surrogacy

 

 

 

 

 

In questi giorni di intensi di dibattito su unioni civili e adozione del figliastro («in italiano per favore, figliastro non è dispregiativo»: C.Augias, “Repubblica”, 19.1.2016, p. 30), i favorevoli al disegno di legge Cirinnà principalmente tentano, consapevoli di che pensa la schiacciante maggioranza degli italiani, di disgiungere il riconoscimento delle coppie di persone dello stesso sesso dal tema dell’utero in affitto, sperando che nessuno faccia caso al fatto che – se la legge in discussione passerà – il primo ad avvalersene sarà un senatore democratico che all’orrenda pratica ha già fatto ricorso. C’è però anche chi come Marco Palillo, più coraggiosamente da questo punto di vista, su HuffingtonPost (Palillo M. “HuffingtonPost.it”, 19.1.2016) ha tentato sì di slegare ddl Cirinnà e “surrogacy” affermando che però dove questa è legale, alla faccia dei cattivoni allarmisti, funziona benissimo, senza sfruttamento ai danni alcuno perché la legge la consente solo per ragioni meramente altruistiche.

Viene in particolare citata l’Inghilterra, dove la pratica è prevista da molti anni col Surrogacy Arrangements Act che la consente proibendo ogni commercializzazione, ammettendo solo rimborsi ragionevoli alla madre surrogata che ha il diritto prevalente sul bambino fino al Parental order con cui il giudice, accerta la regolarità del procedimento. «In pratica – scrive Palillo – non c’è nessuna compravendita, nessun rapimento di bambini dal grembo delle madri, nessuna logica di mercato, poiché in UK come in Danimarca, Belgio e persino Irlanda, la pratica della surrogacy commerciale (utero in affitto) è assolutamente vietata. Inoltre, in Gran Bretagna solo agenzie non-profit possono fare da tramite tra surrogata e coppie fertili, sono dunque proibite forme di intermediazione a scopo di lucro. Ma soprattutto, come ci dicono molti studi sul tema (vedere Crozier, 2010) il divieto di surrogacy in molti paesi occidentali è la principale causa d’espansione del mercato nei paesi del Sud globale». Ma è proprio così?

E’ proprio vero che è «il divieto di surrogacy in molti paesi occidentali […] la principale causa d’espansione del mercato nei paesi del Sud globale»? Per nulla. E, ironia della sorte, a dimostrarlo è proprio il caso dell’Inghilterra dove, se da un lato è vero che – come detto – la cosiddetta “maternità surrogata” è regolata in modo molto stringente, dall’altro questo altro non ha impedito molte partenze, anzi, da parte di aspiranti genitori verso mete dalle legislazioni meno rigide. Un caso clamoroso è quello di Elton John, ma – come raccontava l’Independent già nel marzo 2014 – vi sono sempre più coppie lasciano temporaneamente la vecchia Albione alla volta di Stati Uniti, India, Ucraina. Chissà come mai. Per maggiori informazioni rivolgersi all’avv. Natalie Gamble la quale, dopo aver seguito nel 2008 uno dei primi casi giudiziari inglesi di “maternità surrogata” internazionale, fra il 2009 ed il 2013 se n’è ritrovata oltre settanta, un terzo dei quali con clienti di ritorno dalla poverissima India. Perché se legalizzi l’utero in affitto, lo squallido traffico «nei paesi del Sud globale» cessa. Sicuro.

giulianoguzzo.com