Per la serie come farsi del male, ho letto l’odierno appello di Saviano contro il governo e penso di aver capito perché ce l’ha col governo, ma non ho capito perché ce l’ha con l’italiano: una prosa pesantissima, un asfittico e compulsivo riferimento a sé stesso, per non dire della banalità complessiva del testo. A dirla tutta, emerge pure contraddizione grande così dato che l’autore di Gomorra, secondo cui «il silenzio, oggi, è insopportabile», è lo stesso un mese fa lanciava un invito di tenore opposto («Smontiamo l’odio con il silenzio»), ma mi fermo perché sparare sulla Croce Rossa è degradante.

Del resto, per cogliere la natura confusa delle tesi di Saviano non occorre neppure soffermarsi sul loro significato. Basta arrestarsi allo stile; stile per modo di dire, ovvio, e di cui quello che segue è solo uno scorrevolissimo assaggio: «Ho a lungo riflettuto prima di scrivere queste righe, non vorrei pensiate che vi stia chiamando a raccolta per difendere me, ma vorrei capiste che il tempo per restare nelle retrovie è finito». Ora, che «prima gli italiani» fosse considerato razzista lo sapevo, ma che pure «prima l’italiano» fosse stato messo al bando, confesso, mi è nuova. Toccherà darsi da fare e imparare tutti, alla svelta, un po’ di ostrogoto.

Giuliano Guzzo

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