Se nella botte piccola c’è il vino buono, nelle piccole librerie, potete scommetterci, c’è il libro giusto. Non lo penso: ne sono certo. Il problema è che non siamo proprio in tanti a vederla così, a giudicare dal bollettino di guerra diffuso dall’Associazione Librai Italiani: 2.300 librerie chiuse negli ultimi 5 anni. Un dato gravissimo e a suo modo pure paradossale, se si pensa che per esempio l’anno appena concluso, il 2019, è stato numeri alla mano parecchio positivo per l’editoria libraria italiana, con sia più guadagni sia più vendite.

I dati esatti dicono più 3,7% nei primi undici mesi dell’anno, pari a 1.131 miliardi di euro, e più 2,3% – pari a 77,4 milioni di copie – nelle copie vendute. Un aumento, quest’ultimo, che non si verificava da molti anni. Ma se l’editoria prospera, come mai le piccole librerie stanno scomparendo? Semplice: perché non le frequentiamo. Perché le grandi catene, le grandi case editrici, i grandi distributori cannibali ci sembrano più attraenti, più accattivanti, più capaci di rispondere alla nostra curiosità. Il che spesso è pure vero, intendiamoci.

Ma le piccole librerie sono un’altra cosa. Sono piccole oasi di carta e pensiero, nidi di ribellione pacifica al conformismo, depositi di libri spesso proibiti da una cultura dominante secondo cui devi leggere tanto, sì: a patto tu legga libri tutti uguali. Testi cioè con la stessa Weltanschauung liberal sulla politica, sull’economia, sulla religione, sull’ambiente, sulla morale. Cambiano le copertine (quasi sempre), cambiano gli autori (ogni tanto), ma l’ideologia di fondo no. Per questo vale la pena andare controcorrente e cercarli, questi ambienti così apparentemente fuori dal tempo.

In Balla coi lupi il tenente Dunbar, interpretato da Kevin Costner, chiede d’essere inviato alla frontiera. Desiderio insolito, che Dunbar motiva così: «Voglio andare alla frontiera, prima che scompaia». Ora, non sappiamo se le piccole librerie e i piccoli editori scompariranno. Ma prima che il rischio diventi troppo concreto, frequentiamoli il più possibile. Costa poco e, in fondo, dà tanto. Soprattutto dà la consolante certezza che, se un giorno nostro nipote ci raccontasse di esser stato in un supermarket di pensiero pensato da infilare nel microcervello, gli potremmo raccontare d’essere stati in vere librerie. Quelle di una volta. Tutta un’altra storia.

Giuliano Guzzo

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«Da leggere!» (Diego Fusaro)

«Un libro pieno di chicche» (Rino Cammilleri)

«Un viaggio tra vicende note e meno note con lo scopo di aiutarci a sviluppare il senso critico» (Aldo Maria Valli)

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