Povere, inconsapevoli maschiliste. Devono aver letto pochissimi libri – o forse qualcuno soltanto, e pure pessimo – le femministe che a Roma, conciate con piume, fiori, paillettes e bandiere arcobaleno, hanno animato la “frocessione”, esibendo una Madonna a forma di vagina, condotta fino alla scalinata che porta al sagrato della parrocchia dei Santi Angeli Custodi di piazza Sempione. Un «momento di blasfema e dissacrante socialità», l’hanno definito. Ed è vero: peccato che ad essere dissacrato dalla sceneggiata sia stato anzitutto il loro intelletto, la cui convalescenza speriamo possa essere rapida.

Del resto, non serve l’acume di Edith Stein – pensatrice immensa che, prima di farsi suora, fu allieva di Husserl, al contrario delle femministe 2.0, al massimo allieve di Netflix – per sapere che la Chiesa è la prima alleata dei diritti della donna. Basta guardare, se si riesce ad aprire gli occhi senza spavento, la condizione femminile là dove, nel mondo, il cristianesimo è minoritario o perseguitato. Il prendersela con la Madonna additandola a icona di sottomissione, poi, è il baratro della ragione, dato che Lei ha avuto sul seno il Figlio di Dio, mentre tante, se va bene, devono accontentarsi di uno smartphone. Con tutta la stima per Apple e Samsung, direi che il paragone non regge.

Ciò detto, le inconsapevole maschiliste della “frocessione” non vanno irrise né offese: il turpiloquio intinto nell’ignoranza è moneta da non ricambiare. Semmai, andrebbero abbassate loro le bende dagli occhi. Per mostrare cosa? Che la loro manifestazione, se così la vogliamo chiamare, oltre a denotare grande vuoto è pure espressione di scarso coraggio. Lo stesso coraggio che invece non manca a tante altre donne, in particolare religiose. Come suor Ann Nu Thawng, la religiosa birmana che pochi giorni fa si è messa in ginocchio – sola, in mezzo alla strada – per supplicare i militari di non sparare sulla folla. Ecco, quello è fegato: quello è esser donne. Non emulare la Befana con mesi di ritardo.

Giuliano Guzzo

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