Un anno, solo un anno? Ci dev’essere un errore oppure sono io che la morte di Carlo Caffarra, avvenuta il 6 settembre 2017, la percepisco cosa di secoli fa. Sarà perché il grande cardinale, a Bologna erede di Biffi, grandi eredi non ne ha lasciati: o forse udite, in Italia, alti prelati avvertire che «la lettura dei segni dei tempi è un atto teologale e teologico» e non certo sociologico? Qualcuno che sappia denunciare il «male che opera oggi per distruggere matrimonio e famiglia»? E l’imperversare, nella Chiesa accogliente e misericordiosa, di «una grande confusione, incertezza, insicurezza»?
No, signori, altri Caffarra non ne abbiamo. Era unico. Per questo, a un anno di distanza, occorre rinnovargli gratitudine. Anche perché ha saputo mettere il dito nella piaga culturale dei cattolici contemporanei, incapaci «di elaborare giudizi interpretativi e valutativi di ciò che sta accadendo». Dal Cielo, Eminenza, continui allora a proteggerci affinché quaggiù noi si torni a usare la testa, a distinguere il bene dal male, insomma a giudicare. Perché la scusa ecclesialmente corretta del “per liberarci dei pregiudizi abbiamo lasciato perdere pure i giudizi” non verrà presa in considerazione, mi sa, il giorno in cui i giudicati saremo noi.
Eppure quando ricorre il primo anniversario della scomparsa di una persona tanto cara, sembra che il tempo non sia affatto trascorso, tanto è sempre vivido nella nostra mente il ricordo di quella persona; di solito, si dice: “ma come, è già trascorso un anno? Sembra ieri”.
Per carità, non vorrei apparire irriverente verso un’eminente personalità della Chiesa Cattolica che ha ricoperto ruoli di primissimo piano in seno all’organizzazione della medesima e sempre esercitato il suo magistero in modo impeccabile, o quasi.
Si, dico quasi, perché ritengo che nelle organizzazioni fortemente gerarchiche, come la Chiesa o l’esercito, il diritto alla disubbidienza sia praticamente inapplicabile: dal momento in cui, nella Chiesa Cattolica, si concede a un rappresentante di spicco come lo è un Cardinale, di rinnegare e contestare apertamente la linea guida del Capo, la Chiesa e’ in pericolo.
Guitton, l’unico filosofo chiamato da Paolo VI ai lavori del Concilio Vaticano II, affermò: ” quando il subordinato viene lasciato libero di decidere se l’ordine che gli da’ il colonnello sia criminale, non c’è più esercito.
E di libertà di dire e disfare, Caffara ne ha avuta e se n’è presa pura molta.
Ma che stai a dì?
“Ma che stai a dì?”
Che a Norimberga andavano tutti assolti, perché avevano solo eseguito gli ordini.
Mai mettere in discussione la linea, anche se criminale…
Peccato che fossero della controparte perdente…😎
E’ la verità che rende liberi, per cui il cardinale aveva un buon Suggeritore.
Si, infatti l’ha chiamato a rapporto prima che potesse iniziare la tournée.