Desirée la drogata, la sbandata, l’emarginata, la senza famiglia, la figlia di uno spacciatore, la «predestinata» a quella terribile fine. In queste ultime ore, sulla sedicenne di Cisterna di Latina stuprata e uccisa nella notte tra il 18 e il 19 ottobre in uno stabile abbandonato a San Lorenzo, a Roma, dopo 12 ore di sevizie, si sono addensate – come sentenziosi ed inappellabili pugnali – innumerevoli parole. Che possono avere pure un barlume di verità, e forse più d’un barlume, ma la realtà che svelano maggiormente non è quella della povera Desirée, bensì di quella dei miserabili commentatori di cui, purtroppo, i mass media sono infestati.

Gente che, per il solo fatto d’avere un microfono davanti o una tastiera a portata di mano, si sente investita della missione non solo di commentare un fatto orribile – esercizio complesso e già delicatissimo – ma pure di mostrare che la chiave di lettura privilegiata dello stesso non sta nella delinquenziale permanenza, nel patrio suolo, di mostri che qui manco dovrebbero essere (abbiamo già quelli autoctoni, non servono rinforzi), bensì nell’appuntamento che, a sua insaputa, Desirée aveva col destino. Questo perché, non essendoci di mezzo uno straccio di ex marito o ex fidanzato e neppure un viso pallido, da questa storia la casta degli opinionisti progressisti esce spiazzata.

I soliti noti non possono infatti discettare di «femminicidio» né indignarsi per la dilagante violenza maschilista, ma debbono limitarsi a registrare la candidatura della giovane al macello. Altrimenti sarebbero costretti non dico a registrare gli «effetti collaterali» dell’immigrazione in corso – presa di coscienza troppo elevata, per chi ha le fette di prosciutto imbullonate sugli occhi -, ma almeno a ricordare la provenienza estera degli autori di un delitto di bestiale crudeltà. Il che è troppo, per alcuni. Così la triste vicenda non si spiegherebbe con le palesi responsabilità dei carnefici, ma andrebbe letta alla luce di quelle presunte delle vittima. Se è ammesso un commento ai commenti, darei un contributo anch’io: che schifo.

Giuliano Guzzo