Trovo decisamente inopportuno e sbagliato ostinarsi – in mancanza di prove certe – ad accostare la vicenda della povera Sofia Z., la bambina di 4 anni morta per encefalopatite malarica, a quella dei minori africani ricoverati, sempre per malaria e sempre negli stessi giorni e nello ospedale. Per ora si sa solo che parassita che ha fatto ammalare tutti è il Plasmodium falciparum, ma che il ceppo o variante fosse il medesimo sia per la bambina poi morta sia per gli altri, non è provato. Ergo, meglio tenere i toni bassi evitando di trarre quelle conclusioni affrettate che, chi aveva il potere di farlo, ha fatto poco per scoraggiare.

Si è difatti impiegato dei giorni a dire che nell’ospedale di Trento era ricoverata, per malaria, una famiglia africana: all’inizio si è parlato di bambini ricoverati di malaria al ritorno dal Burkina Faso; in un secondo momento si è specificato che erano bambini (in realtà bambine) africani e, solo alla fine, si è ammesso che, oltre a costoro, erano ospitati – sempre per lo stesso motivo, nello stesso nosocomio – pure la madre e un fratello più grande. Una gradualità nella diffusione di questi “particolari” che non si capisce: dire tutto subito, in nome del diritto di cronaca, costava tanto? E se non costava nulla, perché non lo si è fatto?

Tutto ciò, converrete, non aiuta molto a vincere diffidenza e sospetti. Allo stesso modo, se da un lato è bene scoraggiare considerazioni affrettate sul caso di Trento, dall’altro è poco serio negare che l’immigrazione c’entri con la malaria, dal momento che lo dicono gli stessi dati. Infatti, l’80% dei 3.633 casi di malaria registrati in Italia tra il 2011 e il 2015, in Italia, è stato riscontrato in persone straniere, per la gran parte regolarmente residenti in Italia e tornati nel paese di origine in visita a parenti e amici (cfr. Ministero della Salute, Circolare 0036391-27/12/2016; 1-23:4). Un dato che, sia chiaro, non autorizza alcuna “caccia alle streghe”, ma che non va neppure tenuto nascosto.

Anche perché è suffragato pure da rilevazioni precedenti che dicono come, nel periodo 2000-2008 – prima, cioè, dell’attuale ondata incontrollata di immigrazione – nel nostro Paese fossero stati rilevati 6.377 casi di malaria, di cui 9 di origine autoctona e 6.368 di importazione, in particolare 1.749, che rappresentano il 27,5% del totale, sono stati riscontrati in cittadini italiani, e 4619, quindi il 72,5%, in cittadini stranieri (cfr. Giornale italiano di medicina tropicale, 2010; Vol.15(1-4):35-38). Nello stesso Trentino, poi, la stragrande maggioranza di casi di malaria sono stati riscontrati, fino ad oggi, in persone straniere piuttosto che di nazionalità italiana.

Lo aveva ammesso, tempo fa, in risposta ad una interrogazione, l’Assessore provinciale alla salute spiegando come in Trentino, dal 2013 al 31 agosto 2015, si fossero conteggiati 19 casi di malaria, tutti di importazione: in un caso il viaggio in Paese tropicale era dovuto a ragioni di lavoro; in tutti e tre i casi segnalati nel 2015 il viaggio era dovuto a motivi turistici, ma nei rimanenti casi in ben 13 si trattava di rimpatrio, cioè di persone di nazionalità straniera, che vivono attualmente in Trentino, recatesi nel Paese di origine e che hanno manifestato la malattia al ritorno in Italia; e in due casi, entrambi segnalati nel 2014, la malattia si era manifestata in cosiddetti migranti (cfr. Prot. n. A036/15/615999/2.5-2015-498).

Poi è chiaro che un conto è una persona con la malaria e un altro è il contagio della stessa, passaggio ben più improbabile, dalle nostre parti. Tuttavia – lasciando comunque da parte, lo ribadisco ancora una volta, il caso di Trento, i cui approfondimenti sono ancora in corso – affermare che la gran parte dei casi di malaria in Italia non siano stati riscontrati in persone di origine straniera, e negare che la gran parte dei ricoverati e degli assistiti nei nostri ospedali in tal senso fossero non italiani significa, molto semplicemente, negare l’evidenza. E cioè, paradossalmente, fare lo stesso gioco di chi soffia sul fuoco dato che non c’è miglior modo per stemperare tensioni e disinnescare polemiche, che l’onestà intellettuale.

Giuliano Guzzo

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