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Un kickboxer di alto livello, dei residenti in Italia, donne e uomini giovani e svegli che si scambiano messaggini su Whatsapp: il quadro che emerge dalle indagini che hanno portato, nelle scorse ore, gli agenti della Digos e militari del Ros ad effettuare alcuni arresti per terrorismo è lontano anni luce da quella povertà estrema e da quel rifiuto da mancata «integrazione» che – a detta di intellettuali, rappresentanti delle Istituzioni e taluni alti prelati – sarebbe il vero detonatore del terrore.

Ora, che l’«integrazione» col terrorismo islamista c’entrasse come i cavoli a merenda, in realtà, era cosa nota almeno a partire da quell’11 settembre 2001 che, probabilmente, mai vi sarebbe stato senza la cellula terroristica capeggiata dall’egiziano Mohammad Atta, un signore che prima di sfracellarsi contro le Torri Gemelle di Manhattan conseguì, col massimo dei voti fra l’altro, un dottorato di ricerca in architettura all’università di Amburgo.

Siccome però il ritornello della mancata «integrazione», dopo quanto accaduto in Francia e Belgio, era tornato prepotentemente in auge, sarebbe stato bello – in occasione degli arresti di questi giorni – sentire qualcuno della nota banda del politicamente corretto intonarlo nuovamente e spiegarci che i fermati dalla polizia altri non sono, poveracci, che reietti, gli ultimi di una società opulenta e incapace di accoglierli. Invece tutti hanno taciuto. Per la nuova riproposizione di queste boiate, ahinoi, tocca aspettare.

Giuliano Guzzo