Dal ritorno del coronavirus ci possono proteggere solo le ormai note precauzioni, ma dalle brutte notizie sulla pandemia, invece, chi ci protegge? La domanda è seria dato che degli effetti che le notizie – specie le cattive – possono avere sul pubblico non si parla mai abbastanza. È una riflessione che quindi – sia pure sommariamente – vale la pena concedersi giacché non vi sono dubbi sul fatto che le notizie, specie le cattive, così come la violenza riprodotta sullo schermo, producano conseguenze. L’espressione più opportuna e riassuntiva per definirle è «intossicazione emozionale». Per capire di che si tratta, basta ragionare sul concetto di intensità emozionale e pensare che, se anche l’intensità emozionale di un atto di violenza visto in televisione fosse, poniamo, un centesimo rispetto a quella che si sperimenterebbe assistendo a quel medesimo atto di persona, dato che ad un telespettatore – secondo indagini americane – vengono mediamente rifilati ogni anno 10.000 fra omicidi, aggressioni, stupri, vuol dire che in un anno ciascuno di noi, grazie ai media, è come se assistesse dal vivo a 100 atti di violenza. Possibile che tutto ciò sia privo di conseguenze? Pensiamoci.

Anche perché la letteratura ci fornisce molteplici elementi di valutazione al riguardo. Ad esempio l’esposizione alle cattive notizie – secondo uno studio – nuoce in particolare alle donne, le quali pare facciano registrare una più accentuata alterazione nella produzione di cortisolo, l’ormone dello stress (Plos One, 2012). Secondo una ricerca dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz la diffusione di notizie allarmanti produce invece un «effetto nocebo» paragonabile a quello di un paziente non appena legge il bugiardino di un farmaco apprendendone gli effetti collaterali (J Psychosom Res, 2013). Ancora più notevoli sono gli esiti di un esperimento con cui un campione selezionato è stato suddiviso in tre gruppi, a ciascuno dei quali è stato sottoposto un notiziario diverso: uno di taglio neutro, uno con notizie più positive, l’altro con notizie più negative. In breve, si è osservato che i partecipanti a quest’ultimo gruppo hanno mostrato variazioni umorali all’insegna di ansietà e di tristezza, oltre che una accresciuta tendenza a catastrofizzare le proprie preoccupazioni personali (British Journal of Psychology, 1997). Morale della favola: sì, le cattive notizie hanno controindicazioni. Si fa quindi bene a restare informati ma in tempi pandemici, ecco, pare il caso di non esagerare. O, almeno, di cambiare canale.

Giuliano Guzzo

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