L’immagine che mi porto dentro, di questo primo giorno di «Italia zona protetta», arriva dal nuovo palcoscenico nazionale – il supermercato – ed è quella di un giovane, poco avanti a me, intento a fare la spesa con la mascherina e col trolley. Avrà avuto 25 anni, con ogni probabilità un universitario fuori sede. A dispetto del look apocalittico, era però calmo. E con cura riempiva il suo bagaglio, convertito a mosaico di confezioni, scatolame, bottiglie. L’ho osservato con curiosità ma senza capire se si trattasse di un eremita in partenza o di un cittadino consapevole, di un esagerato o di un responsabile alle prese con preparativi responsabili. Il distinguo che in altre circostanze sarebbe parso netto, ovvio perfino, è per me rimasto un dilemma.

La situazione, con due decreti governativi uno più restrittivo dell’altro emanati a poche ore di distanza, sembra difatti precipitare e nessuno sa dire cosa e quando accadrà, in questo Paese avvolto dalla coperta dell’incertezza. C’è tuttavia da dire che le scene di panico, al momento, restano spettacolari eccezioni di un’Italia in guerra ma tutto sommato lucida. Sappiamo che la nostra sanità, a partire dall’eccellenza lombarda, è a dir poco in trincea, che i contagi sono migliaia e che, se il bilancio giornaliero delle vittime non supera il centinaio, è già qualcosa: i contorni del dramma sono noti. Ciò nonostante, restiamo ragionevoli. Preoccupati e sul chi va là, ma ragionevoli. Come probabilmente era il tale col trolley, novello samurai pronto per le acque inesplorate della quarantena.

In effetti, la sfida dell’isolamento coatto è inedita per tutti. Motivo per cui, in fondo, l’approvvigionamento di cibo – meno irrazionale di quanto appare, dato che carrelli più colmi significa meno viaggi al supermercato e meno caos – prova non tanto il bisogno di calorie ma di certezze, di appetito dell’anima. Cerchiamo cioè qualcosa che ci tenga in piedi e, non sapendo a quale santo votarci (frutto amaro della scristianizzazione), ci arrangiamo. Peccato che l’eternità in cui porta a credere la fede valga ben più di un prodotto a lunga conservazione, e sapere di aver qualcosa da mangiare non equivale ad avere Qualcosa in cui sperare. D’altra parte, pure le Messe sono sospese e non è affatto facile, di questi tempi, riempire un trolley di speranza. Ma magari il giovane universitario avvistato prima ripassa e, nel dubbio, mi farò prestare il suo.

Giuliano Guzzo