Quello del «meglio vivere da atei che da cristiani che odiano» è stato l’intervento della prima udienza generale del 2019 di papa Francesco ma, purtroppo, è solo l’ultimo ad alimentare fraintendimenti, divergenze interpretative, titoloni non proprio esaltanti. Tutto dovuto al cattivo giornalismo? Non saprei, dato che nelle redazioni i perfidi ci lavorano da un pezzo eppure a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI certe uscite spericolate non mi pare siano mai riusciti ad attribuirle: e sì che hanno avuto oltre tre decenni di tempo.

Ad ogni modo, mi tengo volentieri lontano da ogni polemica, anche perché la classifica tra atei e cristiani ipocriti non mi appassiona granché. Analogamente, non ho un’idea sulle «persone che vanno in chiesa, stanno lì tutti i giorni» e poi odiano per il semplice fatto che vedo per lo più chiese mezze vuote e confessionali deserti. Tuttavia, un piccolo pensiero desidero comunque formularlo affermando che sì, in chiesa conviene andarci. Sempre e comunque: da cristiani ipocriti, per ascoltare come Gesù fustigava i farisei e pure da atei, per non porre limiti alla provvidenza.

Non lo dico per provocare, ma perché le visite in chiesa sono come i cioccolatini di Forrest Gump: non sai mai quello che ti capita. Proprio come non lo sapeva il giovane André Frossard, ateo e figlio del partito comunista francese il quale, l’8 luglio 1935, entrò per caso nella cappella delle Figlie dell’Adorazione di Parigi e ne uscì convertito: «Sono entrato ateo in quella chiesa e sono uscito cinque minuti dopo che ero cattolico, apostolico, romano». Chiaro, non a tutti quelli che entreranno in una cappella toccherà l’esperienza del grande accademico francese. Ma una cosa è certa: nel dubbio, in chiesa è meglio andarci. In ogni caso.

Giuliano Guzzo