Parigi e la Francia intera sono ripiombate nell’incubo terrorismo. E’ successo ieri, alle 20:53, quando un uomo armato di kalashnikov ha aperto il fuoco nel cuore della capitale, sugli Champs Elysee, al numero 104, proprio davanti alla sede del grande magazzino Marks & Spencer. Gli obbiettivi del killer, rimasto ucciso mentre tentava la fuga, erano – secondo diverse testimonianze – gli agenti di polizia, uno dei quali purtroppo è morto mentre due, al momento in cui scriviamo, sono rimasti feriti. Anche se non sembrano esservi dubbi sul fatto che si sia trattato di terrorismo, pare non vi siano ancora certezze definitive sull’identità dell’attentatore.

Dovrebbe comunque trattarsi, da quanto è dato sapere al momento, di Youssef El Osri, uomo non solo già noto ai servizi segreti francesi (avrebbe già sparato a un agente nel 2001) ma pure, hanno riportato alcune fonti, schedato come radicalizzato a rischio di attentati. Secondo la rete Bfmtv aveva scritto su Telegram, in una sorta di rivendicazione anticipata, di «voler uccidere degli agenti di polizia». Di certo c’è che Telegram è una piattaforma già impiegata dai terroristi dell’Isis come sistema di comunicazione. E altrettanto sicuro è che alcune ore dopo la sparatoria, attraverso l’agenzia di stampa Amag, l’Isis ha fatto pervenire la propria rivendicazione. Fin qui, i fatti.

Fatti che pur nella loro drammaticità, inutile negarlo, si configurano come ripetizione di un copione già visto: ancora l’atto terroristico di un uomo isolato (anche se probabilmente con dei complici), ancora come un soggetto radicalizzato e noto ai servizi, ancora paura e ancora sangue innocente. Abbastanza, direi, per augurarsi che la Francia – che si appresta a recarsi alle urne, per un voto dagli esiti tanto incerti quanto potenzialmente sconvolgente, specie se la spuntasse Marine Le Pen – ma soprattutto l’Europa e più in generale tutti coloro che vogliono davvero sconfiggere il terrorismo, la piantino con l’ipocrisia e inizino a dirsi le scomode verità finora taciute.

La prima scomoda verità che il terrorismo, oggi, è quasi esclusivamente terrorismo islamista. Inutile girarci attorno, è così. Basti ricordare che, dai dati più aggiornati a livello globale, quelli del 2015, sappiamo come le tre realtà maggiori del terrorismo mondiale siano tutte, indovinate un po’, di chiara matrice islamista. Si tratta di fatti dell’Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL) – con 6.050 vittime -, di Boko Haram – con 5.450 vittime – e dei Talebani, con 4.512 vittime, (Annex of Statistical Information, Country Reports on Terrorism, 2016). Ora, tutto ciò qualcosa vorrà dire, no? E se le cose stanno così, perché continuare a parlare di terrorismo, senza specificarne la tipologia?

Un’altra scomoda verità riguarda il fatto che, se è opportuno frenare l’immigrazione, il terrore islamista di matrice sunnita, come europei, ormai l’abbiamo comunque in casa. Qualche numero? Quando scattò per la prima volta l’allarme sul fenomeno dei foreign fighters, all’inizio del 2014, già si stimava che un numero tra i 3.000 ed i 5.000 di essi avesse fatto rientro nei Paesi di provenienza. Parliamo, si badi, di oltre tre anni fa. Vi sono stime che dicono come la sola Francia, ad oggi, potrebbe ospitare migliaia, forse fino a 7.000 tra estremisti, potenziali terroristi o soggetti radicalizzati. Davanti ad un fenomeno di queste dimensioni una pur doverosa stretta sull’immigrazione non basterebbe affatto.

Ben più urgenti ed efficaci, invece, sarebbero da un lato delle verifiche a tappeto sui soggetti già «noti ai servizi» e, dall’altro, più monitoraggi delle carceri, teatro di tante radicalizzazioni, e di quelle moschee che non solo danno spazio a imam che nei fatti altri non sono che predicatori d’odio, ma risultano spesso destinatarie di lauti finanziamenti dal Qatar, che è anche – guarda caso – il principale sponsor dei Fratelli Musulmani e di altri gruppi terroristici islamici in Medio Oriente e Africa. Ora, cosa se non l’ipocrisia ci può far dire che combattiamo il terrore, se lasciamo finanziare le moschee europee da coloro che supportano pure estremismo e terrorismo islamista?

La terza scomoda verità che dobbiamo trovare il coraggio di ammettere è quella che riguarda la necessità di rivedere i rapporti non solo col Qatar, ma con tutti coloro che sostengono a vario titolo il terrorismo. Ricordiamo, a questo proposito, come la Francia che si è ritrovata nuovamente colpita dal terrorismo sia lo stesso Paese i cui massimi vertici politici, nel solo 2015, ben tre volte si sono recati in Arabia Saudita stipulando contratti per circa di 10 miliardi di euro, soldi che coprivano anche una copiosa fornitura di armi prodotte in Francia. Armi finite a chi? Probabilmente pure a realtà fondamentaliste, quali l’Isis. Assurdo, è vero, ma purtroppo assai realistico.

Tutto questo per dire che se da una parte è più che doveroso stringerci ai nostri cugini francesi, nuovamente colpiti, dall’altra se non ci decidiamo a parlare di terrorismo islamista, cestinando la più generica e politicamente corretta voce «terrorismo», a pretendere chiarezza sui finanziamenti delle moschee e ricalibrare affari con Paesi notoriamente vicini agli estremisti, condurremo una finta guerra al terrore. Questo, anche la corsa all’Eliseo la vincesse la Le Pen, dev’essere chiaro. L’immigrazione e i cosiddetti migranti costituiscono difatti solo un aspetto, ad oggi, della questione terrorismo. Che è ora e tempo che ci si racconti fino in fondo.

Giuliano Guzzo

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