Giovane, anzi giovanissima (la più giovane d’Europa a dirigere un’orchestra) e senza dubbio brava, Beatrice Venezi è pure una donna libera. Così libera da permettersi nientemeno che dal palco dell’Ariston – alla faccia di femministe e di un termine, «direttrice», che comunque risale ai primi dell’800 – di esigere d’esser chiamata al maschile. «Sono e voglio essere chiamata direttore d’orchestra», ha spiegato, «conta il percorso, la preparazione e l’obbiettivo». Ma questa che vuole? Non conosce l’italiano? È matta? Le reazioni scomposte non sono ovviamente mancate: forse ciò che il direttore Venezi si aspettava, di certo quello che non temeva.
Così, in un tempo in cui leggi e sentenze sembrano frasette da Baci Perugina – è famiglia qualsiasi cosa, «purché ci sia l’amore» -, in cui bisogna chiamare la gente non per ciò che è ma per l’«identità di genere percepita» – altrimenti sei transfobico -, in cui bisogna chiamare scrittori anche quelli che non sanno scrivere, intellettuali anche quelli che non dicono nulla di nuovo e politici pure quelli del Movimento 5 Stelle, in questo tempo strambo, dicevo, ecco che una bella donna dal nome dantesco ripristina il maschile delle parole, il passato rinnegato, l’ordine proibito. Una richiesta: chiamatela ovunque anche dopo il festival di Sanremo. Perché con Beatrice Venezi è tutta un’altra musica.
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Dobbiamo davvero fingere di credere che la signorina fosse a Sanremo per le sue capacità, quali che siano?
Nel dubbio, mi tengo caro von Karajan e lascio le femministe alle loro faide interne.
Ricorda de Maistre, infatti, che la controrivoluzione non è una rivoluzione al contrario…
L’ha ripubblicato su Organone ha commentato:
“Tutta un’altra musica” 😉
Non avevo mai capito perché la Boldrini insistesse tanto per questi appellativi declinati al femminile , peraltro pure a volte cacofonici. Poi qualche giorno fa ho letto un suo intervento sul tema e mi sono illuminato…
In effetti gli appellativi solo maschili sono tutti quelli di prestigio (direttore , ministro , presidente, etc, etc) . Per questi si fa difficoltà a declinarli al femminile come se la presenza di una donna in quel ruolo fosse un po’ usurpata. Quando invece si parla di mestieri o titoli umili allora non c’è problema : commesso e commessa, operaio e operaia , persino portiere e portiera (come lo sportello dell’ automobile). La donna può essere portiera , operaia, commessa, facchina, infermiera , ma non si azzardi ad essere ministra o sindaca o presidentessa! E persino direttrice , che si usa normalmente nella scuola per esempio , quando diventa direttrice d’orchestra non va più bene. Quindi contesto assolutamente la direttrice Beatrice , che probabilmente per snobbismo ritiene che direttore d’orchestra sia un titolo più prestigioso di direttrice d’orchestra, senza rendersi conto della sudditanza verso un modo ancora maschile di vedere titoli e mestieri.
Guardi, Mentelibera65, in realtà esistono un’infinità di lavori umili che possono essere declinati solo al maschile: muratore, carpentiere, meccanico, saldatore, fabbro. E guarda caso si tratta di lavori per cui non viene mai invocata la necessità di quote rosa. Invece esistono cariche istituzionali soprattutto del passato, ma esistenti anche oggi, che sono declinabili sia al maschile che al femminile: re e regina, imperatore e imperatrice, duca e duchessa, conte e contessa. E non è storicamente vero che le donne potevano ambire a quelle cariche di potere solo attraverso il matrimonio, ma anche ereditando il titolo come avveniva per i figli maschi (un esempio lampante di ciò è la regina Elisabetta I d’Inghilterra). Un altro esempio di carica istituzionale declinata anche al femminile è quella di “vicaria imperiale”, titolo che aveva ricoperto per esempio Matilde di Canossa, altra figura storica di grandissimo spessore e di grandissimo potere.
Non so se conosce lo scrittore Gianrico Carofiglio, le assicuro che è un uomo dichiaratamente di sinistra. Ebbene, nel suo romanzo “La misura del tempo” il protagonista, l’avvocato Guerrieri, sta insieme ad Annapaola, una ex giornalista bisessuale che lo aiuta nel cercare di scagionare i suoi clienti perché ha scelto di guadagnarsi da vivere facendo investigazioni private. E sa come vuole farsi chiamare la suddetta donna che non è minimamente tacciabile di simpatie conservatrici? Investigatore. Al maschile. Non investigatrice. A pag. 98 del libro Guerrieri dice esplicitamente che la infastidisce essere chiamata “investigatrice”.
In quanto appassionata di letteratura, so di grandi firme femminili del giornalismo e della narrativa italiana che hanno scelto di farsi chiamare al maschile. Lo ha scelto Oriana Fallaci, facendo incidere persino sulla tomba la dicitura “scrittore” con cui amava definirsi. Lo ha scelto Elsa Morante e lei stessa ne ha spiegato la ragione in un’intervista: «Secondo me, in tutto il mondo, ancora oggi, esiste in realtà una specie di razzismo, evidente o larvato, nei riguardi delle donne: perfino nei paesi dove le donne sembrano dominatrici! […] Basterebbe la distinzione – che ancora si usa fare dovunque, – fra scrittori e scrittrici: come se le categorie culturali fossero determinate dalle categorie fisiologiche (sarebbe lo stesso che dividere gli autori, per esempio, in autori biondi e bruni, grassi e magri). In realtà, il concetto generico di scrittrici come di una categoria a parte risente ancora della società degli harem».
Veramente in vita mia non ho mai conosciuto un muratore, carpentiere, meccanico, saldatore e fabbro di sesso femminile. Quindi per ora il fatto non si pone.
Se si ponesse ci sarebbe la muratrice, la carpentiera, la meccanica , la saldatrice e la fabbra, come esistono in tutti i ruoli simili.
D’altra parte c’è la levatrice e non il levatore.
Per secoli è esistita solo la domestica. Poi è si è cominciato a palesare qualche uomo, ed è arrivato anche l domestico.
Seppure ci sono regine e imperatrici che nascono così, è storicamente vero che le prime regine e l’imperatrici furono le mogli del Re e Imperatore. Che poi dopo sia cambiato qualcosa , nell’ereditarietà, non cambia l’origine della cosa.
Non dico che non ci sia una ragione anche da parte di chi sostiene il contrario come Carofiglio nel suo romanzo.
Dico solo che probabilmente nessuno ha pensato a ciò che realmente si cela dietro a certe definizioni , dove il prestigio viene identificato con l’uso del maschile (come se l’uso del femminile lo diminuisse) e la cosa è talmente incorporata nella nostra cultura da non identificarne l’anomalia.
Oriana Fallaci vedeva una diminutio nella definizione di scrittrice, al posto di scrittore. La domanda è : Perchè ?
E’ curioso poi che gli stessi che protestano contro il “gender” (non sto parlando di lei Beatrice, dico in genere) siano qui ad applaudire una donna che preferisce appellarsi come un uomo, mentre griderebbero allo scandalo se un domestico (uomo) si facesse chiamare domestica . Anche su questo andrebbe fatta una riflessione….
La regina di Saba non era la moglie di un re, era regina di suo, e non è esattamente roba recentissima.
Una donna carpentiere io l’ho conosciuta, e di mestiere faceva il carpentiere. I termini indicano il ruolo, per esempio il segretario comunale, come si è sempre definita la mia amica Maria Teresa, l’architetto, come si è presentata Giulia B. quando mi ha telefonato la prima volta, il direttore d’orchestra. Direttrice è la persona di sesso femminile che dirige una scuola, una biblioteca, un museo, in cui sono presenti anche segretari, maschi e femmine, impiegati, maschi e femmine, personale delle pulizie, maschi e femmine. Il “direttore d’orchestra” è una definizione a sé stante, che indica la persona che dirige un’orchestra, maschio o femmina che sia – e non ci sono il segretario d’orchestra, l’impiegato l’orchestra, l’uomo delle pulizie d’orchestra, perché è una categoria a sé, non equiparabile alla direzione di una scuola, di una biblioteca, di un museo. In passato venivano invece indicati al femminile i gradi militari per indicare le mogli: generalessa, colonnella, capitana, (tenenta no, perché un ufficiale di quel grado è al di sotto dell’età in cui è consentito sposarsi, idem per il sergente), e marescialla, e la cosa era, diciamolo, parecchio ridicola. Aggiungo che la prima donna sindaco in Italia è stata Ninetta Bartoli, eletta nel 1946; nei settant’anni successivi abbiamo avuto migliaia di donne sindaco senza che nessuno sentisse il bisogno del ridicolo e orrendo sindaca e senza che nessuna donna si sentisse sminuita a definirsi ed essere definita così. Mi permetto di segnalare questo mio post
https://ilblogdibarbara.wordpress.com/2018/02/25/che-io-poi-mi-chiedo/
all’inizio del quale c’è il link a un post precedente in cui commento un’orrenda pagliacciata della boldrinessa sul tema in questione.
Andassero a occuparsi dei problemi veri delle donne invece che di queste buffonate.
Barbara le darei ragione che sono buffonate , ma allora perché la direttrice/direttore d’orchestra si è offesa ? E perché Giuliano Guzzo ci ha fatto un articolo ? .
Io la vedo così : se tutti i termini fossero usati al maschile con valore neutro , allora avrebbe un senso . Direttore come Operaio come Commesso , per indicare il maschile come il femminile.
Poiché così non è , un motivo ci deve essere perché solo per gli appellativi più prestigiosi si pretende il neutro , mentre per gli altri si declina in maschile e femminile.
Tutto sta al valore che si dà alle cose : perché una donna dovrebbe sentirsi diminuita se viene appellata come direttrice d’orchestra invece che come direttore ? E se era direttrice di banca si sarebbe offesa lo stesso ?
Per lei sarà indifferente, ma quanti uomini considerano la bravura di un professionista mettendo sul piatto anche il sesso dello stesso ? Glielo ha appena detto Luigi , che ha già deciso che la direttrice d’orchestra era sicuramente più bella che brava. Solo perché donna. Lui non ha problemi a chiamarla direttore , ma di certo non ce l’avrebbe messa. Cominci a leggere tra le righe …
A quanto vedo – per bocca dello stesso Luigi – io non saprò leggere tra le righe, ma lei non sa leggere NELLE righe.
E quanto al fatto che il femminile sia presente solo nei ruoli inferiori e subalterni, mi sembra che non sia stato in grado di replicare ai vari regina principessa arciduchessa marchesa contessa viscontessa baronessa, tali in primo luogo per nascita e solo in seconda istanza per matrimonio, oltre a dottoressa professoressa maestra ambasciatrice ecc. esistenti da sempre.
“Veramente in vita mia non ho mai conosciuto un muratore, carpentiere, meccanico, saldatore e fabbro di sesso femminile.”
Incredibile, in pieno XXI secolo ancora questi residui medievali del nefasto patriarcato…
Quanto prima le lotte delle donne porteranno anche in questi ambiti le quote rosa, segno indiscusso di progresso e civiltà.
L’importante è crederci.
Io, invece, oltre a von Karajan mi tengo caro pure l’ineffabile san Paolo 🙂
“Glielo ha appena detto Luigi , che ha già deciso che la direttrice d’orchestra era sicuramente più bella che brava. Solo perché donna. Lui non ha problemi a chiamarla direttore , ma di certo non ce l’avrebbe messa.”
Ehh? E dove avrei scritto tutto ciò?
Capisco che tra sindache e ministresse ci sia un po’ di confusione con l’italiano (e non solo con l’italiano), ma non esageriamo.
Io ho solo osservato che la signorina Venezi era a Sanremo non certo per le sue capacità artistiche, quali che siano.
Sottolineo: quali che siano.
Se poi qualcuno vuole davvero credere che l’avrebbero chiamata pure se fosse stata un Petrucciani in gonnella, liberissimo di farlo. C’è perfino gente che pensa che non si nasca maschi o femmine, figurarsi se mi scompongo per questo.
Mi tengo stretto von Karajan, perché mi risulta che non si abbassò mai a Sanremo (e ai naziskin ivi vincitori), tanto meno per via del suo aspetto fisico.
Ma qualora mi si dimostrasse che la signorina Venezi ha inciso un “An der schönen blauen Donau” al livello di quello del succitato maestro – cosa del tutto possibile ma alquanto improbabile – allora entrerebbe in campo san Paolo e, come si usa dire, non ci sarebbe più partita.
I lettera a Timoteo, per la precisione.
Non sono come le femministe e i loro sodali femministi, che ritengono effettivamente che la bravura di un professionista dipenda dal sesso (“il sesso conta”, come da recente esternazione di non so più quale sciroccata; i risultati in cronaca); tanto che il miglior collega di lavoro che conosco è una donna.
Ma rimane san Paolo sullo sfondo, mi dispiace.
(Fuor di celia: il problema è decisamente a monte, direttora piuttosto che direttrice o direttoressa è proprio l’ultima vita da serrare.
Sul coperchio della bara)