Credono sempre più nel successo e nella carriera, continuano a considerare assai importante l’istruzione e la cultura, ma non vogliono saperne della religione né, tanto meno, della politica. Questo il ritratto dei mutamenti generazionali che, in un confronto tra i giovani tra il 15 e 24 anni del 2017 con quelli di quindici anni prima, emerge dall’ultimo sondaggio Demos – COOP per Repubblica, commentato dal sociologo Ilvo Diamanti come la prova che quella di oggi sia, per molti giovani, l’era delle «passioni tiepide». Una tesi che ha un suo fondamento naturalmente, ma che ritengo parziale e soprattutto incapace di favorire una visione più complessiva e meno crepuscolare, del tutto possibile.

Infatti se è vero, tanto per cominciare, che appena il 7% dei giovani interpellati ritiene «molto importante» la religione, non significa che il rimanente 93% la ritenga inutile; soprattutto, vi sarebbe da tener presente come la spiritualità e il credere in Dio – per molti – siano oggi dissociati dall’appartenenza religiosa; dunque sarebbe meglio essere cauti, prima di ritenere la fede, nei giovani, qualcosa di marginale. Esistono difatti rilevazioni che, a livello europeo, attestano come il credere in Dio risulti dieci volte più diffuso, proprio tra i giovani, che il riconoscersi in una religione. Dunque non è la passione religiosa ad essere in crisi ma, semmai, la capacità delle religioni di intercettarla.

La stessa crisi della politica nelle passioni giovanili credo andrebbe più correttamente interpretata come crisi di «questa politica», intendendo essenzialmente quella italiana; lo testimonia il fatto che la stessa fascia di età, vede il 47% di giovani attribuire molta o moltissima fiducia nell’«Europa», parola alla quale i grandi media – gli stessi che non perdono occasione per raccontare vizi e miserie della classe politica italiana – riservano da sempre enfasi ed ottimismo. Anche qui, dunque, non è la passione politica ad essere tiepida, ma sono le istituzioni politiche (criticabilissime, anche se non di rado esageratamente dileggiate) a faticare ad accenderla. Suffraga quanto detto anche un altro elemento.

Alludo all’esplosione (+25%, dal 2003 al 2014) della passione giovanile per l’indipendenza e l’autonomia. Un fenomeno che se da un lato pare colmare dei vuoti – in qualcosa i giovani dovranno pur credere! -, dall’altro né è la più evidente testimonianza. Che cosa infatti significano, da sole, l’indipendenza e l’autonomia? Nulla. Esse sono infatti, si converrà, strumenti per un fine più grande. Quale? E’ difficile rispondervi. Ma questo non significa, insisto, che i giovani abbiano «passioni tiepide», ma solo che essi respirano – in modo accentuato – quel vuoto valoriale che sempre più li circonda. Un vuoto che disorienta e forse smarrisce il loro bisogno di Senso, ma certamente non lo elimina.

Al punto che si potrebbe affermare – anche se l’accostamento ad alcuni sembrerà azzardato – che l’esplosione recente di tutta una serie di passioni, che a una lettura superficiale paiono solamente delle mode, dal culto del cibo e del piatto, le cui foto spopolano sui social newtork, alla crescente passione per l’arrampicata sportiva, possano essere anche, a ben vedere, trasposizioni della nostalgia di un Alimento e di un’Altezza che, essendo oggi spiritualmente carenti, finiscono con l’essere ricercati dai giovani altrove ma che restano, in primo luogo, indizi di bisogni che non sono affatto materiali, culinari né sportivi.

Lo tengano a mente educatori, sociologi e sacerdoti, evitando di confondere la causa con l’effetto, ossia la mancanza valoriale con la disillusione giovanile. Da troppi anni, infatti, rilanciamo il tormentone dei «giovani senza valori», contribuendo solo ad eclissare – proprio nei giovani – legittime aspirazioni esistenziali, senza renderci conto non solo come questa rischi di divenire una profezia che si autoavvera, ma come sarebbe impossibile uno scenario diverso. Oppure riteniamo verosimile che quindicenni e ventenni possano – senza un cambiamento più ampio – tornare spontaneamente a credere in una Chiesa che difetta essa stessa, spesso, di fede, o in una politica protesa solo ad amministrare il consenso?

Dovremmo chiedercelo concludendo, se siamo onesti, che le «passioni tiepide» dei giovani sono anzitutto le nostre «passioni tiepide», che è cioè normale che in un mondo incline solamente alla realizzazione personale e che marginalizza fede e politica, tutto ciò si rispecchi – in modo ancora più lampante – in coloro che hanno proprio verso le passioni aspettative maggiori. Smettiamola dunque con la rievocazione di un passato dove “certi valori c’erano” (cosa vera, intendiamoci), e chiediamoci cosa è possibile fare per un cambiamento che sia ricupero degli stessi; che sia ritorno al battersi per qualcosa di diverso dal proprio ombelico; al credere; allo sperare.

Giuliano Guzzo