Nonostante gli apprezzabili sforzi degli influencer e dei tentativi di sdrammatizzare dei meme, in questi giorni in ognuno di noi (salvo in chi mente) alberga – a momenti alterni – un senso di smarrimento, di sconfitta, di sensazione che l’invisibile Covid-19 sia uno spartiacque tra un «prima» che sentiamo già lontano e un «dopo» che non si sa quando e come arriverà. Ciò nonostante, esistono anche ottime ragioni per sperare. E no, mi spiace, non intendo spolverare ancora quell’«è un’influenza o poco più» che, con quasi 1.300 morti in pochi giorni solo in Italia, il coronavirus ha esageratamente dimostrato di non essere. Non c’è nulla, di quel maledetto, da minimizzare.
C’è invece molto, anzi moltissimo da valorizzare di quel che siamo come italiani, come nazione, come popolo. È vero, abbiamo governanti (specie a livello nazionale) che già sarebbero discutibili in bene in tempi di vacche grasse, figurarsi in tempi di emergenza sanitaria; ed è anche vero che noi tutti, in fondo, all’inizio il Covid-19 lo abbiamo preso sottogamba. Ma ora siamo compattamente a casa, tra pareti domestiche che hanno il sapore di una trincea di lusso, certo, ma pur sempre di un luogo di frontiera, dove il Nemico penetrerebbe al volo se solo gliene fosse dato il modo. E già questo, se permettete, è una notizia. Per anni abbiamo visto, anche sui social, gente azzannarsi sui rigori dati o non dati, sul Papeete e sulla piattaforma Rousseau o su Morgan e Bugo.
Ebbene, oggi quelle divisioni più o meno idiote sono scomparse. Di colpo. So di conoscenti giovani e anziani, di destra e sinistra, poveri e facoltosi, globalisti e sovranisti tutti rigorosamente in fila, ciascuno a casa propria, per difendere non solo la salute individuale, ma quella di tutti. So di medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, cassieri di supermercato che per il bene comune rischiano la salute, a volte la vita. So di lavoratori che vorrebbero stare a casa non per poltrire, ma per evitare di contagiarsi e di contagiare – e prego che il governo si svegli. So insomma di un Paese in ginocchio come lo descrivono, è vero, ma non arreso, anzi: combattivo. E so anche che i risultati di questo combattere domestico e silenzioso, al momento, non si vedono. Ma so che quando si vedranno e di giorno in giorno si faranno più grandi, saranno quelli iniziati oggi.
Il sindaco di Venezia ufficialmente (con la fascia con la quale rappresenta tutti i cittadini) si è inginocchiato nella Basilica della Madonna della Salute.
Ho appena visto un video dove si denuncia che, nonostante l’emergenza, le autorità statali non autorizzano la costruzione in tempi rapidi di un ospedale a Milano per qualche centinaio di pazienti in terapia intensiva, già progettato e finanziato. Qualcuno avrà sulla coscienza linda, perché mai usata, qualche centinaio di morti.
“oggi quelle divisioni più o meno idiote sono scomparse. Di colpo.” Direi proprio di no. Sono divisioni che definirei genetiche, perché lo stato italiano è nato con una serie di guerre di aggressione e di annessione, contro la volontà popolare.
Questa non è una guerra: una guerra si può vincere o perdere; questa situazione è già persa in partenza: se il virus è veramente quella specie di peste che la televisione continua a ripetere giorno e notte ininterrottamente, allora siamo spacciati (ce li ha presenti i Promessi Sposi); se (come a me pare abbastanza evidente) è una semplice influenza stagionale, solo un po’ più forte del solito, allora ci stiamo segando le gambe per niente. Se questa situazione sarà limitata all’Italia, allora ne usciremo talmente distrutti che saremo tagliati fuori dal mondo che conta; se il panico si estenderà nelle stesse proporzioni al resto d’Europa o del mondo, allora la recessione sarà globale. Se anche fossero danneggiate le economie di altri paesi UE (cioè essenzialmente Francia e Germania), questo non significherebbe affatto una maggiore solidarietà europea (per chi avesse ancora qualche dubbio consiglio di riascoltarsi le recenti dichiarazioni di Dombrovskis e della Lagarde). In tutti i casi il paese ne uscirà distrutto (e la sua economia irrimediabilmente compromessa). Questa è, come direbbero gli inglesi (perdonate il barbarismo, sto cercando di smettere) una situazione lose lose: comunque vada siamo fritti. Certo, dal comportamento dei nostri “alleati” europei potrebbe scaturire (meglio tardi che mai) una generale consapevolezza di che strumento obbrobrioso sia diventata l’Unione Europea; magari questo potrebbe favorire un’uscita dell’Italia dall’euro. Ma, nella condizione economica in cui ci troveremo tra un mese, col tessuto industriale totalmente distrutto e la reputazione a pezzi, il futuro non sarà certo roseo (la prospettiva migliore sarebbe quella di diventare un condominio sino-americano). E i risparmi dell famiglie, sia che si resti nell’euro sia che si esca, temo che andranno in gran parte in fumo. L’Italia si avvia a diventare un paese del secondo mondo (con o senza altri partner europei). E se qualcuno ha anche solo la minima idea di come sono messi oggi gli italiani, soprattutto giovani (compreso il sottoscritto), le speranze di risollevarsi sono davvero minime.
Caro Giulio,
che questa NON sia “una semplice influenza stagionale solo un po’ più forte del solito” lo dicono i dati: di anni ne ho ahimè molti più di lei, faccio il medico dall’anno in cui è nato lei (se il 91 accanto al suo nome corrisponde al suo anno di nascita) e di influenze ne ho viste molte e tante le ho vissute come professionista. Ma in nessun caso ho visto riempirsi le rianimazioni degli Ospedali italiani come in questa occasione, nè mai ho sentito o fatto appelli a restare a casa per evitare di diffondere il contagio e portare le persone a dover morire a casa perchè nelle rianimazioni non c’è più posto o non ce ne sarà più a breve.
No, caro Giulio, non è la solita influenza stagionale.
Ma su una cosa sono d’accordo con lei: gli Italiani non hanno più la fibra dei nostri nonni che, tornati malconci dalla guerra, hanno saputo ricostruire l’Italia distrutta e l’hanno fatta diventare un Paese ricco e tra i più importanti nel mondo. Per cui, se ci penso bene, nemmeno io credo che potranno darci una mano a risollevarci, quando tutto questo sarà finito, i giovani e i meno giovani che fregandosene di tutto e di tutti se ne sono stati in giro sui navigli fino all’ultimo minuto; perchè chi non può rinunciare, per il bene comune, nemmeno ad un aperitivo con gli amici, non mi lascia ben sperare.
Però so anche che a volte, in situazioni di necessità, di necessità vera, le energie e il coraggio vengono fuori anche da chi meno ti aspettavi li avesse.
Ma soprattutto so che nostro Signore “è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura.” (Gl 2,13)
E quindi, se faccio la somma algebrica dei motivi di pessimismo e di quelli di ottimismo sa cosa le dico? Io credo che se anche dovessimo arrivare a toccare il fondo (per molti versi, da un punto di vista morale, almeno, credo che ci siamo molto vicini) sì, con l’aiuto del Signore saremo in grado di rialzarci e risalire.
Come al solito *GRANDISSIMO* Stefano!!!
L’ha ripubblicato su Organon.