Enumerare compiutamente tutti gli inganni e tutte le trappole che stanno dietro alle strombazzate Disposizioni anticipate di trattamento (o DAT), richiederebbe uno sforzo francamente eccessivo – soprattutto per la pazienza del lettore, s’intende -, per cui preferiamo limitarci a tre telegrafiche considerazioni, nell’auspicio possano agevolare la comprensione della colossale fregatura che il nostro Parlamento, col biotestamento, sta rifilando al popolino, certo che la gente comunque non se ne accorga.

La prima trappola è quella della distinzione tra le DAT e l’eutanasia. Peccato che col biotestamento si potrà rifiutare qualunque supporto vitale, cosa che cagionerà la morte del cittadino che l’ha sottoscritto e una delle due varianti eutanasiche – l’eutanasia omissiva (o passiva consensuale) – si sostanzi, alternativamente all’iniezione letale, proprio nella sottrazione di ciò che tiene in vita una persona, determinandone il decesso. Non a caso il primo biotestamento fu presentato nel 1967 dall’avvocato Luis Kutner per conto, indovinate un po’, dell’Eutanasia Society of America

Un secondo, clamoroso inganno che i promotori del biotestamento, dentro e fuori il Parlamento, hanno perpetrato (e continuano a perpetrare, certi che nessuno li smaschererà) ai danni degli italiani, è stato quello di far credere che una legge sul cosiddetto fine vita, in Italia, non esista. Invece, signori, è vero l’opposto. Una norma di questo tipo il nostro Paese la possiede ed è entrata in vigore il 15 marzo 2010, come la legge n.38 per le «Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore».

La conoscevate? Suvvia, dài, non dite bugie. E’ normale non conoscerla. Una recente analisi condotta su oltre 13.300 schede compilate compilate da pazienti e familiari ha evidenziato che il 63 per cento delle persone interpellare non sapeva che l’Italia possiede una legge specifica contro il dolore. Eppure tra i pazienti che hanno potuto usufruire dei servizi dedicati alle cure palliative, il 70 per cento si dichiara soddisfatto e l’80 ha apprezzato pure le qualità umane e professionali del personale impegnato negli hospice o nei centri di terapia del dolore.

La domanda ora è: com’è possibile che due italiani su tre, a distanza di sette anni dalla sua entrata in vigore, ignorino l’esistenza della legge – quella vera – sul fine vita? Chiaramente i medici non c’entrano nulla: il punto, qui, è squisitamente istituzionale e politico. Abbiamo difatti istituzioni impegnate con l’approvazione del biotestamento perché ci tengono – ma che cari! – alla nostra libbbertà di poter rifiutare le cure. Ma se il cittadino medio manco sa dell’esistenza di cure fondamentali contro il dolore e della legge che le prevede, beh, fattacci suoi. E’ l’autodeterminazione, bellezza.

Giuliano Guzzo

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