In attesa che vengano dichiarate razziste pure le mie scarpe, di un irriverente color marrone, evidenzio che la miopia dell’antirazzismo di queste settimane – che arruola pecoroni a ritmi spettacolari – non sta nel richiamare giustamente l’attenzione sulla questione razziale, ma nel farlo in modo assai parziale. Per esempio, dimenticando che il posto più pericoloso per un afroamericano, oggi, non è una stazione di polizia ma il ventre materno, con i neri che sono il 12% della popolazione Usa ma hanno sulle spalle, di fatto, il 36% degli aborti.
Allo stesso modo, attendo che venga denunciata la strage di bambini Down: solo negli Usa, la percentuale di nascituri abortiti perché Down è oscillante tra il 67 e l’85%, secondo le stime di uno studio uscito nel 2012 sul Journal of Obstetrics and Gynecology. In Europa? Peggio: la percentuale dei nascituri con trisomia 21 cui è impedito di nascere è del 65% in Norvegia, del 90 nel Regno Unito, addirittura del 95 in Spagna, in Islanda sfiora ormai la totalità mentre la Danimarca, da tempo, gioca a carte scoperte finanziando tutti i test alle donne incinte per giungere, entro il 2030, ad essere «Down free».
Perché, cari antirazzisti, non riservate non dico una manifestazione, non dico uno striscione, ma almeno un distratto tweet a questa strage quotidiana e silenziosa di bambini mai nati a motivo solo del non essere abbastanza «perfetti»? Non è forse, questo, il razzismo più invisibile e vigliacco? Si badi che non è benaltrismo: il benaltrismo semmai è quello di chi, coccolato dai media, fa solo le battaglie più semplici. Quindi, amici per l’uguaglianza, perché non denunciate il razzismo prenatale? Coraggio. Fatelo, e avrete anche il mio inginocchiamento; altrimenti dovete accontentarvi delle mie perplessità.
Propongo qui una mia riflessione con cui concludevo un commento sul tema, qualche anno fa:
“E io mi chiedo: nel momento in cui, a forza di aborti “terapeutici” saremo arrivati ad avere un mondo senza Down, senza ritardati, senza spastici, senza nani, senza ciechi, senza sordi, riusciremo a sopportare di avere un figlio miope, o strabico, o una figlia con le ginocchia sporgenti?”
Questi sono temi molto delicati, perché riguarda l’etica, che perciò non vanno affrontati con superficialità come purtroppo accade sempre.
Tutti hanno diritto a nascere, a prescindere se sani o con malformazioni e menomazioni varie, ragion per cui che uno Stato incentivi ad abortire chi porta in grembo un bambino malato, con la sindrome di Down, ecc., come mi è parso di capire avviene in Danimarca, è assolutamente sbagliato. Se invece si limita solo a consentire per legge la soppressione di un feto non sano, è un altro discorso, e questo spetta alla personale coscienza della madre. Io credo che la maggior parte dei genitori che decidono di non far portare a termine una gravidanza che riguardi un feto malato, non lo faccia per egoismo o mancanza di sensibilità, ma piuttosto per evitare al loro figlio, una volta venuto al mondo, di avere un’esistenza infelice e svantaggiata rispetto a chi è normodotato. E per questo non mi va di giudicarli male, anche perché sono un comune mortale e non ne possiedo l’autorità per farlo.
Non condivido invece coloro che usano l’aborto come strumento post-contraccettivo, che riguarda sia i feti sani che quelli malati o malformati, che è una cosa assolutamente immorale, ed è ciò che ha consentito di fare lo Stato con la criminosa legge 194 in vigore da 42 anni, con gravi ed evidenti danni sulla struttura demografica del nostro paese, che si ritrova ad avere 6 milioni di italiani in meno. Un genocidio, per intenderci.
E’ evidente a mio parere, che se esistono Stati che incentivano apertamente alla soppressione dei feti non perfetti, viene fatto per risparmiare sui fondi per la disabilità, come magari suggerisce il dogma neoliberista, il che è davvero aberrante, perché parliamo di vite umane, tali fin dal concepimento, non di numeri.
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Come esiste un fascismo degli antifascisti, è vivo e vegeto un razzismo degli antirazzisti. Prova ne sia l’abbattimento delle statue, come fecero a loro tempo i talebani.