Tra le statue prese di mira in questi giorni dalle sedicenti manifestazioni antirazziste, ce ne sono anche alcune di Cristoforo Colombo. Non è la prima volta. Già tre anni or sono, negli Usa, alcuni monumenti dedicati all’esploratore genovese vennero abbattuti o imbrattati con l’accusa di «colonialismo» e di «genocidio». Ora, è vero che Colombo prese attivamente parte, dopo il suo sbarco nelle Americhe, alla colonizzazione dei territori e perfino al commercio di schiavi. Non fu insomma un santo, ma neppure un mostro.

Perfino Bartolomé de Las Casas, il domenicano ardente difensore dei nativi, riferì del modo umano con cui Colombo trattava gli indigeni; del resto, è noto che ne abbia adottato uno e quando i nativi bruciarono un insediamento spagnolo, uccidendo tutti gli spagnoli in zona, raccomandò ai suoi moderazione. Al punto che Colombo non è mai piaciuto ai suprematisti bianchi, più innamorati dell’idea che a scoprire l’America fossero stati i vichinghi. Detto ciò, appare fuorviante pure attribuire al navigatore chissà che ruolo nei genocidi avvenuti dopo la sua impresa.

Primo perché orrori decisamente spaventosi, nelle Americhe, avvenivano anche prima del 1492; gli Inca e gli Aztechi, infatti, avevano grande familiarità coi sacrifici umani. Questi ultimi, nel 1484, in onore di uno dei loro dèi, ne fecero 20.000. Secondo perché lo sterminio dei pellirossa, se è a questo che ci si vuol riferire, avvenne in gran parte per mano inglese anglicana e puritana. Le stesse guerre indiane, poi, iniziarono quando Colombo era morto da oltre 200 anni. Per quanto l’uomo non sia da mitizzare, prendersela con Colombo significa quindi, più che altro, avercela con i libri di storia.

Giuliano Guzzo