In Diktatoren im Kino. Lenin – Mussolini – Hitler – Goebbels – Stalin (Paul Zsolnay Verlag, 2019), il suo nuovo e stimolante saggio, Peter Demetz, uno studioso che ha insegnato a Yale, sottolinea un legame già noto agli specialisti ma meno, purtroppo, ai più: quello fra cinema e dittatura. L’uno, infatti, può benissimo esistere senza l’altra, invece la dittatura, da almeno un secolo, del cinema ha bisogno come fertilizzante del proprio consenso. Detto questo, avrei un dubbio da condividere idealmente con tutti, a partire da Demetz.

Il dubbio è il seguente: l’aver deciso di far interpretare Niccolò Machiavelli dal nero Akemnji Ndifernyan, san Pietro dal nero Chiwetel Ejiofor, il dio nordico Heimdall dal nero Idris Elba, Achille dal nero David Gyasi, Arsenio Lupin dal nero Omar Sy e prossimamente, a quanto pare, di far sostituire James Bond dall’attrice – anch’essa nera – Lashana Lynch, l’aver insomma scelto di africanizzare il cinema e le serie tv, a quale tirannia corrisponde? Da cosa è animata questa dittatura politicamente corretta? Nel mio piccolo, una risposta l’avrei.

Alludo al sentimento autodistruttivo da cui da anni è pervasa la cultura occidentale, giunta ad odiare l’uomo bianco come sinonimo di sessismo, patriarcato, elezione di Trump ed altri peccati mortali. Un’avversione controbilanciata dall’idea secondo cui, invece, tutto ciò che è di colore è ipso facto «bello», «migrante», «diversità che arricchisce», «ponte». Ma al di là di ipotesi e congetture, l’aspetto più inquietante di questo incessante assegnare ruoli improbabili ad attori di colore è l’impossibilità, ormai, di concedersi un liberatorio «ma che due balle!» senza passar subito per razzisti.

Giuliano Guzzo

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«Un libro pieno di chicche» (Rino Cammilleri)

«Un viaggio tra vicende note e meno note con lo scopo di aiutarci a sviluppare il senso critico» (Aldo Maria Valli)

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