Fosse vissuto oggi a san Paolo sarebbero comunque toccati, dopo millenni, il pubblico ludibrio, l’umiliazione, forse pure una querela per aver detto – come testimonia la seconda Lettura di oggi (Ef 5,21-32) – che «il marito è capo della moglie», che la sottomissione non deve spaventare le mogli – le quali debbono essere obbedienti «ai loro mariti in tutto» -, e che i mariti, a loro volta, debbono amare le «mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei». Lo scandalo di queste parole è tale, pure fra gli stessi credenti, che persino in qualche omelia (!) tocca sentire dire che sì, insomma, san Paolo con quelle parole un po’ esagerava. Che non va preso alla lettera, anche se colto com’era non parlava certo a vanvera. Che in fondo era maschilista, sì, ma non per colpa sua, poveretto, perché figlio del suo tempo.
Mille giustificazioni, insomma, pur di disinnescare la potenza di frasi che solo a una lettura superficiale sono inno al maschilismo – intimare ai mariti di amare le mogli come Cristo ha amato la Chiesa, non so se è chiaro, significa incoraggiarli al sacrificio estremo -, mentre in realtà contengono qualcosa di diverso e di infinitamente più profondo, vale a dire una sottolineatura dell’Amore come obbedienza reciproca; pur nella differenza dei ruoli, si capisce: ma pur sempre obbedienza, pur sempre rispetto. Il che spiega come mai non v’è nulla di cristiano (e molto di barbaro) nell’uomo che maltratta la donna proprio come non v’è nulla di tale nella donna che rivendica indipendenza fine a se stessa, libertà per libertà, senza considerare come una vita non dedicata ad alcuno sia come un libro di sole pagine bianche.
La mentalità dominante, ovvio, aborrisce l’esortazione paolina: la famiglia non ha nessun capo, nessuno sottomesso a nessuno, nessuno tenuto a sacrificarsi per nessuno, tutti liberi. Ma è libertà apparente, dato che se non obbedisci al marito e non ti sacrifichi per la moglie hai solo qualcuno da soddisfare: te stesso. Col tuo compagno o la tua compagna che altro non è che piacevole contorno, cornice, alleato affidabile ma mai definitivo. Perché per servire te stesso non hai più davvero tempo per qualcun altro, mentre se servi qualcun altro hai pure la sorpresa di servire davvero te stesso, rispondendo – «nel timore di Cristo», timore che san Paolo eleva al rango di promessa, in assenza della quale tutto è dannatamente più difficile – al bisogno che tutti abbiamo di combattere per qualcuno, di lottare sapendo che a casa, la sera, due occhi incroceranno i nostri confermandoci che è bello vivere per questo.
L’ha ribloggato su sapereperscegliere.
Ma il marito può ordinare alla moglie di non uscire di casa con le amiche se prima non ha finito di lavare il giroscale? O deve lavare il giroscale lui per lasciare uscire la moglie con le amiche?
E se la moglie vuole lavorare in banca mentre il marito vuole che stia a casa con i figli – mentre, tra nido e baby sitter, la moglie potrebbe lavorare in banca? La moglie deve obbedire?
Se il marito tratta la moglie come schiavetta è lui che non sta seguendo le indicazioni di San Paolo e la moglie può opporsi perché tra cristiani vige la correzione fraterna.
Se il marito invece chiede cose giuste allora la moglie deve farsi umile ed obbedire.
“Ma non è ovvia l’obbedienza alle richieste giuste?”
No, è un ingenuità razionalistica e il cristianesimo è contrario all’intellettualismo etico alla Socrate.
E chi è che stabilisce se una richiesta è giusta o sbagliata?
“E chi è che stabilisce se una richiesta è giusta o sbagliata?”
Si portano ragioni, si parla, si discute.
Nel mondo laico, dove “giusto” e “sbagliato” sono solo flatus vocis, quando si tratta di decidere allora prevale l’utile del più forte.
Ma alla fine, se non si arriva a un accordo, rimangono l’ordine del marito e l’obbedienza della moglie. L’obbedienza concordata è una contraddizione in termini e un’impossibilità empirica. Se uno deve obbedire, lo farà anche se le sue ragioni non sono state accolte e anche se parlando e discutendo non si è giunti a un accordo.
“Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie” non lascia spazio a equivoci: c’è chi sta sopra e c’è chi sta sotto. Io con i miei figli discuto fino a un certo punto: da quel punto in poi scattano l’ordine e l’obbedienza.
E guai se non obbediscono.
L’ha ribloggato su Beppe Bortoloso M.I..
@ Manlio Pittori
“E chi è che stabilisce se una richiesta è giusta o sbagliata?”
Non sempre è facile, ma nel caso di un cristiano chi stabilisce è il Vangelo e la Dottrina.
Applicare il Vangelo caso per caso è la cosa più importante che ci sia per un cristiano ma non basterebbe un catechismo di mille pagine per comprendere tutte le situazioni possibili ed immaginabili, ci vuole il dono del discernimento. Nel nostro caso marito e moglie dovrebbero essere avvantaggiati dal fatto che si conoscono: l’uscita con le amiche è solo una scusa per non lavare le scale? Allora sarebbe meglio lavarle quanto prima. Le scale sono solo un’arroganza del marito? Allora la moglie si merita l’uscita con la amiche, ma comunque il marito va corretto, ignorarlo e basta non è cristiano.
@ htagliato
Se sono il Vangelo e la Dottrina a determinare la qualità (giusta o sbagliata) della richiesta, allora non sta in piedi la premessa – cioè la sottomissione delle mogli ai mariti: infatti l’opinione della moglie potrebbe essere più vicina al Vangelo e alla Dottrina rispetto a quella del marito, che – errando – potrebbe dare un ordine non in sintonia con quei criteri.
A meno che il marito non abbia il monopolio della corretta interpretazione del Vangelo e della Dottrina, il che escluderebbe che la moglie possa mai avere ragione (se non quando concorda col marito).
In ogni caso, se davvero il Vangelo fosse la guida dei rapporti coniugali, marito e maglie farebbero a gara per lavare le scale, così da sollevare il coniuge dalla fatica. Se davvero il Vangelo fosse vissuto nello spirito, non ci sarebbe bisogno di chi comanda e di chi obbedisce, perchè si sarebbe al di là di ogni dovere – l’unico dovere essendo la volontà del Padre (per chi crede in Dio) e la voce segreta della coscienza (per chi non ci crede).
‘“Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie” non lascia spazio a equivoci: c’è chi sta sopra e c’è chi sta sotto.’
E’ un po’ piu’ complicato.
Se si va a leggere il testo, si vede che San Paolo usa la parola “sub-missio”. Tale parola significa “stare alla missione” (del marito). In altre parole la moglie non deve ostacolare la missione del marito di amarla. Non stiamo parlando di prostrazione ed obbedienza cieca.
Poi, se uno deve per forza trovare il maschilista, ci riuscira’ nonostante tutte le precisazioni…
Già: è un po’ più complicato.
Se qualcuno andasse davvero a leggere il testo, scoprirebbe che san Paolo scrive in greco e quindi non può utilizzare “sub-missio” (che, tra l’altro, non significa per nulla quello che immagina lei).
San Paolo scrive “Αἱ γυναῖκες τοῖς ἰδίοις ἀνδράσιν ὑποτάσσεσθε ὡς τῷ Κυρίῳ”: e il verbo utilizzato (“ὑποτάσσειν”) significa “obbedire”, “essere sottomessi”, “stare sotto”.
Un minimo di serietà, quando si vuole fare i filologi, mi pare necessario.
Per il resto, non mi interesso né di maschilismo né di femminismo, ma solo del post di Guzzo, che riprende un topos già ampiamente sfruttato da Costanza Miriano & her friends.
Personalmente considero la sottomissione un atto contro natura. Altro è, invece (e radicalmente altro), il cum-jugum; altra è la cum-sors: se c’è in giro qualcuno che di etimologia capisce davvero qualcosa, non farà fatica a comprendere cosa sia realmente il matrimonio.
Non una faccenda di potere, ma di condivisione della fatica e della sorte.
Sigh, ovviamente sappiamo tutti che San Paolo scriveva in greco. Un minimo di buon senso, quando si leggono i commenti altrui, mi pare necessario. L’espressione “sottomissione”, usata nel testo italiano viene proprio dal latino sub-missio. Sub e’ “sotto”, “missus” deriva da “mittere”, mandare. Submissio si puo’ tradurre con “semplicità, tono sottomesso” (diz. Olivetti).
Nella traduzione latina del testo di Paolo si legge che la moglie sia “subiecta”. Subiecta puo’ siginficare obbediente, sottomesso, assoggettato. Obbediente riguardo cosa? San Paolo lo dice subito dopo: al compito del marito, che e’ quella di amare la propria moglie ed essere pronti anche a dare la vita per lei. Non mi risulta che alcun padrone di schiavi “sottomessi” dovesse amarli cosi’ tanto da dare la vita per loro.
Che San Paolo sia stato interpretato per affermare che i mariti dovessero comandare alle mogli purtroppo e’ vero.
Mi perdoni, ma se lei scrive
“San Paolo usa la parola “sub-missio””
io capisco che San Paolo ha usato la parola “sub-missio”: cosa che è falsa, in quanto San Paolo – che scriveva appunto in greco – non ha per nulla usato la parola “sub-missio”.
Non è San Paolo, a usare la parola “sub-missio”: la parola “sub-missio” è stata usata dal traduttore latino di San Paolo.
Questo per la precisione.
Per il resto, tre cose.
La prima. Qui nessuno, e il sottoscritto men che meno, ha mai pensato che la lettera paolina intendesse che le mogli devono essere schiave dei mariti. Anche perchè, in un altro passo, lo stesso San Paolo scrive
“non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.
La seconda. Se uno scrive
“il marito è capo della moglie, come Cristo è capo della Chiesa”
introduce chiaramente i concetti, ben poco evangelici, di obbedienza e di relazione gerarchica. Poi si può interpretare con tutte le sottigliezze possibili, ma il messaggio è chiaro, specie nelle menti dei semplici.
La terza. Se uno scrive
“le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto”
è abbastanza facile che quella frase sia poi interpretata nel senso che il marito può e deve comandare sulla moglie: come ben si sa, “in claris non fit interpretatio” e la frase di San Paolo non è chiara, è chiarissima.
Forse, invece di compulsare San Paolo, sarebbe stato più utile rifarsi alle parole di Gesù, che nella materia era stato ancora più chiaro:
“Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa”.
Ma, e anche questo si sa molto bene, è molto più utile e produttivo predicare l’ordine e la regola, anziché riconoscere che l’unica sottomissione è quella alla voce della propria coscienza (“quando preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”).
Ma pregare il Padre nel segreto e senza mediatori è pericoloso e si rischia di travisarne le parole. La preghiera segreta è la via maestra per il relativismo etico e quindi è preferibile un robusto sistema gerarchico che dica chiaramente cosa si deve pensare e cosa non si deve pensare.
E, ovviamente, chi deve comandare e chi deve obbedire.
@ Max
Sarebbe come attribuire alla paternità di Giovanni il titolo cristologico di “Verbum”.
Tra l’altro, mi piacerebbe fare un’indagine all’uscita di una qualsiasi chiesa dopo una qualunque messa e chiedere ai fedeli che cosa significa “Cristo è il Verbo”: ci scommetto lo stipendio di agosto che forse solo il dieci per cento saprebbe balbettare qualche tentativo di spiegazione.
In italiano, “Cristo è il Verbo” non significa più nulla – se mai ha significato qualcosa.
Questo per dire che a volte tradurre non è tradire, ma è peggio.
proprio domenica siamo stati chiamati a predicare su quesgta pagina che certamente è scomoda e poco facile da digerire sopratutto in una società come questa di oggi (data l’invasione musulmana non credo che poi durerà per molto).
a mio avviso non si tratta di mettere in evidenza l’etimologia della parola latina, anche perchè paolo scriveva in greco, ma è da vedere sotto un profilo di carattere maschile e femminile: dal mio punto di vista è un passo dove Paolo mette in evidenza la debolezza come forza.
L’uomo come maschio ha bisogno di dominio e di sicurezze e di essere confermato ed ascoltato, in particolare presuppone che prorpio la propria donna faccia questo. Mi viene alla mente il film “il mio grosso grasso Matrimonio Greco” quando la madre rassicura la figlia dichiarando che il padre è la testa della famiglia, ma lei è il collo e fa girare la testa dove vuole. La donna sottomessa consapevole della sua forza pone il capo ad essere accondiscendente con lei, ma sempre l’ultima parola sarà del capo.
La debolezza della donan invece sta nell’essere curata e coccolata, quindi sarà compito dell’uomo accondiscendere in tutto a questa necessità della donna e quindi l’uomo deve porre la sua donna come diadema sul suo petto.
Come predicavo domenica a Messa è proprio questa fusione di queste due debolezze che rende la coppia davvero forte!
come lo stagno e il rame che sono metalli dolci, nella loro lega metallica fondono in bronzo ed ottone, metalli duri, così l’uomo e la donna fondendo in queste necessità reciproche diventano un elemento unico e forte.
Don Lorenzo
Buongiorno gentilissimo Don Lorenzo, San Paolo viveva in una società con valori educativi estremamente differenti, rispetto a quelli odierni e pertanto se contestualizziamo il suo pensiero, non c’è alcun motivo di scandalizzarsi, se non per fini speculativi.Per ciò che concerne “l’invasione musulmana” ritengo, che prima o poi si arriverà ad uno scontro di civiltà , in cui quella meno forte militarmente ed economicamente verrà sottomessa, mi pare lapalissiano, che non sarà quella occidentale. La saluto con stima!
@ manliopittori
“Qui nessuno, e il sottoscritto men che meno, ha mai pensato che la lettera paolina intendesse che le mogli devono essere schiave dei mariti.”
Ad ogni modo, secondo San Paolo la donna è inferiore all’uomo.
Infatti, nella prima lettera ai Corinzi, egli scrive: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio […] L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli”.
Il significato delle suddette parole mi pare piuttosto chiaro.
@Manlio Pittori
Mi dispiace per l’equivoco sull’uso del latino. So, come ogni persona di media cultura, che San Paolo scriveva in greco, ma il testo del mio primo commento poteva effettivamente indurre a pensare diversamente. E’ colpa mia.
Le frasi di San Paolo che lei riporta esistono, ma credo che non vadano tolte dal contesto, altrimenti si perde il loro significato. Sappiamo tutti quello che puo’ succedere, anche quotidianamente: una certa frase all’interno di una conversazione, di per se’, puo’ farci inorridire, preoccupare, e quant’altro, ma non era questo il senso dell’intero discorso.
E’ vero che Paolo dice alla donna di essere ubbidiente al marito, ma subito dopo dice all’uomo di essere pronto a *dare la propria vita* per lei. Poi e’ interessante quello che dice Don Lorenzo, la debolezza come forza. E forse San Paolo voleva anche fare un po’ di psicologia, considerando le differenze di carattere tra i due sessi.
Poi, come ho detto, purtroppo e’ vero che le frasi di San Paolo siano state usate come scusa per soggiogare la donna e metterla in un ruolo inferiore. Cosa che tra l’altro non era nemmeno difficile; non ricordo imperatori, consoli, questori romani di sesso femminile; ne’ ad Atene strategos donne.
P.S. Su “Verbum” lei dice cose sensate. Pero’, ricordo che alle scuole elementari ci dicevano che il verbo e’ la parola per eccellenza; senza verbo non c’e’ una vera proposizione. E’ il cuore di tutto.
Caro Max,
mi permetta prima di tutto di ringraziarla per la gentilezza e la cortesia delle sue parole: è raro leggere righe come le sue – di solito, nei blog, prevalgono stili hooligani.
Credo che – contestualizzando fortemente e interpretando con vigore – le parole di san Paolo siano logicamente e storicamente comprensibili e, lo dico con estrema cautela, condivisibili: ma più ancora credo che oggi quelle parole siano materia per teologi, filologi ed eruditi e che non siano utilizzabili per una catechesi di massa.
In famiglia “comandano” i genitori: le differenze di carattere, di impostazione, di personalità e di approccio (che distinguono l’uomo e la donna) sono al momento talmente chiare e puntuali che solo un malinteso senso di uguaglianza le può negare.
Non si tratta di attualizzare il Vangelo, ma solo di ricordare che san Paolo non è Dio e che scriveva duemila anni fa.
Grazie.
PS: mi permette una correzione fraterna? Credo che la versione corretta sia “ne’ ad Atene strategoi donne” (visto che ha utilizzato, traslitterandolo, il termine greco).