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Il culto dei morti è una realtà presente non solo in quasi tutte le religioni del mondo, ma che accompagna la storia dell’umanità da sempre: tracce di cure dei vivi nei confronti dei defunti, infatti, si ebbero già nel Paleolitico e tutta una serie di scoperte archeologiche conferma antichità e importanza del fenomeno. Pochi anni fa, per esempio, sono stati scoperti nella Bassa Galilea, in Israele, i resti di una settantina di tartarughe cotte di un banchetto risalente – è stato stimato – a 12.000 anni fa, considerato oggi come il più antico della storia. Ebbene, secondo il gruppo di ricerca responsabile di quella scoperta, si trattava di un banchetto funebre. Oltre che dall’universalità e dall’antichità, la rilevanza del culto dei morti è attestata anche dai modi con cui è stato osservato, anche se questo è più che altro sempre dipeso dalla classe sociale del defunto: se infatti da un lato di alcuni morti abbiamo pochi e poveri resti, dall’altro sappiamo che quando morì Filippo II di Spagna (1527–1598), per esempio, le chiese dell’intero Paese suonarono a lutto per ben nove giorni.

Che c’entra questa premessa storica e antropologica con le ultime vignette di Charlie Hebdo? C’entra, eccome se c’entra. Il primo motivo infatti per cui è giusto indignarsi per le vergognose vignette con cui rivista francese (che se continua ad esistere, meglio sottolinearlo, è perché comprata) ha inteso fare satira sulle vittime del terremoto del Centro Italia, è proprio questo: ironizzando su terremotati e vittime, non solo non si è avuto rispetto del dolore di centinaia di persone e del lutto di un Paese intero, ma si è platealmente violato quel culto dei morti che – qui il senso di quanto poc’anzi riportato – è connaturato alla storia umana. Da questo punto di vista, risultano abbastanza demenziali le osservazioni di coloro che fanno presente come sia sbagliato prendersela con la satira solo quando questa metta nel mirino alcuni anziché altri; ma da quando in qua – scusate – la satira su famiglie e bambini sepolti dalle macerie è stata difesa a seconda della nazionalità delle vittime? Dove sarebbero coloro che, ieri, hanno definito giusta l’offesa dei defunti solo perché questi erano di altri Paesi? Consiglierei a quanti hanno condiviso un simile pensiero, anziché di tuonare contro esseri immaginari, di posare il fiasco.

Una seconda osservazione circa la gravità della vignetta della rivista francese – seguita da un’altra altrettanto penosa, nella quale si insinua che in Italia le case le costruisca la Mafia e non Charlie Hebdo, nella cui redazione non devono però avere idea di dove sia Amatrice, che con la Mafia c’entra come i cavoli a merenda – la si può fare osservando la schizofrenia culturale di un Occidente in cui, da una parte, il politicamente corretto sta imbavagliando il lessico quotidiano, e, dall’altra, si consente di non avere rispetto neppure dei morti. Succede così che non si possano più dire, pena le accuse peggiori, parole fino a pochi anni fa ordinarie come «vecchio» (rimpiazzato con «anziano»), «negro» (rimpiazzato con «persona di colore»), «handicappato» (rimpiazzato con «diversamente abile»), e fra poco neppure più «padre» e «madre» (rimpiazzati con «genitore 1» e  «genitore 2»), ma però si arrivi, in nome di discutibilissima “satira”, addirittura a giustificare l’offesa deliberata e gratuita nei confronti di morti innocenti. Un modo davvero parecchio curioso – oltre che totalmente contraddittorio – di considerare la libertà espressione, questa sì invocata solo quando fa comodo.

La terza ed ultima osservazione che vorrei condividere a proposito delle ultime, gravissime vignette di Charlie Hebdo chiama in causa proprio questo: il concetto di libertà. Una libertà che, nell’Europa nell’Occidente di oggi, si vuole assoluta non solo per l’espressione culturale ed artistica, ma anche per quanto concerne per esempio la tecnoscienza, che nonostante alcuni paletti ormai sempre più deboli sta progressivamente giungendo a sperimentazioni sempre più estreme; è per esempio notizia di queste settimane, che il governo Usa potrebbe presto sbloccare i fondi per finanziare la ricerca sull’associazione di cellule staminali umane a embrioni animali, per la creazione di “chimere”, cioè embrioni ibridi umano-animali. Che c’entra – si ci potrebbe nuovamente chiedere – questa notizia con lo squallore inaudito di certa satira francese? Apparentemente nulla, in realtà molto. Infatti sia le vignette che arrivano ad offendere i morti sia sperimentazioni sempre più azzardate, sia pure da punti di vista distinti, denunciano una cosa, e cioè la mostruosità a cui può condurre una libertà assolutizzata e trasformata in arbitrio. Una libertà dunque insostenibile e da ripensare perché, da principio fondante una civiltà, si sta sempre più rivelando indice del tramonto della nostra.

Giuliano Guzzo