A partire dal dicembre 2016, quando la riforma costituzionale Boschi-Renzi venne silurata per via referendaria, la sinistra italiana è uscita con le ossa rotte da sostanzialmente tutte le competizioni elettorali cui ha partecipato. Ha perso le politiche, quindi le europee. Soprattutto, ha perso roccaforti come Ferrara, come la padovana Cadoneghe (così rossa da esser, un tempo, la «Stalingrado veneta»), Forlì (rossa da 49 anni), Mirandola (addirittura da 74). Per non parlare delle recenti regionali dell’Umbria, dove neppure l’apparentamento con il Movimento 5 Stelle ha evitato un naufragio. In totale, sono esattamente tre anni di batoste clamorose, che solo una singolare benevolenza mediatica classifica come sconfitte.

Basterebbe questo per indurre il progressismo italico, se non alla disperazione, almeno alla cautela. Ciò nonostante, da giorni la sinistra è tutta elettrizzata dalla nascita di un nuovo movimento: quello delle «sardine». Una realtà tenuta a battesimo dalla grande presenza che a Bologna un manipolo di trentenni è riuscita a radunare in opposizione ad una manifestazione, in contemporanea, di Matteo Salvini. Ora, questo articolo potrebbe chiudersi qui perché sulle «sardine» non c’è altro da dire se non questo: è una rete di persone che odiano il leader leghista senza spostare un voto. Punto. Il resto è tifo da parte degli stessi media che da tempo si interrogano sul «futuro del Pd» senza notare ciò non è giornalismo, ma accanimento terapeutico.

Ma torniamo alle «sardine», che uno dei suoi fondatori definisce come «movimento di resistenza a questa retorica populista e a questo modo di fare campagna elettorale molto sporco e che usa Facebook e l’informazione sui giornali e che tende a imporre un pensiero unico dominante». Un lungo di giro di parole per dire le cose in modo confuso e sbagliato. Già, perché se c’è «pensiero unico dominante» è proprio quello teso, da anni, a liquidare il populismo (e il sovranismo) come un virus che, miscelato con l’ignoranza e la xenofobia, ha contagiato le masse. Ci si faccia caso: gran parte dei giornalisti e giornali non è certo sovranista, ma eurofila e globalista. Disprezza le frontiere e le tradizioni. E così gli intellettuali e gli accademici, giunti a proporre perfino di restringere il diritto di voto a laureati o a under 65.

Strano che i trentenni alla guida del neonato movimento, con tutte le loro lauree, non abbiano notato che essi agiscono non da avversari bensì da vassalli del «pensiero unico dominante». Lo prova, in aggiunta a quanto detto, il fatto che oggi sia un giornale come Repubblica – non proprio una testata invisa all’establishment – a celebrare le «sardine» che, dopo le due prime manifestazioni (quelle di Bologna e Modena) «prendono il largo» e «si moltiplicano in Emilia e in tutta Italia, da Torino a Sorrento». Curioso, infine, che costoro contestino non chi è al governo del Paese ma chi sta all’opposizione. Se l’aggettivo non fosse abusato, si potrebbe definire tutto ciò fascista. E dire che per capire come stanno davvero le cose, basta un minimo di senso critico. Facoltà non scontata, chiaro, quando in realtà non si è «sardine» ma baccalà.

Giuliano Guzzo

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