appena due minuti dal calcio d’inizio pure sotto di un gol. Ciao. Sfido chiunque ad immaginare una situazione più disastrata.
Eppure, proprio quando stava per affondare, l’Italia di Roberto Mancini non si è arresa. Anzi, prima è rimasta arpionata alla partita – tenendo a bada gli inglesi, desiderosi di sigillare il loro trionfo – e poi l’ha riaperta col pareggio. A seguire, i supplementari e infine i calci di rigore hanno portato ad affondare la Vecchia Albione, scatenando una gioia viscerale che fa vibrare l’anima, e che da tempo non provavamo. Un risultato troppo bello non solo per non essere festeggiato – infatti la nostra penisola è in festa e lo sarà a lungo -, ma anche per non essere meditato. Ecco, allora, tre o quattro insegnamenti che questi Campionati europei e gli Azzurri, che ne sono i trionfatori, ci offrono.
La prima lezione è un promemoria e ribadisce una cosa semplice: il calcio è un gioco di squadra. A prima vista banale, è in realtà un concetto da riscoprire, soprattutto per chi, da tempo, si sente orfano degli anni di Baggio, Totti, Del Piero, Buffon. Anni incredibili, eh. Ma la vita continua e può pure continuare alla grande, se, come ha fatto Mancini, si riesce ad amalgamare un gruppo vero, retto dall’uno per tutti e dal tutti per uno. Ebbene, in tanti piccoli gesti – dagli incoraggiamenti reciproci alla scelta, stanotte, di far ritirare la medaglia prima di tutti a Spinazzola in stampelle – gli Azzurri hanno dimostrato di esserlo, un gruppo. Una nazionale forse non piena di stelle, ma che compone una stella a undici punte. Imbattibile.
Il secondo insegnamento che, con la coppa, arriva da Wembley è che siamo un grande Paese. Anche qui una banalità, ovvio: però una banalità che fatichiamo a farci entrare nella zucca. Prova ne siano le settimane di nauseante esterofilia contro gli Azzurri. Si è infatti detto di tutto: che non erano forti perché non avevano mai battuto squadroni (Belgio, Spagna e Inghilterra possono bastare?); che non erano vincenti perché non abbastanza multietnici (solita solfa globalista); che non giocavano in modo spettacolare, dimenticando che nel calcio vince chi segna non per forza chi incanta. Ecco, c’è da sperare che col trionfo di stanotte la si faccia finita, con questo provincialismo da babbei che, avendo visitato alcuni Paesi, per darsi un tono sparano sul proprio.
Terza e ultima eredità di questi europei riguarda la natura del calcio, che è uno sport. Punto. La politica e l’impegno civile, chiamiamolo così, sono invece altro. E se si continua a mescolare le due cose si rischiano figure penose. Si prendano gli inglesi: bravissimi a rendere omaggio, inginocchiandosi, a Black Lives Matter (seguiti dagli Azzurri, ma pazienza), si son presentati coma una nazionale ultramultietnica e al passo coi tempi. Non ci hanno fatto neppure mancare la macchinina arcobaleno – una spruzzatina Lgbt ci sta sempre – per portare in campo il pallone a inizio partita. Poi però, sconfitti, hanno gettato via le medaglie d’argento, son filati via a muso duro e senza aver mai fiatato di fronte ai continui fischi agli Azzurri.
Meno buonismo e più signorilità non guasterebbero. Qui però la colpa, si badi, non è tanto dei pur cafoni inglesi. I veri responsabili sono i cervelli fini che politicizzano tutto. Non fanno eccezione i fenomeni – evito di far nomi, tanto la loro intelligenza è già nota – che ora spacciano in trionfo della Nazionale come una «vittoria dell’Europa» contro la Brexit. Beninteso: questa è gente che, in caso di sconfitta, aveva già pronte le critiche a Mancini, magari proprio per la sua nazionale troppo caucasica, e che ora cerca di riciclarsi così, pur di dire qualcosa di progressista. Spessore zero. Ma tacere è così difficile? E se proprio si vuol fare qualcosa, si applauda: gli Azzurri hanno dimostrato di avere un grande cuore ed è già tantissimo. I pistolotti un’altra volta, please.
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Il liberalprogressisti hanno gufato tutti contro la Nazionale di Mancini perché “troppo bianca”. Come se fosse scandaloso per una rappresentativa calcistica di una nazione europea, le cui tre caratteristiche fondamentali sono la razza bianca, la cultura greco-romana e la religione cristiana. E immagino che la vittoria contro la ex nazionale inglese piena di giamaicani gli è andata particolarmente di traverso.
Werner facci i nomi. Io ho tifato Italia. Vai con dei nomi concreti.
Bisogna smetterla di sopportare sempre.
Incominciamo a rispondere a tono!