L’eredità che ci lascia il cardinal Carlo Caffarra (1938-2017) è realmente immensa e non certo riassumibile, neppure per sommi capi, in poche battute. I tantissimi che lo hanno conosciuto, frequentato e amato potranno senza dubbio confermare. Ma lo può confermare anche chi, come il sottoscritto, pur avendolo incontrato di persona, lo ha soprattutto letto e studiato, rintracciando nella sua opera non solo il riflesso di una cultura sterminata, ma anche – soprattutto, direi – di un’intelligenza viva, capace di leggere e anticipare i tempi.

Dimostrazione di ciò lo si ha nella capacità che Caffarra ebbe di cogliere l’importanza, negli ultimi anni divenuta decisiva, della partita antropologica per quanto concerne sia la difesa della bellezza e della santità del matrimonio, sia quella differenza sessuale a prima vista elementare ma oggi minacciata dall’ideologia cosiddetta del gender. Non è un caso che già decenni fa, quello che fu il ghost writer sui temi della bioetica e della morale di un certo Giovanni Paolo II (1920-2005), insistesse con forza sul valore della mascolinità e della femminilità.

Una conferma la si ritrova nel suo testo Etica generale della sessualità (Ares, 1992), laddove egli sottolineava e spiegava ciò che oggi, 25 anni dopo, converrete, è drammaticamente urgente ribadire: «L’uomo è maschio o femmina. E anche già a questo livello di immediatezza nell’osservazione […] L’uomo, prima di essere italiano o francese o prima di essere avvocato o medico o (e le classificazioni potrebbero continuare ancora più a lungo), è maschio o femmina». Ora, perché Caffarra rimarcava l’ovvio, affermando che «l’uomo è maschio o femmina»?

Semplice: perché sapeva che l’ovvio, presto – in una sorta di rovesciamento della logica e, culturalmente, di finestra di Overton al contrario – sarebbe stato destinato a divenire discutibile, minoritario, quindi rivoluzionario. Esattamente com’è oggi dire che «l’uomo è maschio o femmina». Un’affermazione, anzi una constatazione dinnanzi alla quale non bisogna avere incertezze di alcun tipo. Perché – disse sempre il cardinale ieri scomparso, in una conferenza tenuta il 16 gennaio 1996, una vita fa – «L’uomo e la donna portano impressa in se stessi l’immagine di Dio e sono così interiormente “riferiti”, appunto “ricapitolati in Cristo”».

«Nessuna forza avversa – aggiunse poi – sarà in grado di distruggere questo orientamento. E’ necessario solo essere vigilanti nella propria coscienza interiore per fare quella giusta scelta di campo per la salvezza dell’uomo. E’ necessario non avere paura. La forza divina è di gran lunga più potente, smisuratamente più grande del male che opera oggi per distruggere matrimonio e famiglia». Aveva insomma capito, con straordinario anticipo, che la battaglia contro la famiglia sarebbe arrivata alle negazione dell’uomo e della donna. Anche di questo, oltre che di tutto il resto, occorre essergli grati. Riposi in pace.

Giuliano Guzzo

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«Un passo gigantesco oltre la sociologia» (Tempi)

«Bellissimo libro» (Silvana de Mari, medico e scrittrice)

«Un libro che sfata le mitologie gender» (Radio Vaticana)

«Un’opera di cui ho apprezzato molto l’ironia» (S.E. Mons. Luigi Negri)

«Un lavoro di qualità scientifica eccellente» (Renzo Puccetti, docente di bioetica)

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