Che davvero siano stati in 700.000, come affermano gli organizzatori, o che fossero un po’ meno, una cosa è certa: i partecipanti al Roma Pride 2019, quest’anno, avevano un nemico preciso: la Lega di Matteo Salvini. Lo provano cori («odio la Lega») e cartelloni vari, tutti rigorosamente indirizzati al ministro dell’Interno. Come mai? Per quale motivo il leader leghista sta così sulle scatole al mondo arcobaleno? Ha senso chiederselo dato che lo stesso tema della famiglia naturale, notoriamente inviso al movimento Lgbt, negli ultimi tempi non è che sia stato tirato più di tanto in ballo dal vicepremier del governo Conte. Il sospetto è dunque che l’ostilità esplosa al Roma Pride ci sia altro rispetto alle posizioni della Lega, pur nette contro adozioni gay e utero in affitto.

Che cosa? Semplice: una dimostrazione di cui il «Capitano» ha dato prova lampante, e cioè che nel 2019 ci si può ancora affermare politicamente – come ha fatto anche alle ultime elezioni europee, stravincendole – senza osservare il galateo arcobaleno, anzi infischiandosene proprio del politicamente corretto sui temi morali. In altre parole, con la sua ascesa politica Salvini ha ricordato una verità decisamente scomoda per l’establishment, vale a dire che alla stragrande maggioranza degli italiani, dei diritti civili tanto cari alla sinistra, di fatto frega niente. Perché le vere priorità son altre. E questo per la minoranza Lgbt, osannata sui media ed esaltata da attori a cantanti, insomma abituata a comandare, è un affronto vero e proprio. Di qui l’odio oggi confermato per Salvini, alla faccia del love si love.

Giuliano Guzzo

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