Odiatore di papa Francesco, sporco ratzingeriano, sedevacantista. L’elenco dei capi d’imputazione che misericordiosamente rischio nello scrivere quanto sto per scrivere mi è chiarissimo. Ciò nonostante, non posso nascondere la gratitudine che provo dopo aver saputo dell’uscita, nei prossimi giorni, di Dal profondo del nostro cuore, il nuovo libro firmato a quattro mani dal Benedetto XVI e dal cardinale Robert Sarah. Una gratitudine che non nascondo non solo per l’oggetto del volume – che si annuncia come un’appassionata difesa del celibato sacerdotale -, ma per il motivo per cui è stato scritto, che appare ben più vasto.

«Se questo libro è un grido», affermano difatti il papa emerito e il cardinale, «è un grido d’amore per la Chiesa, il Papa, i preti e tutti i cristiani. Noi vogliamo che questo libro sia diffuso il più possibile. La crisi che attraversa la Chiesa è impressionante». Ora, siccome – direbbe Totò – ccà nisciun è fess, è evidente che, quando Ratzinger e Sarah sostengono che «la crisi che attraversa la Chiesa è impressionante», non si stanno riferendo né alla scristianizzazione dell’Occidente né al solo, pur cruciale, celibato. No, di mezzo c’è altro. Molto altro. E quest’altro, almeno per il poco che posso intendere, concerne una confusione senza precedenti, a più livelli, in corso ormai da tempo.

Come non dimenticare, a tal riguardo, le parole del compianto cardinale Caffarra, che da teologo morale di riferimento di san Giovanni Paolo II – non proprio il primo che passa – poco prima di morire ebbe a lamentare che «solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione»? La sensazione è insomma che, intervenendo sul celibato dei preti, Ratzinger e Sarah abbiano voluto lanciare, sia pure in uno «spirito di amore per l’unità della Chiesa» e di «filiale obbedienza a papa Francesco», un messaggio più ampio e di vicinanza nei confronti dei tanti che soffrono per la situazione attuale. Quale situazione? Chi se lo domandasse è pregato di aggiornarsi, riavvolgendo il nastro degli ultimi anni.

Anni in cui abbiamo visto abortisti alla Pontificia Accademia per la Vita e teologi cari a san Giovanni Paolo II messi ai margini. Anni in cui l’ufficio stampa della Santa Sede è intervenuto enne volte per «precisazioni» su questa o quella dichiarazione papale. Anni in cui le chiese si son ancora più svuotate, ma l’attenzione ecclesiale non sembra essersi spinta molto oltre le questioni migratoria e dei cambiamenti climatici: tutto urgente, ma più per l’agenda di una Ong che della Chiesa. Anni in cui il dissenso verso istituti devastanti come le unioni civili è sfumato, a poco a poco, nel silenzio. Anni in cui, mentre diversi altri sembra sian stati messi uno dopo l’altro in stand by, si è coniato un nuovo peccato: quello di «sovranismo».

Anni in cui, se qualcuno arriva a scrivere che Gesù Cristo era una «sardina», le reazioni più indignate e tempestive sono quelle non di qualche sacerdote – come sarebbe naturale aspettarsi -, ma del rabbino capo di Roma. Anni in cui, viceversa, se per caso un arcivescovo, come ha fatto quello di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi, spiega che «Gesù non era gay», non solo fa notizia ma viene quasi guardato male, come fosse uno strano e non un pastore che ripete l’ovvio, per non dire il sacrosanto. Anni in cui non pare esservi più nulla di certo – si è rivisto perfino il Padre Nostro –, salvo un incessante invito all’accoglienza che pare valere per tutti, fuorché per chi vive questa fase con smarrimento.

Si è insomma creato un clima pesante, che – per dimensioni e gravità – non può certo essere ascritto al solo pontificato in corso. Un clima tale per cui è lecito amare chi ci pare, dire ciò che ci pare eccetera, ma non sussurrare la verità, che è che «la crisi che attraversa la Chiesa è impressionante». Ebbene, questa scomoda verità ora l’hanno scritta nero su bianco due pesi massimi come Benedetto XVI e il cardinale Sarah. Che per un certo filone misericordioso probabilmente saranno un ultranovantenne irrequieto e un prelato in odore di associazione a delinquere di stampo tradizionalista; ma non per il sottoscritto. Motivo per cui a costoro desidero anch’io, dal profondo del cuore, rivolgere una parola. Una soltanto: grazie.

Giuliano Guzzo

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