
Quanto valgono 14 vite umane? Senza rendersene conto, i responsabili della funivia del Mottarone un prezzo lo hanno fissato: quello delle spese necessarie per la sistemazione del loro impianto, per rinviare le quali hanno optato per il blocco volontario del sistema frenante di sicurezza, persuasi che ciò mai avrebbe causato un disastro come quello poi avvenuto. Che assume così i contorni d’una tragedia più che evitabile e tristemente annunciata.
Naturalmente, a chiarire le responsabilità dell’accaduto sarà la magistratura. La portata d’un simile evento, però, è tale da spingere ad una riflessione generale su almeno due aspetti. Il primo è quello del valore della vita umana, che gerarchicamente prevale su tutto il resto. L’esperienza della pandemia avrebbe dovuto già insegnarcelo: se con i miei comportamenti metto la vita altrui a rischio, non sono più libero o furbo, ma solo meno civile. Una lezione semplice ma, ahinoi, ancora incompresa.
In secondo luogo, il retroscena che ha preceduto la caduta della funivia ci ricorda che – fin dai gesti più semplici, come quello di metterci alla guida dell’auto in uno stato di lucidità o quello di segnalare la presenza pericoli – abbiamo nelle nostre mani un potere enorme. Ogni giorno. Certo, non tutto dipende da noi a questo mondo: ma molto sì. E dovremmo ricordarcene dato che, ultimamente, pare siano stati messi dei freni al nostro senso di responsabilità e, quelli sì, andrebbero tolti, possibilmente il più presto possibile.
Da questo punto di vista, John Donne e il suo celebre ammonimento – «nessun uomo è un’isola» – andrebbero riscoperti, come lezione di civiltà. Perché, come appena ricordato, abbiamo quotidianamente responsabilità sugli altri e altri, a loro volta, ne hanno su di noi. L’idea che la connessione tra esseri umani sia essenzialmente qualcosa di virtuale è falsa: il virtuale è arrivato – e tutt’ora viene – molto dopo il reale. Solo che spesso lo dimentica, senza avvedersi del fatto che tale dimenticanza ha un prezzo, eccome se lo ha. E può essere tragico.
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Di John Donne direi che qui ci sta anche «Non mandare mai a chiedere per chi suona la campana, essa suona per te». E non sarebbe male tenere le orecchie aperte per sentirla, quando suona.
Le responsabilità penali sono competenza della magistratura; già così c’è di che agghiacciare.
Ma parlando di quelle morali, non sono forse trent’anni che in Italia – sistematicamente – si fa di tutto e di più, a qualsiasi livello, per lesinare magari pochi spiccioli?
Smantellato lo stato sociale, annientata la scuola, ridotta la sanità nelle condizioni che abbiamo visto, lasciata andare in rovina la rete infrastrutturale, privatizzata ormai perfino l’aria, tutto per via di una demente logica pseudo-imprenditoriale.
Quando l’esempio in tal senso lo da lo Stato per primo, difficile pensare che il cittadino comune sia così motivato di suo da agire diversamente…
E quale è , Luigi, la parte politica che da sempre ha parlato di privatizzazioni di scuola e sanità (ve lo ricordate il buono scuola per la scuola privata) e la sanità privata equiparata a quella pubblica ?
E veli ricordate l’impresa privata che va liberata da “lacci e lacciuoli” ? lo vendiamo anche ora con lo smantellamento del codice degli appalti…
Per quali partiti votavi quando Lega, Forza Italia ed Alleanza Nazionale si davano da fare per cercare in tutti i modi di privatizzare i servizi essenziali, salvo poi nazionalizzare l’Alitalia (che è stata l’ennesima voragine dove sono spariti i soldi di tutti noi senza peraltro risolvere il problema )
Dicci dai.
Vi siete dimenticati l’altra metà del Parlamento e di quanto ha fatto dagli anni Novanta in poi, sdoganando una visione che – teoricamente e solo ad uso dei trinariciuti par vostro – avrebbe dovuto esserle moooolto lontana.
Se i “buoni” fanno queste cose, è ovvio che poi si sentano legittimati a farle anche i “cattivi”.
Il primo colpo della demolizione finale della scuola italiana, per dire, porta in calce l’augusto nome – cui reverenti voltiamo le terga – di un Berlinguer.
Per tacere delle varie controriforme delle pensioni, delle “lenzuolate” e degli osceni intrallazzi delle ex municipalizzate. O vogliamo parlare dei Benetton piuttosto che di qualche ridente località dell’Appennino emiliano?
La realtà è che la visione neoliberista si è imposta ubiquitaria, negli ultimi trent’anni, in tutto l’Occidente; del resto è noto dove si trovasse l’attuale presdelcons il 2 giugno del 1992.
O la si rifiuta in toto, oppure è solo rivalità calcistica trasportata in politica.
Per il resto, mi sembra che dell’insignificanza dei ludi elettorali già qualcuno aveva argomentato in passato.
Per cui preferisco tenermi stretti De Maistre, Gomez Davila, Guareschi, Tolkien e tutta la restante vasta schiera di inesistenti intellettuali della Reazione, lasciando ai sodali vostri l’illusione della “croce” parodistica sulla carta.
La Modernità è come l’AIDS: se la conosci la eviti, se la conosci non ti uccide.
E per completare con un tocco di poesia (confidando nella pazienza di Giuliano):
Ci hanno detto ‘ragazzi,
qualcuno si era sbagliato!
Adesso tutto cambia:
viva il libero mercato!’
Ma c’è qualcosa che stona
in questo ragionamento,
qualcosa che non perdona,
qualcosa che resta nel vento…
saranno le voci di molti
che ci hanno già lasciato
e non mi pare che siano morti
gridando: “viva il libero mercato!”
La Modernità è anche come il diluvio, quando “eruppero le sorgenti del grande abisso e le cataratte del cielo si aprirono”. Si salva solo chi sale sull’Arca, ma di Questa in Terra, ho l’impressione, al momento, di aver perso le tracce.
Una cosa però mi fa male sentire: “non li perdonerò mai”.
Certo, si dice sempre così.
Nel momento tragico prevale la giusta collera, ma poi deve subentrare la riflessione, mettersi nei panni di chi si porterà dentro, per il resto della vita, il peso di quelle vittime innocenti esattamente come chi le ha perse. Provate a parlare con chi sta scontando in carcere errori di questo tipo.
Eppoi, per ogni tragedia che ha al centro degli innocenti, è giusto applicare una gerarchia dei traumi: una morte causata per errore, incoscienza o sottovalutazione del rischio, non può essere percepita odiosa quanto una morte provocata per balordaggine, divertimento o ritorsione.
E quando recitiamo il Pater Noster, chiediamo a Dio di condonarci tutti i nostri debiti proprio nella misura in cui noi li sappiamo condonare ai nostri debitori… specie quando si tratta di debiti che non possono essere pagati.
Ma quale errore o incoscienza?! I freni non hanno dimenticato di attivarli: li hanno disattivati intenzionalmente!!
Quanto ai sentimenti di chi ha perso i propri cari, chi ha il diritto di permettersi di giudicare? Chi ha il diritto di dire che cosa devono o non devono fare? Considerando poi che il loro dolore è certo, mentre il rimorso degli assassini è tutto da vedere.
Forse mi sono espresso male.
Intendevo per “incoscienza”, non uno stato mentale, ma una valutazione avventata e negligente del rischio, come quando si compie un sorpasso azzardato, cioè in condizioni di traffico che potrebbero provocare un incidente mortale: si spera solo che tutto vada bene, come magari è successo il giorno prima, non c’è certo la volontà di uccidere!
Sui sentimenti altrui non intendo interferire – io stesso probabilmente avrei detto lì per lì le stesse cose – ma la nostra umanità, illuminata dalla fede, dovrebbe consentirci di andare un po’ oltre… Tutti quì.
Stavano lavorando da un mese coi freni disattivati: l’unico punto di domanda era sul quando, non certo sul se. Il sorpasso azzardato è una cosa di un attimo (“sì dai che ce la faccio”), un solo attimo di incoscienza che ti fa calcolare male la distanza, la velocità dell’auto che ti precede e di quella che ti viene incontro rispetto alla tua, ci provi e va male, a te e agli altri innocenti. Ma quello che hanno fatto loro non è un sorpasso azzardato, è una intera Milano-Venezia contromano.