In casa piddina sono giorni, questi, di accesa per non dire infuocata discussione sull’emergenza denatalità; fatto decisamente storico, considerando che da quelle parti un discorso sensato capita, in media, una volta ogni lustro. Tuttavia secondo alcuni pure questa frequenza è eccessiva, quindi giù polemiche contro la questione demografica: roba da Dc anni ’50 e ridicola, anzi becera retorica fascistoide. Questo il tenore dei ragli, pardon dei commenti. Il Pd rischia così, in men che non si dica, di vanificare la sola occasione che si è dato, dopo molto tempo, di occuparsi di una cosa seria: l’inverno demografico, appunto.
Un fenomeno che, fino a ieri – nella fervida fantasia di qualcuno –, sarebbe dovuto essere arginato dall’immigrazione. Ora invece si è compreso, checché ne dica Boeri, che gli immigrati non ci salveranno affatto, e quindi sarebbe il momento, finalmente, di parlare di quello che all’Italia più manca: le culle. Gli specialisti, del resto, lo denunciano da anni con tutto il fiato che hanno. Era la bellezza di quattordici anni fa, per dire, quando Antonio Golini, statistico, accademico dei Lincei nonché direttore della prima rivista di demografia del mondo, lo diceva chiaramente: «Italiani a rischio estinzione» (Il Giornale, 9/11/2003). Ora, pensate gli abbiano dato retta?
Macché. E pensare che la nostra penisola, proprio sulla demografia, è già crollata clamorosamente una volta: con l’Impero romano. Sono difatti gli storici a sostenere come, nel declino dei Romani, un ruolo decisivo l’abbia avuto il crollo della natalità (cfr. De Jaeghere M. Les derniers jours, Tempus Perrin 2014), che portò i 55-60 milioni di abitanti dell’epoca di Augusto ad appena 25-30 milioni nel tardo Impero (cfr. Chaunu P. Un futur sans avenir, Calmann-Lévy 1979). La sola Roma, pur restando la più grande città dell’Occidente altomedievale, rispetto agli splendori passati perse qualcosa come il 90% della sua popolazione (cfr. AAVV. Storia medievale, Donzelli 2003).
Non si tratta dunque d’agitare spauracchi né di rispolverare retoriche littorie, ma solo di capire che storia si ripete. Anzi, si sta già ripetendo. E che di questo non si possa (ancora) parlare serenamente, la dice lunga sulle condizioni disperate in cui versiamo, col sostanziale divieto di occuparci della realtà o, se preferite, della storia appunto. Sorge così il sospetto che il vero errore di Patrizia Prestipino, membro della direzione nazionale del Pd – la quale, sia pure assai maldestramente, ha dato l’appoggio al Dipartimento Mamme voluto da Renzi -, non sia stato di parlare della salvaguardia della «razza italiana», ma di dimenticarsi che la razza, oramai, è un’altra. L’italiota.
*****
«Un passo gigantesco oltre la sociologia» (Tempi)
«Bellissimo libro» (Silvana de Mari, medico e scrittrice)
«Un libro che sfata le mitologie gender» (Radio Vaticana)
«Un’opera di cui ho apprezzato molto l’ironia» (S.E. Mons. Luigi Negri)
«Un lavoro di qualità scientifica eccellente» (Renzo Puccetti, docente di bioetica)
Ordinalo in libreria oppure acquistalo subito su Amazon
Non ho seguito gli ultimi sviluppi o esternazioni di esponenti PD o di chi altri sull’inverno demografico italiano. Più che di inverno (cui di solito segue la primavera) io parlerei di apocalisse demografica italiana. Gli italiani sono destinati irrimediabilmente all’estinzione. Non è una previsione di sciagura ma una realtà statistica legata al tasso di (de)natalità che è iniziata a delinearsi ormai da circa 25 anni (Giuliano, è il suo mestiere, può/deve correggermi sul dato). Di sicuro si può individuare la causa del fenomeno. Divorzio e aborto e anti-cultura femminista che ha ingannato milioni di donne (e di uomini) inculcando loro il velenoso concetto che in fondo metter su famiglia e far figli non era poi così fondamentale e che la “libertà” di far ciò che si vuole veniva prima di tutto: fare, disfare, rifare e disfare di nuovo famiglie, distruggere nei figli l’immagine della fedeltà e dell’amore familiare, creando così generazioni di giovani insicuri, disillusi, pregni di egoismo e instabili; uccidere bimbi nel grembo materno (quanti milioni di italiani abbiamo fatto fuori in 40 anni?); moltiplicare nuclei familiari con, al massimo, un figlio. Realtà questa che spesso (non sempre: è un’analisi fenomenologica, non un giudizio valido per ogni singolo caso), porta a far crescere ragazzi/e ansiosi e iper protetti, incapaci di relazionarsi, con genitori che concentrano sull’unico genito ogni loro ansia e aspettativa.
Oggi siamo arrivati al capolinea, con unioni gay, sfruttamento del grembo delle madri per soddisfare i capricci di facoltosi ometti, uccisione di deboli, disabili e anziani per … “dignità”.
E con tutto questo ora ci stupiamo che stiamo… sparendo dalla faccia della terra? La Chiesa, noi, io, è riuscita in questi anni a arginare questo attacco, parlando sempre forte e chiaro?
Il problema è certamente non il tasso di natalità complessivo che si registra in Italia, ma più specificatamente il tasso di natalità degli italiani, quelli veraci, quelli che tali sono da generazioni. Se tra gli italiani lo scarto natalità-mortalità registra valori negativi, di contro quello della popolazione straniera presente in Italia (che costituisce l’8% della popolazione complessiva) è positivo, seppur in leggero calo negli ultimi anni. In poche parole, sostituzione etnica, che non verrà certo evitata per mezzo delle acquisizioni della cittadinanza italiana da parte degli allogeni.
Un problema grosso, che pagheremo a caro prezzo, soprattutto chi è nato a partire dagli anni ottanta, che com’è noto, è il decennio in cui il nostro paese è precipitato nella crescita zero, poi diventata regresso demografico un decennio più tardi.
Le cause di tutto ciò sono state correttamente spiegate nel commento che mi precede. Ma aggiungo una cosa: gli italiani alle elezioni non votavano il duetto maledetto Pannella-Bonino, eppure si sono fatti lavare il cervello da costoro, che propugnavano alle masse aborto, contraccezione coatta, individualismo sfrenato, libertinismo assoluto, irresponsabilità totale, ecc.
Non so se sia stato il crollo della natalità a portare al declino Roma imperiale (ho dei dubbi…). Certamente in Occidente in generale, e in alcuni Paesi in particolare (ad esempio Italia e Germania) si fanno ORA meno figli e i “valori” degli ultimi anni sono sconfortanti in prospettiva di “tenuta” demografica.
I figli sono “pochi” per motivi economici, per motivi sociali, per i ritmi sfrenati che la moderna società porta, ecc… Ma a mio parere il problema é prevalentemente culturale: al giorno d’oggi la coppia si mette insieme senza più trovare implicitamente “ovvio” e “naturale” mettere al mondo la prole, punto. E se decidono di darsi degli eredi ciò viene fatto sempre più in età avanzata (quanto sono ridicoli i genitori a 50-60 anni, che ne pensate?).
Non c’é altro da dire se non, forse, che tra l’uomo e la donna é proprio la seconda che ha “ceduto” improvvisamente e senza possibilità di “ritorno”. Mettiamoci il cuore in pace, tempo 50 anni e dell’Occidente e dell’Italia (come li conosciamo…) resterà ben poco.
Amen, alleluia!
Tutto giusto nei commenti sopra. Ma manca una cosa fondamentale: chi ci insegna che è giusto e bene fare figli? La Chiesa, che si è chiamata totalmente fuori da sessant’anni. Perché l’eresia è forte nelle mura vaticane. E poi gli italiani non sono ancora un popolo e una nazione, perciò lo stato non esiste. Comunque teniamo duro altri 30-4p anni con speranza: estinti gli italioti rimarranno solo musulmani, ebrei e neocatecumenali. Allora potremmo costruire un bel paese.
Non sono un sociologo ma osservo quanto accade intorno a me e quindi non sono per nulla convinto che le cause della denalità italiana siano quelle elencate con tanta dovizia da Giuseppe.
Da diversi anni trascorro l’intera stagione estiva a Mentone, da dove scrivo, e frequento buona parte della cosiddetta “costa azzurra” e da sempre noto che il numero dei bambini francesi che si vede in giro è incredibile. Le strade, i negozi e le spiagge sono piene di coppie giovani che portano a spasso i marmocchi in ogni luogo. L’aspetto più sorprendente è il numero dei carrozzini doppi spesso spinti dai papà, al cui seguito ci sono la mamma, un fratellino saltellante e l’immancabile cane. A Milano in percentuale si vedono in giro soltanto cani e persone anziane.
E non si può certo affermare che in Francia non ci siano le coppie di fatto o le unioni gay, che i divorzi siano pochi, che non si usi la contraccezione, che le interruzioni di gravidanza siano una rarità o che la cultura femminista non si sia diffusa.
Non si fanno figli soprattutto quando gli stessi rappresentano un problema di difficile gestione e in Italia, al di là delle belle chiacchiere, i figli sono un problema e non soltanto economico. Lo sono per le mamme che lavorano, lo sono per quelle coppie non in grado di garantirsi un futuro adeguato e sereno e lo sono perché oggi in Italia la maternità non è più un valore. Nelle aziende private si preferisce disfarsi delle donne diventate mamme o in attesa, per non parlare delle difficoltà da affrontare durante l’adolescenza dei figli e nel resto del percorso.
In queste condizioni è difficile che in un giovane prevalga l’istinto genitoriale, salvo errori di percorso, preferendo piuttosto la disanima dei pro e dei contro, che si conclude spesso con il prevalere dei contro. Del resto anche la mia generazione, quella che ha messo su famiglia nell’arco degli anni ottanta e quindi in tempi diciamo pure non sospetti, è stata parecchio oculata. Nessuno tra i miei amici e compagni di studi per esempio ha avuto più di due bambini e questa è stata la nostra e la loro – quella dei figli – fortuna. E’ stato possibile garantir loro venticinque anni di serenità nei quali hanno potuto crescere, studiare e costruire il proprio avvenire nel migliore dei modi.
Una condizione questa che per molti, forse per troppi, rappresenta oggi un mito: “Come l’araba fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
La situazione francese in termini di tasso di natalità non é molto migliore della media dei paesi occidentali; siamo comunque al limite del ricambio fisiologico. Per dire, insomma, che la Francia non é poi tanto una “oasi felice”…
Secondo me i figli non possono considerarsi “un problema di difficile gestione” ne possono dipendere dalle condizioni al contorno (lavoro, legislazione abortista, valore in se della maternità, ecc…). I figli sono soprattutto conseguenza dell’amore di coppia e dentro la coppia trovano giustificazione; più c’é “ragionamento” e “programmazione” e meno può trovare attuazione completa (forse) l’amore stesso. I figli fanno guardare al futuro e più lo sguardo al futuro é ragionato e condizionato più ci si allontana dal vero motivo (non solo antropologico) per cui cé l’amore di coppia.
Poi ci sono mille situazione per cui é difficile “fare” figli e tutto sommato é anche giusto che ci sia un minimo di responsabilità nel mettere al mondo nuove persone. Ma ormai, soprattutto in occidente, siamo ben oltre la fase del “massimo 2” figli… con zero prospettive di inversione di tendenza. Del resto non é la fine del mondo: il ciclo delle razze, delle società, dei modelli culturali, ecc… non può che essere figlio della caducità ineluttabile che caratterizza l’Uomo. La cosiddetta “civiltà occidentale” ha dato (poco) e ha avuto (molto); é ora che passi le consegne.