Avevo torto, e una volta tanto mi piace ammetterlo. Avevo torto perché mi stavo facendo una pessima e definitiva idea del piccolo schermo e soprattutto del cinema, da decenni veicoli della demonizzazione della famiglia, sistematicamente raffigurata come asfittica, divisa, violenta. In effetti, ne salvavo pochi. Tipo Sandra e Raimondo Vianello o il maestro Pupi Avati, che ha celebrato la bellezza dell’amore coniugale in decine di pellicole. Oggi però devo aggiungere un nuovo nome, a quello dei ribelli nel regno del conformismo: quello di Neal McDonough, noto attore che nel 2010 – si è appreso in questi giorni – è stato licenziato perché, in segno di rispetto verso sua moglie e per via delle sue convinzioni religiose, ha rifiutato di girare scene di sesso con un’attrice.

Tre giorni appena dopo l’inizio delle riprese, McDonough, figlio di immigrati irlandesi cattolici (buon sangue non mente), è stato sostituito e alcune stime hanno quantificato in 1 milione di dollari il suo mancato guadagno conseguente a quella decisione. Ora, già le sento le vocine di quanti pensano che un conto sia il cinema e un altro la vita reale, così come immagino le reazioni di chi dirà che, se l’attore ha rifiutato quella parte in un mondo in cui molti venderebbero moglie, madre e figli per averla, è perché in fondo poteva permetterselo. Magari è pure vero. Sta però di fatto che McDonough ha dato prova di valori d’altri tempi in un tempo senza valori, e ha rinunciato a una parte per stare della parte della fedeltà, evitando di darle un prezzo. Chiamalo poco.

Giuliano Guzzo