La Passione di Gesù, storicamente, fu preceduta e accompagnata dallo svolgimento di un processo. Un processo che si concluse come tutti sappiamo, ma che non fu – diversamente da come si potrebbe pensare – un processo irregolare o non valido: tutt’altro. Piero Pajardi (1926-1994), magistrato e raffinato studioso, si è occupato approfonditamente della vicenda arrivando a questa spiazzante conclusione: «Gesù ebbe un regolare processo. Certo un processo manchevole, se possiamo dire così, rispetto al processo penale attuale quale è venuto a raffinarsi dopo duemila anni. Ma certamente processo essenzialmente valido, e tutto considerato assai più valido di qualunque altro processo in qualunque altro ordinamento degli Stati contemporanei. In fondo, quando al tempo tecnico, a prescindere dalla gravità del reato e della pena, un processo per direttissima oggi non durerebbe strutturalmente di più» (Il processo di Gesù, Giuffrè editore, Milano 1994, p.76).
D’altra parte, checché se ne dica sulla presunta inattendibilità dei Vangeli, sulla sull’arco temporale che va dall’arresto di Gesù alla sua crocifissione c’è una tale abbondanza di elementi che non lascia spazio a dubbi: il processo ci fu e fu – come concluse, fra gli altri, il citato Pajardi – indubbiamente valido. Tanto che non mancano pagine sconvolgenti del celebre filosofo e giurista positivista Hans Kelsen (1881–1973), il quale commentò in termini sostanzialmente positivi quel processo. Se ne potrebbe concludere, alla luce dell’innocenza di Gesù – che perfino dalla croce chiese perdonò per i suoi carnefici, arrivando ad assicurare il Paradiso ad uno dei due ladroni -, che a volte la giustizia umana è purtroppo imperfetta. Tuttavia si tratterebbe, per quanto certamente corretta, di una valutazione parziale. Il dato in assoluto più grave e centrale è difatti un altro, vale a dire l’abisso cui può condurre un sistema non solo giudiziario, ma politico e sociale che si affida ciecamente alle sue procedure formali.
La rinuncia alla ricerca del vero, l’idea che la verità sia in fondo affare di poco conto e interessante solo per qualcheduno un po’ fissato è, in assoluto – oltre naturalmente all’inettitudine dei suoi stessi discepoli, Pietro in primis, a difenderLo – ciò che ha più di tutto segnato il destino di Gesù. Questo dato storico prima che religioso, fattuale prima che di fede, dovrebbe quindi interpellare tutti. Perché la scorciatoia del quieto vivere e dell’indifferenza, e soprattutto la convinzione che basti la Costituzione-più-bella-del-mondo o la Corte Costituzionale, l’ordinamento giuridico nel suo insieme o la saggezza del Legislatore, è quanto di più incauto vi possa essere; eppure corrisponde, se ci pensiamo bene, all’atteggiamento più diffuso: in ciascuno di noi, s’intende. Del resto, nella vita più ancora che nelle dinamiche processuali, mettersi in cammino verso qualcosa di impegnativo e vertiginoso come la verità costa: eccome se costa. Ma è il solo modo che abbiamo per non ritrovarci a dover ammettere, un domani, che alla giustizia abbiamo preferito la pigrizia, e la comodità, appunto, alla Verità.