Come mai il cardinal Angelo Bagnasco, dopo un singolare silenzio – l’ultima intervista, concessa a Repubblica, risaliva a fine maggio –, è tornato a rilasciare dichiarazioni pubbliche? A cosa si devono i suoi due ravvicinati e recenti interventi, il primo il 17 agosto e il secondo con una lunga intervista sulle pagine domenicali del Corriere? L’impressione è che il Presidente della Conferenza episcopale italiana, dopo un’estate contrassegnata dalle roventi polemiche fra monsignor Galantino e Matteo Salvini – e da più di qualche malumore curiale per queste -, voglia riprendersi la scena. Non per ricerca di visibilità fine a se stessa, ma per ridimensionare quella del vescovo emerito di Cassano all’Ionio, il quale ultimamente da un lato si è guadagnato la stima di tutta una serie di personalità esterne se non lontane dalla Chiesa, da Ferruccio de Bortoli a Roberto Saviano, e dall’altro ha suscitato – specie dopo il mancato supporto, per usare un eufemismo, al Family Day del 20 giugno – crescenti perplessità fra non pochi cattolici. Il ritorno del cardinal Bagnasco ha dunque tutto il sapore di un atteso richiamo all’ordine sia in fatto di gerarchie interne, sia in termini di agenda.
Se infatti il segretario generale ha concentrato tutta la propria attenzione sul tema, certamente emergenziale, degli sbarchi sulle nostre coste arrivando ad accusare pesantemente opposizione e Governo di inadempienza – limitandosi ad una opposizione tiepida e indiretta alle unioni civili («non è la priorità») -, il capo dei vescovi ha ricalibrato nei toni e nei contenuti il dibattito sull’immigrazione richiamandone le responsabilità internazionali, dell’Onu in primis, e soprattutto ha rilanciato il tema della difesa della famiglia dall’equiparazione con istituti nuovi e concorrenti. Ora, è difficile dire come sia stata accolta, nella chiesa italiana, la ritrovata visibilità di Bagnasco – si può presumere non malissimo -, mentre invece è verosimile che tutto un sistema mediatico e di potere ne avrebbe volentieri fatto a meno. Da che lo si evince? Per esempio dalla prima pagina di ieri del Corriere della Sera – con «Le unioni civili entro l’anno» che più che un titolo, privo di virgolette com’era, pareva un diktat – e dalla disinvoltura con cui, per settimane, si sono contrabbandate le parole di monsignor Galantino per quelle dei “vescovi”, globalmente intesi, lasciando la sensazione che i ruoli, all’interno della Conferenza episcopale italiana, si fossero di fatto invertiti, con Bagnasco detronizzato. Ora è nuovamente chiaro che non è così.
Deo gratias, aggiungo io.
Magari fosse così ma ho i miei dubbi. Innanzitutto gioca tremendamente a sfavore di Bagnasco il suo temperamento mite e schivo, quasi timido. Purtroppo non ha la personalità per ricoprire quel ruolo e per difendersi dalla smania protagonista di Galantino.
Ma c’è di più. Il suo ruolo defilato deriva dalla consapevolezza di non essere adeguatamente supportato dal papa e, soprattutto, dal fatto che il rinnovo del suo mandato fu occasionato solamente dalla circostanza che i vescovi, due anni fa, non seppero indicare un successore – divisi com’erano persino sulle modalità di elezione del presidente (terna da presentare al papa? Continuare con la nomina diretta da parte del papa? Elezione e mera “ratifica” del papa come avviene per le altre Conferenze episcopali del mondo?) – e decisero per una soluzione solo apparentemente conservativa: da un lato, infatti, rivotarono lui, ma dall’altro si garantirono una “rottura” facendo di Galantino il presidente de facto.
Un guazzabuglio istituzionale, politico ed ecclesiale che continua a ingenerare confusione e che, purtroppo, non si risolverà prima delle prossime votazioni per il presidente CEI. Sperando che allora avremo una classe di pastori con le idee più chiare.