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Una delle caratteristiche più interessanti dell’opposizione politica e culturale alla pratica della cosiddetta maternità surrogata consiste nel fatto che a sostenerla sono soprattutto donne e movimenti di matrice femminista. Lo si è visto a Parigi a primi di febbraio di quest’anno, con un convegno per l’abolizione universale dell’utero in affitto organizzato da tre sigle di insospettabili di simpatie conservatrici: Cdac, Collettivo diritti delle donne, guidato da Maya Surduts e Nora Tenenbaum, Clf, Coordinamento lesbiche francese, presieduto da Jocelyne Fildard e Catherine Morin Le Sech, e Corp, Collettivo per il rispetto delle persone.

Anche in Italia settori importanti del movimento femminista si sono mobilitati contro la cosiddetta maternità surrogata. Si pensi, su tutte, ad una rappresentante storica e nota a livello mondiale come Luisa Muraro, autrice peraltro di un libro fresco di stampa e dal titolo inequivocabile: L’ anima del corpo. Contro l’utero in affitto. Degno di nota è anche l’attivismo contro quella che alcuni chiamano assai discutibilmente “gestazione per altri” da parte di Francesca Izzo, filosofa, docente universitaria nonché una delle autorevoli del movimento femminile nato nel febbraio 2011, Se non ora quando? Ora, gli interventi di Francesca Izzo contro l’utero in affitto non sono esattamente una novità: se ne leggono già da diverse settimane.

Tuttavia quello pubblicato ieri sulle pagine de L’Unità – testata, pure questa, che è difficile tacciare di simpatie ecclesiastiche – da parte della filosofa e studiosa di Thomas Hobbes (1588–1679) e Antonio Gramsci (1891-1937), è particolarmente interessante perché fa a pezzi, da un punto di vista certamente non conservatore, l’idea che, allorquando non vi è imposizione né sfruttamento, la pratica dell’utero in affitto sia legittima in quanto espressione dell’autodeterminazione. Sbagliato, ribatte la filosofa, proponendo un argomentare che, per quanto muova da premesse non condivisibili (l’autodeterminazione è intesa in modo assai estensivo ed abortista, pertanto moralmente inaccettabile), risulta certamente interessante.

Proprio per questo, vale la pena lasciare la parola all’autrice di queste considerazioni, che sarebbe bene leggere ad alcuni parlamentari del Partito Democratico. Scrive Francesca Izzo: «L’autodeterminazione non significa automaticamente che ogni donna abbia l’assoluta, autonoma padronanza sulla maternità, né tantomeno che abbia il diritto ad essere madre. L’autodeterminazione, concetto assolutamente valido per l’interruzione del processo, non risulta altrettanto adeguato a dar conto del completamento del processo della maternità, perché in questo caso la donna non è il solo, unico soggetto coinvolto. C’è il partner/padre e soprattutto c’è il bambino.

La donna è libera di essere o non essere madre – continua la filosofa – e solo lei può deciderlo ma, se decide di esserlo, la sua libertà viene intrinsecamente connessa alla responsabilità verso l’altro (bambino). La maternità libera lascia emergere la figura della “libertà in relazione”. La sua libertà trova il limite nella libertà del bambino che non può e non deve perderla diventando oggetto di dono o di scambio mercantile. Sostenere come si sta facendo nella discussione sulla maternità surrogata che la condanna di questa pratica mette a rischio l’autodeterminazione femminile conquistata con la legalizzazione dell’aborto significa non averne chiari i fondamenti.

Come abbiamo visto, solo attribuendo dignità esistenziale all’intero processo procreativo e alle donne la titolarità soggettiva di esso si è affermata l’autodeterminazione e la libertà di non diventare madri. Ma se si accetta, come nella maternità surrogata anche quella solidaristica, di spezzare l’unitarietà del processo, di segmentarlo in ovociti, gravidanza e neonato, togliendo alla gravidanza ogni “pregnanza” fisica, emotiva, relazionale e simbolica, facendone un processo meccanico/naturale, si incrinano le basi stesse dell’autodeterminazione. Paradossalmente in nome della libertà si espropriano le donne di ciò che la determina e la fonda» (L’Unità, 3 Maggio 2016, p. 14).

Giuliano Guzzo