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Sono sempre rimasto affascinano dal silenzio che circonda le notizie più rilevanti, ma devo dire che non mi aspettavo che l’annuncio della fusione tra i gruppi che possiedono Stampa e Repubblica (e Secolo XIX) passasse così, come una cosetta da poco e infinitamente meno importante di un tweet di Fedez contro Salvini o di un post di Selvaggia Lucarelli. Voglio dire: due dei tre maggiori quotidiani italiani, da oggi, sono nelle mani della stessa proprietà. A lato pratico significa che, almeno potenzialmente, da domani mezzo milione di copie potrebbero ripetere le stesse verità e le stesse menzogne: vi pare poco? E’ vero che, nella sostanza, le cose erano già così – su molti temi Repubblica, La Stampa e lo stesso Corriere vendono la stessa versione, e il direttore di Repubblica lo è stato, per anni, de La Stampa, dopo aver già lavorato per Repubblica – ma che la cosa diventi a tutti gli effetti ufficiale, cioè che un soggetto unico controlli di fatto due colossi dell’informazione, un minimo di preoccupazione dovrebbe sollevarlo.

Il riferimento non è evidentemente al sottoscritto, che coi tentativi di manipolazione e lo smascheramento di bufale un tanto al chilo, in fondo, si balocca, ma ai sedicenti paladini della democrazia. «Siamo a livelli di impurità assolutamente inediti, e alla disintegrazione di ogni solidità e indipendenza identitaria delle testate», commenta Luca Sofri sul Post ed ha ragione. Ci si è per anni stracciati le vesti per il patrimonio televisivo di Berlusconi ma qui, signori miei, la notizia è altrettanto grave, anzi peggiore per quanto mi riguarda. Per quanto agonizzante sia la carta stampata, infatti, chiunque abbia vaga dimestichezza col sistema dei media sa che le copie dei giornali non si contano, ma si pesano. La mente di mezzo milione di magistrati, insegnanti, avvocati e imprenditori, fra gli altri, da domani, avrà lo stesso mangime e sempre meno anticorpi contro l’omologazione saranno nelle edicole e nell’aria. Ripeto: per me, granatiere controcorrente, cambia zero. Ma più di qualcuno, per citare l’immortale Guido Nicheli (1934–2007), farebbe meglio a scendere dalla pianta.

giulianoguzzo.com