Nel corso degli ultimi 105 anni di storia americana, solo in cinque elezioni di metà mandato l’Amministrazione in carica ha visto aumentare i seggi del proprio partito nell’ala più importante del Congresso, quella del Senato. Basta soffermarsi su questo dato – per quanto la Camera dei Rappresentanti, nelle scorse ore, sia effettivamente passata ai Democratici – per far capire come, a due anni da quell’incredibile 9 novembre 2016, quel tornado politico che risponde al nome di trumpismo sia ancora vivo e vegeto. Curioso, no? Doveva sciogliersi come neve al sole, essere travolto da scandali e tutto il resto, invece il populismo yankee è ancora al suo posto, in salute. Eccome.

Il fatto che Trump, a differenza di Obama, abbia conservato il Senato e pure rafforzato il suo controllo, è infatti testimonianza di come la stagione politica in corso, bizzarra finché si vuole, non possa in alcun modo considerarsi esaurita. Merito di un’economia Usa al galoppo, si sono affrettati a sentenziare in molti. Può pure darsi, per carità. Rimane però il fatto che, ancora una volta, su molti funerei pronostici ha prevalso lui, The Donald. E il bello è che in tutto questo, esultando per l’elezione della «prima donna musulmana» e della «prima lesbica nativa», i democratici mostrano di non aver compreso nulla. Sono rimasti dov’erano, arenati alla retorica delle minoranze.

Ma se metti le minoranze al centro della tua agenda, per quanto esse siano rispettabili, non puoi pretendere di essere gradito alla maggioranza per troppo tempo; per saperne di più citofonare al già citato Obama, l’ultimo sacerdote di questa dottrina, o ad Hillary, la candidata che gli elettori hanno politicamente sepolto viva, quand’era ancora «avanti nei sondaggi». Ciò non significa, sia chiaro, che la rielezione del magnate sia scontata esattamente come non si può dire che il 2020 gli sia precluso: da tempo, il mondo muta troppo rapidamente per azzardare previsioni simili. Un dato certo però c’è, ed è quello che dicevamo poc’anzi: il più pittoresco dei leader populisti è ancora lì, vigorosamente in sella. E’ tanta roba.

Giuliano Guzzo